Musica

Democrazia Futura. Una sera a Roma con Dizzy Gillespie

di Lucio Saya, regista, sceneggiatore, pittore autore e documentarista |

Lucio Saya ricorda il concerto in Italia negli anni Ottanta del grande trombettista afro-americano Dizzy Gillespie.

Lucio Saya

“Una sera a Roma con Dizzy Gillespie”. Lucio Saya propone ai lettori di Democrazia futura Un ricordo di un concerto in Italia negli anni Ottanta del grande trombettista afro-americano. Dopo la sua performance all’Eur, invitato a cena dai suoi amici romani “Dizzy naturalmente fu fatto sedere a capotavola ma, stanco com’era, faceva un po’ pena; al di sopra della tavola spuntava solo la testa e le palpebre erano abbassate per metà. Con l’ospite d’onore in quelle condizioni la conversazione era balbettante. Ma – aggiunge Saya – dopo un piattone di fettuccine e qualche bicchiere di un rosso eccellente, gli occhi si aprirono un po’ di più e, oltre la testa, ora spuntavano anche le spalle. Dopo un’appetitosa pietanza e ancora di quel rosso, l’ospite d’onore era completamente recuperato. E anche la conversazione”.

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La cosiddetta “estate romana” aveva già mosso i primi passi ma era ancora in rodaggio nella seconda metà degli anni Ottanta. Il Palazzo della Civiltà e del Lavoro, all’Eur, era stato il primo luogo ad ospitare anche il grande Jazz[1].

Un giorno, in uno di quegli anni, il programma diceva “Dizzy Gillespie e la sua Orchestra”. Non avevo mai sentito dal vivo quello che, assieme a Charlie Parker, era stato il padre del Be-Bop e mi dissi che era l’occasione buona. E si rivelò poi un’ottima idea.

Anche quella di sentire il concerto in compagnia di un jazzista mi sembrava una buona idea e telefonai a Pao!o Petrozziello. All’inizio era titubante

Veramente…. non mi va di fare a gomitate…” 

Gli dissi che ero già stato alla “Groviera” (a Roma alcuni chiamano così quell’edificio) in giorni precedenti e che i concerti erano affollati ma niente ressa ai botteghini. Alla fine acconsentì.

Che dici, avverto anche Carlo?”

La sera del concerto sono seduto accanto a Paolo, a Carlo Loffredo, a Nini Rosso, amiche e mogli.

Gillespie e l’Orchestra sono “in palla”. Alla pausa Carlo Loffredo dice:

Vado giù a vedere se riesco a salutare Dizzy

Risale che ha un sorriso da un orecchio all’altro

Dopo il concerto Dizzy viene a cena con noi

Rimaniamo sbalorditi!

Ma come hai fatto a….”

“Anni fa ero negli Stati Uniti è lui mi disse che avrebbe dato chissà cosa per vedere il Papa, magari dalla piazza, magari in una udienza collettiva. Si era da poco convertito al Cattolicesimo ed ora aveva questo grande desiderio.

Mentre racconta, Carlo Loffredo comincia a slacciare l’orologio da polso.

“A me questa storia della conversione non mi convinceva per niente. Secondo me Dizzy aveva voglia di vedere il Papa come qualunque americano che viene a Roma. Fra l’altro sapevo che seguiva una Fede dal nome strano, che non ricordo, forse d origini africane. Comunque, data la nostra amicizia, tornato in Italia mi detti da fare e qualche tempo dopo gli telefonai e gli dissi che, in una certa data, era stata fissata per lui una Udienza Privata con il Santo Padre.”

Carlo mi passa l’orologio invitandomi a leggere la dedica sul retro. L’orologio passa di mano in mano e tutti leggiamo “Dizzy to Carlo ’56”

Mi fece questa dedica e mi regalò l’orologio. “Da allora per lui sono come un fratello“.

Dopo il concerto si unirono a noi Dizzy Gillespie e Jon Faddis, prima tromba dell’orchestra, e ci muovemmo alla volta del ristorante.

Dizzy appariva notevolmente provato; aveva diretto, suonato, gigioneggiato ed era l’una di notte. Ma Carlo Loffredo aveva scelto un ristorante sulla Flaminia Vecchia, ossia dalla parte opposta della città. Quel ristorante, che oggi non c’è più, si chiamava “Il chiodo fisso”.

Arrivammo lì che le saracinesche erano a un palmo da terra. Vista la compagnia, furono rialzate, entrammo e tornarono a chiudersi del tutto.

Fu apparecchiato nel giardino sul retro per una cena a lume di candela. Cioè, c’erano i candelabri ma anche della luce elettrica.

Dizzy naturalmente fu fatto sedere a capotavola ma, stanco com’era, faceva un po’ pena; al di sopra della tavola spuntava solo la testa e le palpebre erano abbassate per metà. Con l’ospite d’onore in quelle condizioni la conversazione era balbettante.

Ma dopo un piattone di fettuccine e qualche bicchiere di un rosso eccellente, gli occhi si aprirono un po’ di più e, oltre la testa, ora spuntavano anche le spalle. Dopo un’appetitosa pietanza e ancora di quel rosso, l’ospite d’onore era completamente recuperato. E anche la conversazione.

A un certo punto saltò fuori, immancabile, la domanda più banale del mondo

C’è un jazzista italiano che preferisci?”

Si, ce n’era uno, ma non riusciva a ricordarne il nome.

“Mattuto …. Sabuto …”

A raffica venne fatto il censimento di musicisti e cantanti italiani fino a quelli che con il Jazz non c’entravano assolutamente nulla

Gianni Morandi?… Domenico Modugno?… Roberto Murolo? …”

 “Zambuto … Santuto …  Saputo …”

Ci arrivai io!

Caputo…. Sergio Caputo

Si guardarono tutti allibiti, mai sentito! Chi era? Mentre Dizzy esclamava

Yeah! … Caputo!”

Fu molto tempo dopo che venni a sapere perché “Caputo”. In una canzone di Sergio Caputo era stato inserito un assolo di Gillespie (registrato altrove) ed era per questo che lo ricordava[2], anche se come Zambuto o Samputo.

Poi chiedemmo a Dizzy di aprire la valigetta della sua famosa tromba con la campana rivolta all’insù. Per tirar fuori lo strumento, lui tolse l’oliatore e lo poggiò sulla tavola. Quando vide che Nini Rosso lo aveva preso e lo stava osservando, gli disse che se voleva poteva tenerselo.

Nini Rosso (famoso trombettista) tornò al proprio posto portando l’oliatore fra le mani come si porta l’Ostia tornando dall’altare.

Naturalmente si parlò anche della storia grazie alla quale ci trovavamo lì, seduti attorno a una tavola. Carlo, fra le risate di Dizzy, ci raccontò di quell’incontro con il Santo Padre.

Arrivato a Roma, Dizzy era sceso all’Hotel Bernini, quello su piazza Barberini. Andai a trovarlo e ci fermiamo a chiacchierare sul balcone perché a lui piaceva guardare la gente per la strada e quando passava una bella ragazza, con una voce che rimbombava su tutta la piazza, strillava “BONAAAA!”.

Sonora risata di Dizzy.

Poi andammo dal Papa. Forse alcuni non lo sanno, ma il Vaticano ha una propria Banda. Mentre eravamo con Sua Santità, nel sottostante cortile di San Damaso la Banda attaccò a suonare e Dizzy, che aveva portato la valigetta con la tromba, voleva a tutti i costi scendete a suonare. Ho faticato per fargli capire che non era il momento opportuno“.

Altra roboante risata di Dizzy.

Gillespie aveva dimostrato ampiamente di gradire del buon rosso. Il vino non era invece fra le bevande preferite da Loffredo. Eppure, uscendo dal ristorante ci precedevano camminando tutt’e due con passo incerto, tenendosi sottobraccio e cantando la Marcia nuziale di Felix Mendelssohn con voci piuttosto stonate … !


[1] Grande luglio romano di Jazz e Rock’n’Roll” annunciava il 6 maggio 1987 La Repubblica dal 4 al 22 luglio 1987. Il 6 luglio il concerto di Dizzie Gillespie

[2] Secondo Wikipedia un altro clarinettista Tony Scott avrebbe presentato il cantautore italiano Sergio Caputo a Dizzy Gillespie.