Questo numero

Democrazia Futura. Presentazione del fascicolo numero nove

a cura di Bruno Somalvico, direttore editoriale di Democrazia futura , e Giulio Ferlazzo Ciano, capo-redattore centrale |

Come è costruito l’impianto e cosa offre l’edificio di questo primo fascicolo del 2023, il numero nove di Democrazia Futura.

Giulio Ferlazzo Ciano

Giulio Ferlazzo Ciano, capo redattore centrale e Bruno Somalvico, direttore editoriale, illustrano il nono fascicolo di Democrazia futura datato gennaio-marzo 2023.

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Bruno Somalvico

Questo nono numero (Nove) di Democrazia Futura datato gennaio-marzo 2023 (che chiudiamo con un mese di ritardo a fine maggio 2023) continua ad analizzare in primo luogo i nuovi equilibri mondiali dopo la guerra calda in Ucraina.

In apertura l’editoriale Secondo Bruno Somalvico, direttore editoriale di Democrazia Futura, la previsione è che, dopo quindici mesi di conflitto ucraino, nonostante l’intensificarsi delle azioni diplomatiche per raggiungere perlomeno una tregua, in un futuro più o meno ravvicinato ne vedremo “di cotte, ma soprattutto di crude[1]. Facendo sua l’analisi di Sergio Romano “L’Europa noi e il passato che ritorna”.

Sembra che stia accadendo quello che si era verificato prima della Grande Guerra. Agli inizi del ‘900 esistevano nel continente europeo cinque potenze imperiali o con ambizioni imperiali (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Spagna). Vi erano anche potenze meno esplicitamente ambiziose che avrebbero tuttavia approfittato di un conflitto per appropriarsi di un territorio. E vi erano anche Paesi (fra i quali l’Italia) in cui la società era divisa fra correnti nazionaliste e movimenti pacifisti. Il quadro oggi non è molto diverso”, la previsione del diplomatico attento osservatore del scacchiere internazionale e dei conflitti che lo caratterizzano e che quella che stiamo vivendo “sembra ormai destinata a diventare una guerra europea con inevitabili contagi in altri continenti”. Di qui la necessità di una forte coesione politica e diplomatica dell’Europa all’interno di un Occidente che senza rinunciare a prodigarsi con fermezza per la salvaguardia dei propri valori e dei diritti umani sia in grado di negoziare un nuovo equilibrio geopolitico innanzitutto con la Cina per evitare una pericolosa escalation che potrebbe portare – si chiede lo stesso Sergio Romano in conclusione – alla terza guerra mondiale.

In questo contesto secondo Somalvico “Governare bene l’Italia è utile non solo per la destra ma anche per l’opposizione” e per la credibilità e il futuro del governo Meloni cruciale sarà capire se effettivamente desidera affrontare “La riforma delle istituzioni” che il direttore editoriale di Democrazia futura considera “Un imperativo urgente da realizzare con il più ampio sostegno” e al quale è strettamente connessa

“la riforma elettorale per restituire al Parlamento un ruolo sovrano dotato del potere non solo di conferire la fiducia al governo e di controllarne l’operato ma anche quello di legiferare secondo il principio della separazione dei poteri che è appunto uno dei cardini delle nostre democrazie”.

Di qui l’idea di rispolverare una proposta lanciata negli anni Novanta dal compianto Antonio Maccanico, il cosiddetto “lodo Maccanico” che proponeva ai due schieramenti dominanti in quella stagione l’elezione diretta del Presidente della Repubblica attraverso un sistema elettorale a doppio turno nell’ambito di una riforma in grado di consentire una forma di governo di tipo semi presidenziale sul modello francese, in cambio dell’elezione dei deputati attraverso un sistema maggioritario di collegio anch’esso a doppio turno anche in questo caso prendendo come punto di partenza il modello francese”

Parte prima L’approfondimento della crisi un anno dopo lo scoppio della guerra in Ucraina

Per gentile autorizzazione dell’autore che ringraziamo, riproduciamo per i nostri lettori l’introduzione al numero monografico dal titolo Orgogliosamente Occidente, a cura di Gianfranco Pasquino, della rivista Trimestrale Paradoxa (Mimesis edizioni, gennaio-marzo 2023). L’intento del breve saggio intitolato “L’Occidente on my mind”[2], il cui occhiello riporta “I problemi, le sfide, ma non la crisi dell’Occidente”, è «‘scrivere contro’ la diffusa tesi di una crisi dell’Occidente: a tal fine, dopo aver proposto una definizione operativa dei termini in questione – ‘crisi’ e ‘Occidente’ –, il contributo procede ad una comparazione intra-sistemica e intertemporale dei sistemi politici occidentali che smaschera la debolezza della tesi per cui il cosiddetto Occidente non garantirebbe più il benessere economico a causa dell’insorgere di una crisi della democrazia liberale. Al contrario, l’Occidente dilaga con le sue idee e il suo esempio e le società chiuse reagiscono con risentimento e rancore, con repressione. Che tuttora vi siano problemi e sfide, nell’Occidente e contro l’Occidente, non autorizza e non consente a nessuno, meno che mai ai non occidentali, di parlare di crisi dell’Occidente».

Mondo

Poco lontani dal “punto di non ritorno”. Le conseguenze dell’aggravamento del conflitto ucraino negli equilibri geopolitici planetari. La crescita delle tensioni nel Pacifico

Giampiero Gramaglia in “La Cina al centro del gioco diplomatico planetario” suddivide in sette parti il compito di evidenziare gli aspetti più salienti del grande gioco condotto a livello diplomatico dall’Impero di mezzo. Nella prima (“Cina e Russia: nel loro nuovo ordine mondiale, il cattivo è l’Occidente”[3]), osservando l’esordio sulla scena politico-diplomatica del neo ministro degli esteri cinese Qin Gang dopo quanto deciso nella sessione plenaria del Congresso del Popolo, vede disegnarsi una visione comune fra Cina e Russia in virtù della quale «nel loro nuovo ordine mondiale, il cattivo è l’Occidente»: questo il titolo dell’articolo scritto per Democrazia futura. «Pechino, con Mosca, punta – chiarisce l’ex corrispondente dell’Ansa a Washington – a ridisegnare la mappa del potere planetario, che ha negli arsenali nucleari – specie quelli di Stati Uniti e Russia – una componente essenziale». Nella seconda (“La Cina di Xi III cala in tavola le carte da attore globale, noi rispondiamo picche”[4]) commenta da un lato le iniziative politico militari di Pechino per favorire la pace fra Russia e Ucraina e la ripresa delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Iran, dall’altro l’accordo fra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, i tre Paesi che formano  l’Aukus, ovvero «una sorta di Nato del Pacifico», per dotare Canberra di sottomarini nucleari e l’incontro al vertice fra Giappone e Corea del Sud per far fronte alle «crescenti minacce regionali della Cina e della Corea del Nord». Nella terza (“La pace di Xi Jinping e Putin non convince Biden e Zelens’kyj. La Cina è ‘globale”[5]) analizza le reazioni occidentali alla proposta di pace cinese sostenuta da Mosca dopo l’incontro fra i due leader. L’ordine di arresto per Putin, da parte della Corte Penale Internazionale, per la deportazione di minori, potrebbe divenire un elemento della trattativa di pace. Tutto questo mentre l’Occidente alza il tiro, esprimendo dubbi sulla Cina e inviando all’Ucraina aerei, carri, munizioni all’uranio impoverito. Segue, nella quarta parte (“La Cina apre brecce in Europa, Usa e Kiev fanno argine”[6]), una più approfondita analisi sul ruolo di pacificatore dell’Impero di mezzo, con tanto di pellegrinaggi di leader europei a Pechino. Se gli Stati Uniti d’America remano contro, convocando per il 29-30 marzo 2023 un vertice per la democrazia composto da nazioni amiche e alleate di tutto il mondo, l’Italia deve decidere se rinnovare o denunciare il memorandum sulla Belt and Road Initiative firmato nel 2019. Simile argomento per la quinta parte (“Xi Jinping mette cuneo con Usa e divide europei, la pace resta una chimera”[7]) incentrata sulla visita congiunta di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Pechino. Non si fermano le manovre su Taiwan, von der Leyen intende riequilibrare i rapporti commerciali tra Ue e il gigante asiatico, mentre gli Usa mostrano irritazione. La sesta parte (“Cina: partita a scacchi con l’Occidente sui tavoli di Taiwan e Ucraina”[8]) sintetizza i temi trattati per Toscana Oggi (20 aprile 2023), mentre la settima e ultima parte (“Una telefonata può accorciare la guerra, ma da sola non basta”[9]) analizza il risultato della lungamente attesa telefonata di Xi Jinping a Volodymyr Zelens’kyj, «anche se la sintesi dell’ora di conversazione, riportata dai media cinesi, con contiene le parole “Russia” e “guerra” e ribadisce punti già sottolineati da Xi Jinping in dichiarazioni pubbliche» e che pongono il destino dell’Ucraina sullo stesso piano di quello di Taiwan, perché rispettare la sovranità territoriale di tutti gli Stati per Pechino «vuol dire ‘compresa quella cinese su Taiwan’».

Cecilia Clementel-Jones, partendo dal saggio di Chris Miller Chip War e dal numero di “Limes” del dicembre 2022 dedicato all’intelligenza artificiale, ripercorre in “La guerra dei microprocessori”[10] la complessa vicenda legata alla produzione di questi – oggi quanto mai necessari – strumenti di precisione, osservando come «I circuiti integrati [siano] al cuore della battaglia per l’Intelligenza Artificiale». Dopo un lungo excursus storico su «la realizzazione dei primi circuiti integrati», che rievoca anche «lo spionaggio industriale durante la guerra fredda», analizza quindi «la dipendenza cinese dall’Occidente», i «punti di forza delle industrie cinesi» e «l’importanza [non solo strategica] di Taiwan come centro di produzione di chip».

La diplomazia mondiale sempre alla ricerca disperata di una tregua dopo l’escalation del conflitto

Ancora Giampiero Gramaglia, in un articolo dedicato a “USA 2024: i candidati ai blocchi di partenza” nella prima parte “America first, messaggi a Russia e Cina”[11], ripercorre il discorso sullo stato dell’Unione di Joe Biden. “America first”. Questo il messaggio lanciato da Joe Biden al Congresso. Un discorso centrato su politica ed economia interne in previsione della sua discesa in campo per un secondo mandato presidenziale alla Casa Bianca. «La politica estera è venuta in primo piano solo dopo circa 60 dei 73 minuti del lungo discorso», con messaggi rivolti sia alla Russia sia alla Cina. Nella seconda parte dell’articolo (“Trump mette i repubblicani in riga, democratici alla finestra”[12]) si evidenzia l’imbarazzo nel campo repubblicano dopo l’incriminazione dell’ex presidente Donald Trump a New York: i suoi rivali per la nomination di partito necessaria per correre alle presidenziali del 2024 sono costretti a fare i conti con un ex presidente incriminato che ha ancora troppa influenza sull’elettorato per non rappresentare un pericolo per chiunque ne prenda le distanze. Allo stesso tempo i democratici stanno alla finestra, in attesa di capire se ci saranno altre incriminazioni, per fatti ancora più gravi, e come questi eventi incideranno sulla campagna.  

La politica estera è ancora al centro della scena nell’articolo sempre di Giampiero Gramaglia intitolato “Putin, Zelens’kyj, Biden, Meloni, un crescendo di retorica (e di rischi) guardando a Pechino”[13]. Così il giornalista di Saluzzo ricostruisce l’intensa attività diplomatica e narrativa delle dichiarazioni dei leader politici avvicendatisi sulla scena in pochi giorni: ma il fatto più importante secondo Gramaglia, come recita l’occhiello, è che «Ad un anno esatto dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Occidente [è] preso in contropiede da Xi Jinping e dal suo piano di pace per evitare che la guerra superi il ‘punto di non ritorno’».

Riccardo Cristiano giornalista e collaboratore di Reset, analizza il grande gioco mediorientale all’indomani dell’accordo mediato dalla Cina fra il Regno wahabita e la Repubblica islamica sciita in “Iran e Arabia Saudita: fine della guerra o semplice ‘decongestione’?”[14]. Difficile offrire una risposta al quesito, sia per la diversa storia dei due Stati e di ciò che rappresentano, sia per le ambizioni malcelate di entrambi, giunti tuttavia ad un punto critico della loro storia recente. I tentativi falliti di riforma dell’Islam da parte sia sunnita sia sciita e di esportazione della rivoluzione iraniana «ha reso il conflitto “imperiale”, religioso ed esistenziale per Riyad, un conflitto facilmente presentabile sotto vesti religiose, tra sunniti e sciiti, o un conflitto politico, tra filo-americani sauditi e antagonisti anti-occidentali guidati da Teheran, o una riproposizione del vecchio astio tra persiani e arabi, o altro ancora. Si spiega così che i conflitti in tutti i Paesi indicati sono diventati parti di un grande conflitto esistenziale, capace di ridurre tutti questi Paesi a Stati falliti, quali sono tanto l’Iraq che la Siria che il Libano che lo Yemen». L’accordo del 10 marzo 2023 è quindi un nuovo inizio, una tregua o, come suggerisce l’autore, una decongestione?

La giornalista e vaticanista Rai Vania De Luca riporta al centro dell’attenzione il conflitto russo-ucraino in “Papa Francesco e la ricerca reiterata di un dialogo per la pace in Ucraina”[15]. Una pace che, pur con la disponibilità della Santa Sede a mediare fra le due parti, non si riesce a raggiungere, ma che da Oltretevere si insiste a voler cercare, lasciando una porta aperta al dialogo che, nelle intenzioni del Segretario di Stato Pietro Parolin, deve sempre essere voluto «in ragione della pace».

All’Ucraina ci riporta l’articolo di Giampiero Gramaglia “In Ucraina il fronte è quasi fermo, intelligence e diplomazia fanno danni”[16]. Se in effetti la guerra di posizione pare assomigliare sempre più alla tipologia della Grande Guerra, allo stesso tempo i tentativi per fermarla si impantanano come i due eserciti. La missione franco-europea in Cina «desta divisioni in Occidente più che innescare progressi verso la pace» mentre nuove fughe di notizie rivelano doppi giochi tra Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Frattanto nuovo oggetto di scambio potrebbe essere il giornalista Evan Gershkovich, finito nella rete di Mosca.

Europa

Riflessioni su un mondo sempre più provato dalla guerra e dalle forze disgregatrici

Partendo da un editoriale di Sergio Fabbrini uscito su Il Sole 24 Ore, Stefano Rolando, disegna un parallelismo fra quanto avvenuto con il nostro Risorgimento e la guerra di liberazione del popolo ucraino in “Il Risorgimento ucraino”[17]. «Questa guerra di invasione e liberazione ha creato uno Stato, nel vero senso della parola. La sua identità, la sua distinzione, la sua  lingua e cultura, la sua autodeterminazione, alla fine anche la tenuta di una classe dirigente che ha ancora da abbattere vizi e impreparazioni, ma che ha fatto – aggiunge Rolando – la sua dura e drammatica università di maturazione statuale e morale». Il destino dell’Ucraina è europeo, come lo è stato quello dell’Italia alla conclusione del suo Risorgimento.

Un punto di vista analizzato da Giulio Ferlazzo Ciano in “È vero Risorgimento quello ucraino? Una riflessione”[18]. Come recita l’occhiello, «la discussione sui processo di Nation Building deve necessariamente confrontarsi con storie nazionali che non sempre seguono percorsi paralleli». E tale percorso parallelo non lo si ravvisa per l’Ucraina, per ragioni che spaziano dalla dubbia identità nazionale di quel Paese al fatto che, se di un Risorgimento si può parlare, ci sarebbe già stato a cavallo fra Ottocento e Novecento, con un processo di rinascita culturale identitaria che non ebbe esiti politici e di lotta per l’autodeterminazione, se non alla fine della prima guerra mondiale e all’inizio della seconda.

L’occhiello dell’articolo di Giampiero Gramaglia dal titolo “Iraq 20 anni dopo l’invasione: basta con questa storia dei buoni e cattivi”[19] è indicativo di un punto di vista molto personale dell’autore: «una rievocazione dell’allora corrispondente Ansa a Washington». Gramaglia ripercorre le cause e le conseguenze di quella che definisce «l’inspiegabile invasione statunitense dell’Iraq»: «le false prove presentate all’Onu da Colin Powell» a giustificazione dell’intervento e, a valle, «i costi incerti di una guerra cruenta quanto inutile», voluta a causa di quella che l’ex direttore dell’Ansa qualifica come, «la patologia americana della supremazia». Fatti che, nell’insieme, ricordano che nessuna Potenza è senza peccato nell’arena geopolitica del mondo.

L’Europa, la guerra calda, le tensioni a est e a sud fra sovranisti ed europeisti

Il presidente del Movimento Europeo-Italia, Pier Virgilio Dastoli, nel titolo stesso dell’articolo “A Bruxelles né vincitori né vinti: ha perso l’Unione europea!”[20] commenta il Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio 2023. Secondo l’autore gli aiuti di Stato concessi alla Francia e alla Germania sono stati «Una vittoria di Pirro», mentre nella nuova realtà geopolitica occorrerebbe «una politica industriale europea innovativa e coordinata, ovvero dotata di una cabina di regia europea in grado di indicare le strategie da seguire», contando su una maggiore presenza dell’Europa e un minore peso dei singoli Stati nazionali.

“L’adesione della Finlandia alla Nato è una sconfitta per Putin”[21] sostiene nel suo articolo Giampiero Gramaglia, evidenziando come l’invasione dell’Ucraina abbia modificato i rapporti di forza con l’Occidente, provocando, tra le altre cose, la fine dell’era del non allineamento della Finlandia, secondo le stesse parole del presidente finlandese Sauli Niinistö. Adesione alla Nato che «avviene in coincidenza di un avvicendamento al potere a Helsinki» mentre Mosca reagisce minacciando «’contromisure’ imprecisate e ombre nucleari». Forse solo un modo per distrarre l’opinione pubblica russa dagli esiti sconfortanti del conflitto in Ucraina.

Lo storico e saggista Paolo Morawski usa l’immagine del boa che stringe la preda fra le sue spire per descrivere ciò che sta avvenendo in Bielorussia da poco più di un anno a questa parte. Nell’articolo “Non dimentichiamo la Bielorussia”[22] l’autore intende rammentare come questo Paese indipendente dal 1991 stia diventando sempre più una base militare e una roccaforte russa contro l’Occidente «colpevole da anni di colpire la Bielorussia con le sanzioni» e «di fare pressioni per rovesciare il governo del presidente Lukašėnka. La costruzione di muri lungo i confini di Russia e Bielorussia pone quel Paese ormai fuori dall’Europa, mentre la guerra prosegue e «la situazione marcisce». Non dimentichiamoci anche della sofferenza del popolo bielorusso.

Alberto Toscano, giornalista e scrittore, già presidente dell’Associazione della stampa estera a Parigi, in “Emmanuel Macron, un’anatra zoppa?”[23] reca nell’occhiello l’inequivocabile affermazione “La voglia di sbarazzarsi dei vecchi partiti: un effetto boomerang per l’inquilino all’Eliseo”. Tale fenomeno, definito dégagisme, – chiarisce Toscano – «ha permesso a Macron di assorbire parti importanti del centrosinistra e soprattutto del centrodestra, ma ha spostato verso le estreme il duplice baricentro delle opposizioni. Questo ha cambiato il contesto stesso della Quinta Repubblica». Ora infatti «nella Francia di oggi è difficile per Macron trovare alleati in Parlamento ed è ancor più difficile sciogliere l’Assemblée Nationale». «Il macronismo – conclude Toscano – paga oggi il prezzo di una crisi politica di cui esso stesso ha beneficiato ieri».  Da qui l’analisi degli scenari che si presentano per l’attuale presidente francese, uscito indebolito dalle manifestazioni contro la legge di riforma delle pensioni.   

Giorgio Pacifici, sociologo e saggista, in “Le elezioni presidenziali turche”[24] riporta l’attenzione al Mediterraneo fornendo ai lettori di Democrazia Futura una sorta di guida agli schieramenti politici che si confrontano alle elezioni prseidenziali turche del 14 maggio 2023, chiedendosi se riuscirà vincente la variegata coalizione dello sfidante  Kemal Kılıçdaroğlu, dell’Alleanza Nazionale (Millet İttifakı), tendenzialmente a favore di una maggiore dialogo con l’Europa, oppure l’Alleanza Popolare (Cumhur İttifakı), quella del presidente uscente  Recep Tayyip Erdoğan, critica nei confronti dell’Europa e con le consuete posture neottomane. «Queste elezioni presidenziali – secondo Pacifici – rappresentano quindi un tornante importante per la Turchia perché potrebbero rappresentare il punto di svolta da regime presidenziale in regime tout court, oppure rimettere in gioco la democrazia con le sue regole e le sue imperfezioni, ma soprattutto i suoi valori».

Italia

Patria nazione identità: le asimmetrie ideologiche

“Lessico politico asimmetrico” è l’occhiello dell’articolo di Stefano Rolando dal titolo “Patria e Nazione”[25], nel quale l’autore analizza gli effetti della derubricazione del termine “Paese” sostituito nel lessico del governo di Giorgia Meloni con “Nazione”, per definire «l’insieme tra territorio e comunità amministrata da quel governo», prima di denunciarne le strumentalizzazioni. «Sia riguardanti il Risorgimento, sia riguardanti la Resistenza, cioè i passaggi fondanti la legittimità della nostra indipendenza nazionale. Ma intanto tra destra e sinistra si sono rovesciati i copioni». Una sinistra che sembra non abbia saputo rinverdire l’amor di Patria che pur gli apparteneva. Dietro questo spregiudicato tentativo di recupero da parte della «leader del costituendo partito dei Conservatori» – conclude Rolando – «quello che manca all’appello è un terreno di confronto politico vero sulle parole ‘patria’ e ‘nazione’».

Nella seconda parte del testo (“Perché Giorgia Meloni ha spiazzato la sinistra nel suo discorso al Congresso della CGIL”[26]), Rolando prende spunto da un articolo del politologo Carlo Galli uscito sul quotidiano La Repubblica, “La nazione è di tutti. I progressisti devono imparare ad amarla”, rileggendo le lezioni in piena Guerra Civile di Federico Chabod, raccolte postume nel 1961, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia nel saggio su L’idea di nazione in cui il grande storico valdostano  «Connette l’idea di Nazione al Romanticismo europeo, dunque in conflitto con l’età della ragione, con l’illuminismo settecentesco», evidenziando come modello «la poetica del sentimento e dell’immaginazione» e l’idea dantesca per l’Italia della parola «patria […] una e indipendente».

Segue un terzo contributo sul tema “nazione e patria” dal titolo “Identità nazionale. Cioè?”, affrontando, come recita l’occhiello, “Riflessioni ed analisi sulla espressione ‘Identità Nazionale’ come cornice ideologica del governo”. «Il potere politico – sostiene Rolando – ha perduto nessi profondi e prioritari con la cultura e la filosofia stessa della politica. Questo produce una caduta verticale del ruolo interpretativo, sempre più affidato al pugilato digitale […]. Gli stessi partiti politici, che a parole si candidano ad animare il dibattito su chi rappresenta meglio l’identità nazionale, riproducono troppe volte più etichette del Novecento che analisi del terzo millennio. Infatti «nelle narrative messe in campo dagli apparati a destra ogni giorno esplodono rigurgiti che si riconducono ad un’idea di Nazione sostenuta dalla retorica dannunziana, combattentistica, autarchica, primatista, talora anche razzista non tanto diversa da quella che un secolo fa ha preso in mano le redini dell’Italia in forma autoritaria cancellando libertà e istituzioni democratiche». « L’idea di Nazione – è la tesi di Rolando – ha perso le connotazioni culturali gramsciane ma anche quelle del federalismo liberaldemocratico (che superava nell’armonizzazione delle autonomie il rischio dimostratosi verità della trasformazione dell’idea di Nazione in Nazionalismo)».

Fa eco a Rolando Massimo De Angelis, intervenendo nel dibattuto su Patria e Nazione con “L’idea di nazione e la stolta contrapposizione della Resistenza al Risorgimento”[27], denunciando quella che nell’occhiello definisce “Una partigianeria antipatriottica davvero poco partigiana imbevuta del mito di un nuovo inizio espressione dell’illuminismo costruttivista oggi imperante”.  Sostiene l’autore che «negli scorsi decenni, in Occidente, seguendo il mito della globalizzazione e da noi anche quello europeo, si è pensato che la nazione, come per altro verso la famiglia e ogni corpo intermedio, fossero un passato da dimenticare in nome dell’individuo, autosufficiente, cittadino del mondo e cosmopolita». Al suo posto, secondo De Angelis, si vuole «l’uomo nuovo, cittadino universale trasparente, sottile e alla fine vuoto come un vetro», diventato «l’ultima delle utopie partorite dalla nostra cultura dopo l’uomo nuovo fondato sulla purezza razziale e l’uomo nuovo prodotto dal socialismo ora quello prodotto dal progressismo perfettista».

Interviene ancora Stefano Rolando con l’articolo “25 aprile. Il fascismo e la pancia degli italiani”[28], nel quale si ragiona sulla base di un rapporto demoscopico effettuato da SWG sulla “difficoltà di commemorare in nome di una memoria condivisa”, come recita l’occhiello. «In questi giorni – scrive Romando – va in scena in Italia una più sotterranea e profonda rappresentazione. Quella di continue piccole provocazioni promosse da fonti antifasciste per mettere alla prova post-fascisti, filo-fascisti, a-fascisti in ordine alla continuità di un vincolo simbolico dell’Italia repubblicana. Ma ugualmente – anzi spesso preliminarmente – anche da esponenti che hanno [il fascismo] nella loro storia. Dal rapporto SWG intanto emerge come «più di un terzo degli italiani ha in pancia tracce irrisolte di simpatie per quel pur controverso “male assoluto”».

Giulio Ferlazzo Ciano in “Europeismo versus Risorgimento”[29] riconosce che la questione legata al significato politico di Patria e Nazione sia decisiva per comprendere anche i futuri scenari legati all’evoluzione del percorso di integrazione europea. Perché se è senz’altro vero che il Risorgimento è stato espressione di una politica di “sinistra”, sicuramente non reazionaria, è anche vero che il Risorgimento male si accorderebbe con ideali euro-federalisti e che la sinistra italiana ha il difetto di essersi sbilanciata troppo a favore di un europeismo radicale e federalista che nega la nazione. Come recita l’occhiello “L’impossibile convivenza di visioni identitarie contrapposte renderà inattuabile a sinistra il tentativo di riappropriazione dell’universo valoriale legato alle idee di Patria e Nazione: l’Europa unita e federale si farà solo contro di esse”. A tal proposito a sinistra si combatte da tempo una battaglia storica e culturale per inserire il Risorgimento italiano nel pantheon ideologico di un certo europeismo delle origini, sbandierando Mazzini come un proto-europeista, padre dell’unità europea. Nulla di più falso, secondo l’autore: basterebbe leggere gli scritti di Mazzini per rendersene conto.

Angelo Zaccone Teodosi, presidente dell’Istituto italiano per l’Industria culturale, in “All’assalto soft delle casematte del potere sinistrorso?”[30] fornisce un resoconto del convegno del 6 aprile 2023 sulla cultura in Italia dal titolo Pensare l’immaginario italiano. Stati generali della cultura nazionale. “Nazione”, “comunità”, “identità”, “conservatorismo” le parole-chiave. Il ministro Gennaro Sangiuliano ed il Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, Federico Mollicone, dettano la linea: pluralismo e anticonformismo

Una nuova stagione in Italia. Il governo sovranista di Giorgia Meloni e l’elezione simmetrica ai gazebo di una donna ancora più giovane al timone del Partito Democratico

Stefano Rolando sposta poi l’attenzione su quella che egli stesso definisce la «diatriba governi tecnici o politici», nell’articolo dal titolo “Draghi e Meloni: politici o tecnici?”[31], il cui occhiello recita “Come la comunicazione distingue non tra una cosa o l’altra ma tra due modi diversi di far politica, tra istituzioni e partiti”, proponendosi di confrontare l’approccio alla comunicazione dei due governi che si sono succeduti in Italia a fine 2022, partendo dalla bozza di un libro di prossima pubblicazione di Guido Barlozzetti (La meteora? Mario Draghi, anomalia di un’immagine), concludendo con due constatazioni e una proposta.

Celestino Spada analizza il clima politico all’indomani dell’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico in “Il rilancio del bipolarismo come habitus mentale”[32]. Partendo dal tragico naufragio di Cutro del 26 febbraio 2023, avvenuto nelle stesse ore in cui veniva scelto con le primarie la nuova segretaria nazionale del Partito Democratico, l’autore analizza la curiosa coabitazione «di due donne nei ruoli apicali della politica italiana» che sembrano riproporre, anche in ragione dell’esito elettorale dello scorso settembre, il ritorno a quel bipolarismo che, da almeno un decennio, sembrava non essere più in grado di tornare alla ribalta, ma che, secondo Spada, è ancora in grado di essere rilanciato, dato anche «la persistenza del contesto politico-culturale nel quale viviamo da quasi trenta anni».

I primi passi falsi del governo nella Diciannovesima legislatura

Marco Severini, docente di Storia contemporanea all’Università di Macerata, analizza in chiave storica per Democrazia futura “I 200 giorni del governo Meloni”[33] osservando come «malgrado l’accesso della prima donna a Palazzo Chigi  e l’elezione di Elly Schlein al vertice del Partito Democratico rimane in Italia un marcato divario di genere». Precisa Severini che «per la prima volta la storia politica italiana è dunque in mano a due donne di mezza età, la più grande alla presidenza del Consiglio dei ministri e la più piccola alla guida del principale partito di opposizione. Riusciranno a scalfire e magari a cambiare l’impalcatura maschile e maschilista del sistema politico italiano?».

Ancora Stefano Rolando in “Con quel che resta dei votanti, domina il centrodestra”[34] commenta per Democrazia Futura il voto amministrativo, sottolineando nell’occhiello come “Alle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia stravince l’astensione. Sei su dieci”. Più che «I risultati conseguiti dai partiti nelle due regioni» e «le vittorie senza sorprese di Rocca nel Lazio e del governatore uscente Fontana in Lombardia» anche in questa occasione è «l’astensionismo il grande protagonista di queste elezioni regionali». Serve, secondo l’autore, una rigenerazione politica che possa invertire la tendenza, altrimenti l’astensionismo diventerà «una cosa acquisita», con i rischi che ne deriveranno per la tenuta democratica.

Gianluca Veronesi si domanda “Come si fa a vivere in clandestinità per trent’anni mentre tutto il mondo ti dà la caccia”, come recita l’occhiello dell’articolo dal titolo “Sì, sono proprio io, Matteo Messina Denaro!”[35] – che è anche la frase disarmante con la quale il capo-mafia ha ammesso la sua identità alle forze dell’ordine – mettendo a confronto due eventi apparentemente diversi come il funerale di Gina Lollobrigida e l’arresto di Messina Denaro. «Nel primo caso – osserva l’ex direttore della comunicazione della Rai – urla di contestazione dalla folla verso i parenti della defunta, considerati lestofanti e “profittatori”, nel secondo il silenzioso défilé di un impassibile signore in coordinato di montone […].  Il marito, il figlio, il nipote e il “figlioccio” dell’attrice (forse nella sua affettività qualcosa non funzionava) apparivano più criminali del boss dei boss».

Salvatore Sechi, già docente di storia contemporanea presso l’Università di Ferrara, analizza, come da titolo dell’articolo, “Il nuovo corso del Partito Democratico”, ricercando, come recita l’occhiello, “Perché la vena utopica di Elly Schlein si può giustapporre con la prassi socialdemocratica di Stefano Bonaccini”. Nella prima parte (“Dall’evangelismo socialista all’utopismo di Elly Schlein”[36]) Sechi analizza il significato dell’alleanza tra la neo segretaria del Partito Democratico e il suo sfidante Stefano Bonaccini, eletto nuovo presidente del Partito. Sostiene l’autore che «non è interamente vero che blocchi sociali e partiti non possono cambiare. In questo senso l’alleanza tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini riecheggia un passaggio storico e classicamente emiliano», quello tra il «socialismo evangelico dal quale è nato il Psi» e «la prassi socialdemocratica, il concretismo delle ascendenze salveminiane». Nella seconda parte (“Nel nuovo Pd i cacicchi sono esecrati, ma vincono ancora”[37]) lo storico torna sulla composizione dei nuovi organi dirigenti del PD: da un lato un parlamentino, l’Assemblea nazionale, in cui non è affatto scontato che Elly Schlein disponga della maggioranza, dall’altro – seguendo la tradizione del Comitato Centrale nel vecchio PCI – una Direzione «decapitata di ogni reale potere di intervento»  per la cui elezione «si è fatto ricorso al peggio della storia del partito, cioè ai capicorrente, ai cacicchi e al nuovo albero da sfrondare, il gender, cioè le donne». Nella terza parte (“Prigioniera o vittima consenziente?”[38]) affronta il rapporto della neo segretaria del PD con i sogni e i miti, compresi quelli ideologici, della sua generazione, per poi spronare Schlein ad «avere il coraggio di riagganciare un rapporto privilegiato con le socialdemocrazie», dovendo necessariamente scendere a compromessi, finanche ad abbracciare un liberalismo economico per «favorire più concorrenza nel nostro sistema produttivo e stabilire un patto con Confindustria e sindacati». 

La questione del rinnovamento della sinistra interessa anche l’articolo di Michele Mezza, dal titolo “La resurrezione della sinistra in Italia: partito e sindacato, a che pro?”[39]. Il lungo articolo è diviso in sette parti. Nella prima (“Un partito del lavoro? O piuttosto il dilemma ‘socialismo o barbarie’?”) si sottolinea da parte dell’autore «l’estraneità di questa sinistra al Ventunesimo secolo», non avendo compreso come «in tutto il mondo il lavoro non è più la caratteristica che distingue i produttori dalla rendita, e nemmeno il terreno su cui innestare conflitti che contestino sia la distribuzione del reddito sia, soprattutto del potere». Due nuovi fenomeni «la smaterializzazione del lavoro mediante sapere informatizzato e il decentramento della partecipazione attivi fino al singolo individuo, sono i nodi che sembrano antitetici a un’idea di sinistra laburista. È questo il gorgo da cui uscire per entrare nel nuovo secolo. Su questo – conclude Mezza – il Pd è muto da sempre». Un partito e una sinistra che non sa affrontare «il dualismo fra calcolanti e calcolati che ha sostituito radicalmente la contraddizione capitale/lavoro» e «in gioco è la stessa riproduzione della specie, altro che il lavoro». Una sinistra al passo coi tempi dovrebbe dunque interrogarsi su come avvenga il calcolo, chi lo regoli e lo governi, in nome di quali valori e obiettivi. Nella seconda parte (“Elly Schlein una promessa più che una speranza. La nuova segretaria del Pd di fronte alle domande del Ventunesimo secolo”), Mezza individua in Elly Schlein colei che «porterà la sinistra italiana nel Ventunesimo secolo, facendolo entrare dalla porta di una globalizzazione delle ambizioni di una neo-borghesia globale, che si basa su un’alleanza universale fra i primi e gli ultimi». Tuttavia nella terza parte (“Un partito in cerca d’autore, una comunità senza arte né parte priva di un progetto”) l’autore sottolinea come la millennial che ha preso il posto dei vecchi dirigenti, se da un lato ha messo in cima al programma «un vigoroso ed entusiastico impegno contro gli eccessi del capitalismo», dall’altro non è stata in grado di dire una sola parola in merito alla grande trasformazione digitale. E il Pd sempre più assomiglia a «un partito di ceto alto, che scambia attenzione per gli ultimi con una supremazia culturale che vuole poi trasformare in diritto». Nella quarta parte (“Il sindacato presidenzialista”) è analizzata la rielezione di Maurizio Landini al vertice della CGIL, sottolineando come tale risultato sia stato ottenuto sulla base di un mandato a centralizzare il potere nelle mani del segretario a spese di «una visione dei processi sociali che non convince». Il grande problema della trasformazione digitale è quasi ignorato, mentre sembra quasi che la CGIL voglia «usare il mondo digitale per ottimizzare le sue relazioni, non per sperimentare modelli organizzativi e sociali alternativi a quelli imposti dalle grandi piattaforme: vuole essere più brava dei padroni, si potrebbe dire». Nella quinta parte (“Meloni alla Cgil: se il peluche diventa sindacato”) Mezza evidenzia quello che definisce “un intervento abilmente ruffiano – quello di Giorgia Meloni al XIX Congresso nazionale della CGIL, il 17 marzo 2023 – favorito da un contesto fragile ed evanescente». Al sindacato viene richiesto un ruolo subordinato in cambio di “redditi accessori” e di “servizi sociali compensativi”. Tocca alla CGIL accettare l’offerta o «ritrovare un’identità di soggetto politico globale, che rappresenta una visione del mondo da parte del lavoro». Frattanto anche gli interrogativi su Elly Schlein iniziano a prendere corpo, come si evince dalle domande della sesta parte (“La segreteria Schlein: una matrice veltroniana?”[40]), partendo dall’ipotesi che la fisionomia della segreteria messa a punto dalla neo segretaria ricordi le logiche della segreteria del PDS di Walter Veltroni (1998): «ci risiamo», secondo Mezza, per cui Elly Schlein «presenta il vertice di un partito che non c’è», «un gruppo dirigente esterno, meglio in outsourcing, a cui si appalta l’efficientamento della struttura». Tuttavia gli interrogativi fioccano: «quale idea di Paese di intravede? Quale filosofia nella relazione fra città e periferie? Quali interlocutori e priorità si vogliono rappresentare? Nell’ultima parte [“Il silenzio di Elly (nonostante la conferenza stampa)”[41]] gli interrogativi aumentano. «Dopo settimane di immersione, la nuova leader del partito ha finalmente preso la parola. Da sola, senza collaboratori o altri dirigenti». «Anche se poi ha via via spento ogni accenno di dibattito sui temi che erano stati agitati da diversi componenti del vertice del partito». «La segreteria sarà un forte organismo politico – ha spiegato a chi ha chiesto lumi. “Tutto politico”, ma per fare cosa?».

Alberto Leggeri per il suo passato incarico di professore di geografia al Liceo cantonale di Lugano ha avuto occasione di conoscere molto da vicino una studentessa chiamata Elly Schlein. Lo rievoca in “Elly Schlein negli anni liceali, una forza della natura”[42]. Dal ritratto, che per volontà espressa dallo stesso Leggeri non è agiografico, emergono i tratti salienti di una esponente di una generazione appassionata alla musica rock e che non si identifica in nessuna nazionalità. Pur tuttavia brillante, anzi, stando al suo professore e garante per l’ottenimento della cittadinanza elvetica, persino geniale

Sulla “sorpresa” Elly Schlein contribuisce anche Gianluca Veronesi il quale, a 10 giorni dall’elezione ai gazebo della nuova segretaria del Partito Democratico, con il solito umorismo che lo contraddistingue, in un articolo, “Eva contro Eva”[43], ha analizzato «Il risveglio a sorpresa dell’opposizione con l’elezione di una passionaria» che avrebbe «goduto di una sorta di traino (certamente involontario) da parte del fenomeno Meloni. Uno specchiamento – chiarisce Veronesi – per cui alla “passionaria” di destra si risponde con la passionaria opposta. Donne giovani, determinate e radicali». Nella seconda parte dell’articolo (“Fatti e opinioni: l’errore micidiale di Giorgia Meloni”[44]) Veronesi di domanda perché la presidente del Consiglio non abbia voluto incontrare sopravvissuti e defunti del terribile naufragio di Cutro in Calabria, qualificando questa scelta giustappunto come «l’errore micidiale di Giorgia Meloni». Segue nella terza parte (“Sono arrivato prima io”) un ritratto di Giuseppe Conte, definito nell’occhiello “l’uomo di lotta e di governo”. «Ora che – scrive Veronesi – egli è “progressista” (non si definisce mai “di sinistra”) può regnare sovrano. Luigi Di Maio si è suicidato e Beppe Grillo, come tutti i santoni, sta scrivendo il vangelo della sua nuova religione. Conte è entrato nella parte con disinvoltura e la recita con convinzione. L’avvocato del popolo si è trasformato in capopopolo». Nella quarta parte (“Fratelli coltelli”) è evocato, come recita l’occhiello, “un divorzio, quello fra Matteo Renzi e Carlo Calenda, pronosticato sin da giorno dell’intesa”. «Due dei più intelligenti, vanitosi, arroganti personaggi della politica italiana – sostiene Veronesi – non potevano resistere insieme. Il vero problema era la leadership».

La spaccatura del terzo polo induce a una riflessione da parte di Stefano Rolando, in “Terzopolo fratto due”[45], il cui occhiello recita “Perché non stanno bene due galli in un pollaio, ovvero nella palude centrista”. Calenda e Renzi sono dunque i due “galli” che «per rigenerare veramente una vera nuova forza liberaldemocratica – osserva Rolando – avrebbero dovuto dedicarsi ad un serio aggiornamento degli aspetti teorici, in sé molto complessi, appunto della liberaldemocrazia, aggiornata al terzo millennio e su scala globale». L’autore ritiene che la rottura «da un lato potrebbe anche essere un fattore di chiarimento politico, nel senso di un’opportunità di riaprire un cantiere della politica intermedia su altre basi, ma che porta con sé l’altro lato, cioè alcuni seri rischi, che anche dall’interno dei due partiti sono balenati tra i primi commenti. E che spingono ora alcuni esponenti a cercare quella che appare una impossibile ricomposizione».

La narrazione della Nazione anziché del Paese e i rischi di ingorgo istituzionale e di errori giudiziari

Stefano Rolando analizza nel dettaglio il piano del turismo 2023-2027 in “I numeri verranno, ma intanto si annunciano a Il Sole 24 Ore i compiti tra Stato e territori in materia di ‘brand Italia’”[46]. L’occasione è fornita dall’intervista a Daniele Santanchè, ministro del Turismo, realizzata da Maria Latella. L’attenzione si pone sulla divisione di compiti fra Stato centrale e territori, volendo promuovere il primo il brand Italia (rispolverando una terminologia anni Ottanta), lasciando ai secondi il compito di disegnare «specificità identitarie e di proposte». Frattanto, stando ai dati del 2022, si registrano cali delle presenze alberghiere, non ancora in pari con le presenze del 2019.

Lo storico Salvatore Sechi tocca un altro tasto dolente del brand Italia (se lo si considera in termini di immaginario stereotipato), quello della criminalità organizzata, nell’articolo dal titolo “La mafia non è finita, ma non è più quella dei corleonesi”[47], che riproduce l’epilogo tratto dal libro La Mafia non è finita. Dalla trattativa con lo Stato all’arresto di Messina Denaro (1993-2023). L’autore offre un’interpretazione originale della trattativa Stato-Mafia arrivando a definirla – pur in termini meramente ipotetici – “La ‘via giudiziaria al socialismo’”, come recita l’occhiello. In sostanza, argomenta l’autore, la trattativa non sarebbe partita dalla Democrazia Cristiana, semmai dal Partito Comunista Italiano e dai suoi eredi politici (PDS e DS). Se l’accusa di aver favorito la mafia è sempre stata ai danni della DC, tuttavia i fatti, secondo Sechi, mostrerebbero ambigue iniziative da parte della sinistra a vantaggio del fenomeno mafioso, per esempio «il fuoco di sbarramento da parte della sinistra comunista […] e di quella giudiziaria» (nel novembre 1991) «contro l’istituzione della Direzione investigativa antimafia, sia contro lo stesso Giovanni Falcone che l’aveva ideata e si era proposto di capeggiarla». Sostiene Sechi, per riassumere la sostanza dell’articolo, arricchito peraltro da un corollario di testimonianze e citazioni, che «nell’esaminare la trattativa Stato-mafia lascia, nondimeno, interdetti (e maldisposti verso investigatori superficiali e poco coraggiosi) un’omissione prolungata nel tempo. Lo si può chiamare, benevolmente, una sorta di inveterato silenzio (simile a quello da cui vengono circondati gli “intoccabili”)».

Giornalista pubblicista laureata in Scienze storiche, Rossella Pera, in “La Cassazione nega la trattativa Stato-Mafia. Salvatore Sechi la ribadisce”[48], apparsa su La Giustizia (6 marzo 2023), intervista lo storico, autore de La mafia non è finita. Dalla trattativa con lo Stato all’arresto di Messina Denaro (1993-2023). L’autrice presente la sua intervista con queste parole: «il professor Sechi, che a livello nazionale e internazionale si è distinto per i suoi studi sul movimento operaio e sulla sinistra italiana e non, negli ultimi anni ha rivolto la sua attenzione all’approfondimento e all’analisi del crimine organizzato di stampo mafioso. È proprio sul tema delle mafie, vera emergenza del nostro Paese, che il professore mi ha accordato questa intervista, certi dell’importanza della diffusione di una cultura di legalità, troppo spesso issata come inutile vessillo e sventolata alla bisogna».

Parte seconda

Comunicazione e guerra. Storie di media e società nell’era del conflitto in Ucraina

In primo piano. La fine dei burattinai e il tramonto della cultura nazional popolare tra concentrazione e scarsa progettualità

Il Risorgimento è rievocato nel titolo dell’articolo di Guido Barlozzetti, “Le cinque giornate di Sanremo”[49] nel quale l’autore si domanda fin dall’occhiello se Sanremo sia finito. Sanremo inteso l’evento per antonomasia di quel che resta della tv generalista e della tradizione nazional-popolare. Ricorrendo all’artificio retorico del climax in un crescendo (Il Presidente, I Trasgressori, l’Influencer), il festival della canzone avrebbe raggiunto la propria apoteosi nell’edizione del 2023 e nello stesso tempo «un punto di crisi», assecondando la tendenza «a gonfiare un iper-contenitore pensato per stupire a ogni costo e per alimentarsi di tutto il possibile della televisione e della (sua) realtà», compresa quella parallela dei social network. Conclude Barlozzetti: «Non è il Titanic che si va a schiantare contro l’iceberg, no, è il grande transatlantico del Festival con cantanti e orchestra che, mentre celebra sé stesso, senza accorgersene, entra in un’altra dimensione che riguarda sia il modo di consumare, sia le strategie in base a cui quel consumo viene promosso e organizzato, sia il tempo-spazio in cui viene accolto. Una soglia, un punto di contatto critico, come la faglia di un sisma. È accaduto, in un modo in cui è difficile capire quanto sia dovuto alla premeditazione o alla superficialità, ma è accaduto ed è un punto di non ritorno».

Sul Festival di Sanremo interviene anche Gianluca Veronesi nell’articolo “L’intensità del piacere è inversamente proporzionale alla sua durata”[50], definendo lo spettacolo, come da occhiello, “l’ultima riunione di famiglia”. In che senso? Nel senso – spiega l’autore – che «questo era l’ultimo festival del vecchio mondo, dell’era precedente, “del prima”. In attesa che cambi tutto il quadro dirigente della Rai e quindi, a cascata, gli organizzatori, i presentatori e gli ospiti del festival, Matteo Salvini ci ha anticipato il futuro».

Marco Mele, giornalista e saggista, esperto e analista dell’industria dei media, in “Il paradosso della concentrazione nell’era delle smart tv”[51], parte dal presupposto della crisi delle televisioni, vittime di sempre minori ricavi dalla raccolta pubblicitaria, mentre alcuni network (Bbc) si preparano ad un futuro esclusivamente online. Cosa attende l’Italia su questo fronte è stato parzialmente svelato dalla relazione annuale di Auditel in Parlamento. Auditel «chiede un sistema normativo ‘più strutturato’» e a finire nel mirino è anche la concentrazione del sistema dei media «nelle mani di due campioni nazionali», i quali tuttavia si dimostrano fragili «di fronte all’evoluzione dello scenario». «La concentrazione – conclude Mele – non si supera, ma facilita la progressiva ‘cessione’ del sistema della comunicazione e dello stesso Paese».

Mario Pacelli, Docente di Diritto pubblico nell’Università di Roma e Giampaolo Sodano, già dirigente Rai, in un articolo “La televisione e il servizio pubblico al tempo della civiltà digitale”[52], illustrano quella che nell’occhiello viene definita “Una modesta proposta di trasformazione della Rai in un ente pubblico”. I due autori, dopo un lungo excursus storico «dall’EIAR alla Rai», una volta chiarito «cos’è stata la lottizzazione», nel paragrafo dedicato a «La Rai nel quadro competitivo odierno» osservano come «nel breve giro di pochi anni il servizio pubblico televisivo ha perso la sua spinta innovatrice e la propria identità fino al punto che il pubblico non avverte più alcuna differenza tra le reti RAI e quelle delle televisioni commerciali, nazionali o estere che siano». Partendo da questa premessa, per Pacelli e Sodano «si tratta di riformare la Rai e di redigere un nuovo contratto tra essa e lo Stato in modo di garantire una vera riorganizzazione dell’offerta editoriale e una funzione di sostegno e promozione delle imprese audiovisive nazionali e delle istituzioni culturali». Di qui la proposta: «Attualmente la RAI è una società per azioni con capitale interamente di proprietà pubblica (salvo una piccolissima quota della SIAE): può essere agevolmente trasformata in ente pubblico con il fine istituzionale della promozione culturale utilizzando lo strumento della comunicazione radiotelevisiva e delle nuove piattaforme per presidiare in ottica crossmediale tutte le opportunità offerte dalle nuove forme di comunicazione in rete».

Sempre Guido Barlozzetti ricorda Maurizio Costanzo in un breve quanto ficcante ritratto dal significativo titolo “Il grande burattinaio della televisione”[53], aprendo la riflessione sul ruolo dei media nella nostra società. Costanzo è pertanto accomunato a Bruno Vespa come grande cerimoniere «della conversazione del Paese con il Paese», giustappunto “grande burattinaio” televisivo. Sostiene infatti Barlozzetti che «a pensarci bene Costanzo ha fatto in televisione quello che la commedia all’italiana ha fatto al cinema, ha dato parola a un campionario di “mostri”, a un’umanità aspirante alla promessa mediatica della visibilità», come sorta di «Mangiafuoco [intento] a esibire e telecomandare i burattini».

Politicamente scorretto. Riflessioni di un giornalista fuori dal coro. Così si definiva Gianni Minà in un libro del 2007 dal medesimo titolo. Guido Barlozzetti lo ricorda in un articolo, “L’epica confidenziale di Gianni Minà”[54], evidenziando come questo grande narratore sia «stato sicuramente un protagonista del giornalismo, capace di evocare al solo nome uno stile in quel particolare esercizio che è l’intervista (e il documentario) e di assurgere a modello di sé stesso. Ci lascia un’epica confidenziale, capace di entrare nell’intimità di chi si offre al gioco delle domande e delle risposte e, insieme, di coinvolgere lo spettatore nel segreto di un confessionale». Con lui se ne va anche quella televisione e quel giornalismo che «si è andato rinchiudendo nelle redazioni, poco sensibile ormai a uno spirito liberal-socialista e fervidamente umano formatosi negli anni Cinquanta e Sessanta con le tensioni e gli ideali di quei decenni».

La seconda primavera dell’intelligenza artificiale. Una partita che investe molto la difesa

Renato Parascandolo, saggista e già direttore di RAI Educational, si interroga, come da titolo del suo articolo (pubblicato sul sito dell’Associazione Articolo 21), “Chi ha paura di ChatGPT?”[55]. La risposta è che «giornalisti, scrittori, poeti, traduttori, musicisti, pittori, grafici e designer, professori e studenti, dalle primarie all’università, e una buona parte dei colletti bianchi saranno costretti a ripensare radicalmente al modo in cui hanno finora svolto il loro lavoro e i loro studi». Facendosi nel frattempo strada «il fondato timore di vedere ridimensionato il proprio lavoro o addirittura di perderlo».

Paolo Anastasio, giornalista specializzato in ICT, Digital Economy e Telecomunicazioni, in “Metaverso verso una meta”, esprime alcune considerazioni di carattere generale che riguardano l’avvento di questa nuova tecnologia immersiva che promette di cambiare alla radice il modo in cui si interagisce nel mondo digitale. L’articolo diviso in sette parti. Nella prima (“Web3 vs Metaverso: che differenza c’è?”[56]), vengono spiegate le differenze tra due termini spesso erroneamente ritenuti sinonimi; nella seconda (“Come il Metaverso può connetersi con il mondo reale e con quali tecnologie: NFT e IoT”[57]) si prende in esame il ruolo dei cosiddetti Token non fungibili e l’Internet delle cose (Internet of Things); nella terza (“Metaverso, realtà virtuale sì ma non tutti i giorni”[58]) si sostiene che «la realtà virtuale va usata per scopi particolari perché restare immersi per troppo tempo è dura e deve valerne la pena», anche se vi sono senz’altro benefici ben delineati dall’autore; nella quarta (“La nuova funzione di tracciamento delle mani di Meta, un assaggio del futuro”[59]) si mostra questa nuova tecnologia, definita Direct Touch, che simula «il tocco di una tastiera”; nella quinta (“Meta, l’Intelligenza Artificiale generativa volano di sviluppo per il metaverso”[60]) si mostra come Meta sta investendo in modo massiccio nell’Intelligenza Artificiale generativa e ritiene che possa essere un driver di sviluppo per il metaverso, che tuttavia l’anno scorso ha tradito le attese; nella sesta (“Intelligenza Artificiale e metaverso, entro fine 2023 dovremmo poterci caricare un nostro caro morto sul computer”[61]) è delineata la possibilità di poter «caricare sul Pc la memoria di un parente o un amico deceduto prematuramente per continuare ad interagire […] come prima»; nella settima, infine (“Vestager (Antitrust Unione europea) ‘Il metaverso va regolato e anche Chat GPT’”[62]), è delineato un futuro di regolamentazione anche per questa tecnologia, anticipata dalle parole della commissaria europea alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager: «è già tempo per noi di cominciare a domandarci come deve essere una sana concorrenza», naturalmente estesa allo spazio virtuale.

Flavio Fabbri in “L’esplosione del mercato dell’Intelligenza Artificiale”[63] mette al centro del suo articolo i programmi di regolamentazione dell’Unione Europea, fermo restando una base di ottimismo quando il titolo della prima parte dell’articolo accenna al fatto che «sfruttando meglio i dati, l’economia globale potrebbe lievitare di 15 trilioni di dollari entro il 2030». Da una parte l’UE intende regolare questo mercato, dall’altra il Regno Unito preferisce, come da tradizione, il laissez-faire. L’AI porta con sé inoltre i rischi legati all’industria bellica, che potrebbe volgersi in futuro alla produzione di robot armati.

Michele Mezza affronta il nodo del servizio pubblico di fronte all’irruzione dell’Intelligenza Artificiale nell’audiovisivo, in un articolo dal titolo “Chat GPT e la mediamorfosi della televisione”[64], nel qual analizza gli effetti della rivoluzione tecnologica in atto, che presto introdurrà strumenti di AI molto più sofisticati degli attuali, invitando la Rai e il servizio pubblico a realizzare il passaggio da quella che definisce come la “storicizzata passività” del pubblico «all’intraprendente complicità dell’utente», ovvero attraverso il ricorso ai big data e alla «metarealtà di ogni nostra azione digitalmente meditata». Se nell’ambito giornalistico la profilazione della massa «porta a ricomporre la scissione fra informatica e informazione, rendendo la macchina giornale una piattaforma algoritmica che, al pari della altre, deve analizzare matematicamente la massa dei contenuti», sostiene Mezza che «lo stesso processo si sta verificando nel ciclo produttivo dell’audiovisivo», dove l’intelligenza artificiale è ormai già un “coproduttore multimediale”. Le conclusioni per la tv sono che, se da una parte «siamo ancora ben al di là del Rubicone dell’abbinamento ad ogni singolo utente», allo stesso tempo siamo in grado di immaginare che «il calcolo di ingenti masse di dati nell’elaborazione di produzioni e programmazioni» condurranno «sempre più [ad estendere] il ruolo di una elaborazione artificiale per assicurare una produzione aumentata in ogni economia di scala».

Pieragusto Pozzi, in un accurato contributo, “La primavera dell’intelligenza artificiale e la bozza di regolamento europeo AI Act”[65] esamina le politiche europee per l’intelligenza artificiale e, nella fattispecie, il Libro Bianco sull’intelligenza artificiale. Un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia dal quale derivano «le linee guida dell’Artificial Intelligence Act (AI Act)», evidenziando quindi «le questioni ancora in discussione», prima di trarre le conclusioni. E le conclusioni – ragiona Pozzi – sono che «andrebbero […] evitati nei confronti di queste nuove applicazioni, come sempre, atteggiamenti entusiastici (spinti spesso da manovre di marketing) e atteggiamenti incuranti (“non c’è niente di nuovo”)» evidenziando invece «i limiti dello strumento informatico rispetto alla ragione umana. Limiti che l’attuale straordinario sviluppo dell’intelligenza artificiale sembra, di nuovo, portarci a dimenticare».

Parte terza Rassegna di varia umanità. Elzeviri, saggi, studi, interviste, analisi, commenti, interpretazioni, ricordi e altre amenità dello spirito, del pensiero e del gusto

A dodici giorni dalla scomparsa a 96 anni, Democrazia futura ha chiesto a Stefano Rolando di ricordare la figura di Giorgio Ruffolo (1926-2023) ripubblicando una sua intervista del 2010 per Mondoperaio alla vigilia delle celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Sono passati tredici anni da quell’intervista che possiamo considerare come una sorta di testamento politico di quello che a lungo è stato l’animatore del Centro Europa Ricerche e sembra un’eternità. “La politica come progetto per programmare il nostro futuro“[66]. In Italia e in Europa, pur considerando che – raccontava Ruffolo – «Pensare che gli italiani possano essere gli antesignani di una nuova Europa senza avere una personalità nazionale è andare a caccia del niente. Se non recuperiamo un’identità nazionale e un’entità nazionale siamo fuori dalla logica con cui l’Europa è costruita».

La storica Sara Carbone rievoca con Franco Perlasca la figura del padre Giorgio Perlasca, un uomo politicamente scorretto[67], riconosciuto in Israele come un Giusto fra le Nazioni per aver salvato la vita a numerosi ebrei spacciandosi per console spagnolo a Budapest. Noto per la fiction prodotta dalla Rai nel 2002, Perlasca, un eroe italiano, è stato da taluni impropriamente definito lo “Schindler italiano”. Fascista dannunziano, già volontario in Spagna a fianco di Francisco Franco nel corso della guerra civile, non aveva esitato, durante l’ultima fase del secondo conflitto mondiale, a mettere da parte la sua fede politica e a seguire ciò che gli dettò di fare la sua coscienza.

Roberto Cresti si accosta in modo inedito a uno dei più grandi pensatori politici italiani nel suo articolo “Anonimo mazziniano”[68], il cui occhiello recita “L’artista e il Politico”. Invero Mazzini non fu artista in senso stretto, ma di certo – almeno secondo Cresti – egli fu ispiratore di artisti, se anche non si vuole riconoscere nell’apostolo della nazione il piglio dell’artista rivoluzionario. D’altra parte l’interesse di Mazzini per le arti era iniziato fin dalla giovinezza, riservando saggi su Dante (1826) e sul dramma storico (1831) per approdare poi, nell’esilio londinese, a scrivere pagine di critica d’arte per la London and Westminster Review (1841). Scrive l’autore che «benché Mazzini ponesse in linea gerarchica la Musica, la Poesia e soltanto al terzo posto la Pittura, egli vedeva nelle tre il solito ‘associarsi’ indispensabile a ogni elevazione dal piano materiale fino alla realizzazione su quello spirituale». Ed ecco quindi che il pensiero mazziniano provoca una (re)azione sul piano della figurazione: «Francesco Hayez, è il primo nome […] fra i pittori di quella scuola. Mazzini lo elegge a capofila». Seguiranno Nino Costa, Giovanni Fattori, Silvestro Lega. Conclude Cresti che “si avverte il formarsi, nel contesto del milieu macchiaiolo, di un umanesimo risorgimentale, di una religio laici che agisce ispirando le coscienze come un mitologema. Chi, se non Mazzini, ne era all’origine, quale altro protagonista di quegli anni?»

Salvatore Sechi in un saggio breve ma esaustivo mette a nudo il difficile rapporto tra l’economista “Piero Sraffa, il Partito Comunista Italiano e la storia d’Italia. Alcune divergenze di analisi dello studioso con il pensiero di Antonio Gramsci[69], sostenendo innanzitutto che Sraffa sia stato impunemente «reclutato come comunista». Sebbene la sua visione della storia d’Italia e dell’affermazione del fascismo assumesse «come centrale ed esaustivo il conflitto capitale-lavoro», non ritendendo pertanto che «alle origini il fascismo fosse un regime alternativo a quello liberale», tuttavia a suo avviso il fascismo «andava lasciato arrivare a compimento, senza forzarne il percorso con azioni di rottura». La critica si appuntava semmai sul corporativismo, visto come una foglia di fico intesa «a dare un aspetto moderno a una dittatura di vecchio stampo» e al fascismo stesso, temendo ancora negli anni Venti che questo potesse diventare una sorta di modello per altri Paesi d’Europa. Da questa sua indipendenza di giudizio sorsero scontri e incomprensioni con esponenti comunisti italiani, primo fra tutti Antonio Gramsci, sebbene il rapporto tra Gramsci e Sraffa si riveli in fin dei conti sorprendente.

Parte quarta. Rubriche

Per la rubrica De nobis fabula narratur Licia Conte, scrittrice, giornalista e autrice radiofonica e Livio Barnabò, senior strategy consultant and policy designer, propongono una riflessione “A proposito di femminismo”[70] sotto forma – come recita l’occhiello – di “Dialogo tra due amici su utero in affitto, fluidità di genere e dintorni”. «Mi convinsi – ricorda Licia Conte – di trovarmi davanti a uno dei più grandi movimenti della nostra storia: le donne in massa avevano deciso non soltanto di prendere in mano il proprio destino, ma anche quello dell’umanità (con gli uomini? non era chiaro). Le donne insomma non volevano più essere pensate, ma pensare; non volevano più essere raccontate, ma raccontare sé stesse e il mondo; non volevano più essere dirette, ma co-dirigere il mondo» conclude Licia Conte. «Quello che più mi ha colpito (e convinto) – gli risponde Livio Barnabò – è la tua affermazione che la rivoluzione femminile è, sotto il profilo antropologico, il più potente fattore di trasformazione del mondo in cui viviamo». «Detto questo, ho però l’impressione di una fase contradditoria del percorso».

Venceslav Soroczynski per la rubrica Il piacere dell’occhio rivede “La notte di Michelangelo Antonioni, 1961”[71], titolo stesso dell’articolo dedicato alla pellicola del regista ferrarese. «E l’inesplicabile – sostiene Soroczynski – , ma non per questo necessariamente inespresso, entra con dita e mani dentro la pasta fresca – eppure marmorea – di questa pellicola e impasta davanti ai nostri occhi le debolezze, i dubbi, l’instabilità, lo smarrimento dell’ambiente borghese nel quale il suo autore nacque e i suoi personaggi vivono». Per concludere si potrebbe sostenere, come fa l’autore dell’articolo, che La notte sia «il sogno che facciamo la sera», «un sogno in bianco e nero, dentro un film in bianco e nero, che parla di sentimenti in bianco e nero».

Per la stessa rubrica Guido Barlozzetti scrive un articolo-recensione “Il Sol dell’avvenire è…Cinema”[72]. Il Meta-Cinema di Nanni Moretti con cui il regista romano riflette sul contesto delle piattaforme che spingono il cinema a una deriva di intrattenimento contro la quale l’autore appone un energico gran rifiuto. Un filo narrativo, quello del film, che è quasi un «percorso musical-sentimental-politico» e che parte da un’utopia non avveratasi nel passato (quello del 1956 e della tragica rivolta di Budapest) per arrivare al presente dove lo spettatore è alle prese con un alter ego del regista (Giovanni) che «scambia continuamente dal film che Giovanni sta girando al film cornice, dalla scena al set, in un dentro/fuori che dà spazio al sogno e all’immaginazione, e affida al Cinema il riscatto della vita».  

Passato prossimo non venturo propone “Una sera a Roma con Dizzy Gillespie[73] è, come recita l’occhiello dell’articolo, “un ricordo di un concerto in Italia negli anni Ottanta del grande trombettista afroamericano”, rievocato da Lucio Saya. Dopo la sua performance all’Eur, invitato a cena dai suoi amici romani «Dizzy naturalmente fu fatto sedere a capotavola ma, stanco com’era, faceva un po’ pena; al di sopra della tavola spuntava solo la testa e le palpebre erano abbassate per metà. Con l’ospite d’onore in quelle condizioni la conversazione era balbettante. Ma – aggiunge Saya – dopo un piattone di fettuccine e qualche bicchiere di un rosso eccellente, gli occhi si aprirono un po’ di più e», come d’incanto «l’ospite d’onore era completamente recuperato. E anche la conversazione».

Con I contorni del caso Filippo Pogliani, filosofo manager per sua stessa definizione, oltre che consulente aziendale e poeta, inaugura una rubrica di riflessione filosofica sui nostri tempi. Il primo articolo ispirandosi ad un quadro di Giacomo Balla, Finestra su Düsseldorf, e da una citazione dal Canto per l’Europa di Paolo Rumiz, tratta “Dell’opacità”[74]: «con la difficoltà a gestire i miliardi di dati che riceviamo nei dispositivi che usiamo – scrive Pogliani – quello che è sicuro è un senso che c’è nell’opacità delle cose, negli sguardi delle persone, nello spostamento del fuoco della visione, dalla diretta identificazione della realtà al suo perdersi».

Per la rubrica Riletture Venceslav Soroczynski propone “Jorge Luis Borges, ‘Le rovine circolari’, in Finzioni, 1944”[75]. «Il contesto del racconto è incerto, forse esotico, forse incoerente – scrive Soroczynski – ma ciò risulta secondario e ogni domanda in merito oziosa. È la storia che conta e la storia è quella di un vecchio che, approdato in canoa su una terra misteriosa, si pone un obiettivo, un “proposito sovrannaturale. Vuole sognare un uomo con minuziosa completezza e imporlo alla realtà.” Quel fine iperbolico richiederà tutte le sue forze, il suo tempo, “l’intero spazio della sua anima”, tanto da fargli dimenticare il proprio nome, il proprio passato, le proprie necessità. Egli si rifugerà in un tempio disabitato in riva al mare, finché non avrà realizzato il suo intento».

Per parte sua Italo Moscati in “L’impalcatura, il teatro, l’Eros”[76] per la rubrica Fresco di stampa propone una riflessione, come da occhiello, “a proposito della raccolta delle ventuno commedie di Luca Archibugi pubblicate da Nino Aragno”. «Luca Archibugi – scrive Moscati – ha formato e nutrito il suo compito di mettere in scena i suoi spettacoli in varie parti, nomi e cognomi, donne e uomini. Sono una serie varia che accende situazioni, scene, storie: sono piccoli mondi che tessono un tappeto di idee. Dentro a questo incalzare di personaggi scritti da Luca, vanno e si confrontano. Ogni parte è uno specchio di parole e di movimenti, attori che sono persone e persone che sono attori».

Memorie nostre

Nicola Macchitella, Product manager presso Facebook, con “La promessa che avevo fatto a mio padre”[77] lascia un saluto commovente e intimo rivolto a Carlo Macchitella (1952-2023), che Democrazia Futura ricorda come «produttore cinematografico di successo, colto e raffinato, autore di bei libri su cinema e televisione». È così che alla cerimonia funebre di addio, che si è tenuta sabato 11 marzo al Tempietto egizio del Cimitero monumentale del Verano, Nicola ha letto il suo personale commiato, riproposto dalla nostra rivista.

Alla straordinaria esperienza nel mondo dell’informatica di Elserino Piol (1931-2023) è dedicato il ricordo di Michele Mezza in “Un combattente che voleva essere superato dai suoi discepoli”[78]. Formato in quella azienda fucina di tecnici-intellettuali che fu l’Olivetti, Mezza definisce proprio per questo Piol un «intellettuale dell’informatica italiana», avendo potuto assistere al lancio del Programma 101, con cui si voleva lanciare «il primo personal computer del mondo». Il fatale 1962 colpì anche questo progetto che avrebbe reso il nostro Paese un pioniere mondiale dell’informatica. Fu l’imposizione statunitense a imporre la vendita del calcolatore alla General Electric, lasciando Piol «con la rabbia che ancora gli schiumava le labbra esattamente 50 anni dopo». Dovendo così ricominciare tutto da capo, «stando a schiena diritta nei confronti di tutti coloro che venivano a spiegarci che la Guerra non l’avevamo vinta».

Glossario

A chiusura di questo nono fascicolo, Michele Sorice, ordinario di Innovazione Democratica, Political Sociology e Sociologia della comunicazione alla LUISS di Roma, spiega per Democrazia Futura il significato della parola “Partecipazione”[79], ritenuta fin dall’occhiello “La parola chiave per capire l’acquisizione di competenze nelle pratiche democratiche”. Le parole conclusive dell’articolo sottolineano inoltre che, a determinate condizioni, «la partecipazione diventa un valore aggiunto della democrazia. La partecipazione come possibilità di essere uguali nel prendere parte». Ma tale processo deve potersi opporre alle «molte (e via via crescenti) esperienze di proceduralizzazione delle istanze partecipative» che rendono la partecipazione limitata alla “tecnicalità” o «alle possibilità offerte da logiche anestetizzanti gestite “dall’alto”».

In copertina e nelle pagine interne di questo nono fascicolo

Roberto Cresti, Ricercatore e docente di storia delle arti del Novecento all’Università di Macerata, presenta la figura di chi illustra con la riproduzione delle sue opere la copertina e le pagine interne di questo nono fascicolo. Anche in questo caso la scelta è ricaduta su un esponente del Gruppo della Metacosa: di “Lino Mannocci artista critico (1945-2021)”[80], Cresti evidenzia come “radicatosi col tempo sempre più nel milieu culturale anglo-americano, [Mannocci] ha teorizzato e praticato l’idea dell’“artista come critico”, dando comunque prova costante della sua sensibilità in qualsiasi contesto di lavoro: dalla tela alla lastra, all’allestimento di mostre, alla stampa minutamente curata”


[1] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-di-cotte-ma-soprattutto-di-crude/448156/.

[2] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-loccidente-on-my-mind-orgogliosamente-occidente/445045/

[3] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-cina-e-russia-nel-loro-nuovo-ordine-mondiale-il-cattivo-e-loccidente/438010/.

[4] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-cina-di-xi-iii-cala-in-tavola-le-carte-da-attore-globale-noi-rispondiamo-picche/439153/.

[5] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-ucraina-la-pace-di-xi-jinping-e-putin-non-convince-biden-e-zelenskyj-la-cina-e-globale/440253/.

[6] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/03/30/ucraina-punto-cina-apre-brecce-in-europa/.

[7] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/04/11/cina-ue-xi-mette-cuneo-usa-pace-chimera/.

[8] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/04/20/cina-partita-scacchi-occidente-taiwan-ucraina/.

[9] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-telefonata-puo-accorciare-la-guerra-ma-da-sola-non-basta/444523/.

[10] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-guerra-dei-microprocessori/439398/.

[11] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-america-first-messaggi-a-russia-e-cina/434667/.

[12] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/04/07/usa-2024-trump-repubblicani-in-riga-democratici-a-finestra/.

[13] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-putin-zelensky-biden-meloni-un-crescendo-di-retorica-e-di-rischi-guardando-a-pechino/436069/.

[14] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-iran-e-arabia-saudita-fine-della-guerra-o-semplice-decongestione/441002/.

[15] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-papa-francesco-e-la-ricerca-reiterata-di-un-dialogo-per-la-pace-in-ucraina/439921/.

[16] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/04/13/ucraina-punto-intelligence-diplomazia/.

[17] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-risorgimento-ucraino/437064/.

[18] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-e-vero-risorgimento-quello-ucraino-una-riflessione/446132/.

[19] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/03/20/iraq-20-anni-dopo-linvasione-basta-buoni-e-cattivi/.

[20] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-a-bruxelles-ne-vincitori-ne-vinti-ha-perso-lunione-europea/434860/.

[21] https://www.giampierogramaglia.eu/2023/04/06/finlandia-adesione-nato-sconfitta-putin/.

[22] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-non-dimentichiamo-la-bielorussia/441763/.

[23] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-emmanuel-macron-un-anatra-zoppa/444813/.

[24] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-elezioni-presidenziali-turche/441590/.

[25] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-patria-e-nazione/438292/.

[26] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-ancora-su-patria-e-nazione/439550/.

[27] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lidea-di-nazione-e-la-stolta-contrapposizione-della-resistenza-al-risorgimento/440758/.

[28] https://www.ilmondonuovo.club/il-fascismo-e-la-pancia-degli-italiani/.

[29] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-europeismo-versus-risorgimento/442960/.

[30] https://www.key4biz.it/essere-eretici-il-convegno-della-destra-sulla-cultura-in-italia-allassalto-soft-alle-casematte-del-potere-sinistrorso/441978/.

[31] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-draghi-e-meloni-politici-o-tecnici/442587/.

[32] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-rilancio-del-bipolarismo-come-habitat-mentale/445591/.

[33] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-i-200-giorni-del-governo-meloni/446679/.

[34] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-con-quel-che-resta-dei-votanti-domina-il-centrodestra/435007/

[35] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-si-sono-proprio-io-matteo-messina-denaro/438171/

[36] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dallevangelismo-socialista-allutopismo-di-elly-schlein/438599/

[37] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-nel-nuovo-pd-i-cacicchi-sono-esecrati-ma-vincono-ancora/438972/

[38] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-prigioniera-o-vittima-consenziente/443830/

[39] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-resurrezione-della-sinistra-in-italia-partito-e-sindacato-a-che-pro/439793/.

[40] https://www.terzogiornale.it/2023/04/11/la-segreteria-schlein-una-matrice-veltroniana/.

[41] https://www.terzogiornale.it/2023/04/19/il-silenzio-di-elly-nonostante-la-conferenza-stampa/.

[42] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-elly-schlein-negli-anni-liceali-una-forza-della-natura/442110/

[43] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-eva-contro-eva/437734/.

[44] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-fatti-e-opinioni-lerrore-micidiale-di-giorgia-meloni/438732/.

[45] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-terzopolo-fratto-due/443547/

[46] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-terzopolo-fratto-due/443547/.

[47] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-mafia-non-e-finita-ma-non-e-piu-quella-dei-corleonesi/445192/.

[48] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-cassazione-nega-la-trattativa-stato-mafia-salvatore-sechi-la-ribadisce/445208/.

[49] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-cinque-giornate-di-sanremo/440322/.

[50] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lintensita-del-piacere-e-inversamente-proporzionale-alla-sua-durata/435408/.

[51] https://www.tvmediaweb.it/tutti-uniti-tutti-insieme-scusa-ma-quello-li-non-e-loligopolista/.

[52] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-televisione-e-il-servizio-pubblico-al-tempo-della-civilta-digitale/447004/

[53] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-grande-burattinaio-della-televisione/436564/

[54] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lepica-confidenziale-di-gianni-mina/440558/

[55] https://www.articolo21.org/2023/01/chi-ha-paura-di-chatgpt-lintelligenza-artificiale-a-una-svolta/

[56] https://www.key4biz.it/web3-vs-metaverso-che-differenza-ce/439304/.

[57] https://www.key4biz.it/come-il-metaverso-puo-connettersi-con-il-mondo-reale-e-con-quali-tecnologie/440745/.

[58] https://www.key4biz.it/metaverso-realta-virtuale-si-ma-non-tutti-i-giorni/439651/.

[59] https://www.key4biz.it/la-nuova-funzione-di-tracciamento-delle-mani-di-meta-un-assaggio-del-futuro/440556/.

[60] https://www.key4biz.it/meta-lia-generativa-volano-di-sviluppo-per-il-metaverso/441914/.

[61] https://www.key4biz.it/ia-e-metaverso-entro-fine-anno-potresti-caricare-un-tuo-caro-morto-sul-computer/442639/.

[62] https://www.key4biz.it/vestager-antitrust-ue-il-metaverso-va-regolato-e-anche-chat-gtp-per-pwc-driver-del-metaverso-le-aziende/438944/.

[63] https://www.key4biz.it/ia-sfruttando-meglio-i-dati-leconomia-globale-potrebbe-lievitare-di-15-trilioni-di-dollari-entro-il-2030/442066/.

[64] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-chat-gpt-e-la-mediamorfosi-della-televisione/439809/

[65] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-primavera-dellintelligenza-artificiale-e-la-bozza-di-regolamento-europeo-ai-act/442426/.

[66] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-politica-come-progetto-per-programmare-il-nostro-futuro/436703/.

[67] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-giorgio-perlasca-un-uomo-politicamente-scorretto/437939/.

[68] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-anonimo-mazziniano/446826/.

[69] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-piero-sraffa-il-pci-e-la-storia-ditalia/445892/.

[70] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-a-proposito-di-femminismo/444103.

[71] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-60-anni-fa-usciva-in-sala-leclisse-di-michelangelo-antonioni/402326/.

[72] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-sol-dellavvenire-e-cinema/444699/.

[73] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-sera-a-roma-con-dizzy-gillespie/441361/.

[74] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dellopacita/442761/.

[75] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-jorge-luis-borges-e-le-rovine-circolari/444360/

[76] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-limpalcatura-il-teatro-leros/443377/

[77] https://www.key4biz.it/in-ricordo-di-carlo-macchitella-1952-2023/438342/

[78] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-un-combattente-che-voleva-essere-superato-dai-suoi-discepoli/443150/

[79] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-partecipazione/446365/

[80] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lino-mannocci-artista-critico/435401/