L'approfondimento

Democrazia Futura. Ancora su Patria e Nazione

di Stefano Rolando, insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM. Condirettore di Democrazia futura e membro del Comitato direttivo di Mondoperaio |

Perché Giorgia Meloni ha spiazzato la sinistra nel suo discorso al Congresso della CGIL, la riflessione di Stefano Rolando.

Stefano Rolando

Stefano Rolando torna “Ancora su Patria e Nazione[1]” chiarendo “Perché Gloria Meloni ha spiazzato la sinistra nel suo discorso al Congresso della CGIL”. Rolando prende spunto da un articolo uscito sul quotidiano La Repubblica del politologo Carlo Galli, “La nazione è di tutti. I progressisti devono imparare ad amarla” e rileggendo le lezioni in piena Guerra Civile di Federico Chabod raccolte postume nel 1961 in occasione del centenario dell’Unità d’Italia nel saggio su L’idea di nazione in cui il grande storico valdostano  “Connette l’idea di Nazione al Romanticismo europeo, dunque in conflitto con l’età della ragione, con l’illuminismo settecentesco”, evidenziando come modello “La poetica del sentimento e dell’immaginazione” e l’idea dantesca per l’Italia della parola “patria […] una e indipendente”.

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Mi è già capitato un paio di volte di tornare su un argomento trattato, cioè per fare – diciamo – una puntata numero due sul tema.

Questa volta mi riferisco all’ultimo podcast, intitolato “Patria e Nazione”.Fatto per segnalare che queste due parole – nel confronto politico che in un certo senso appare nuovo in Italia, con Giorgia Meloni ed Elly Schlein polarizzate, che è stato chiamato “quello del ritorno al concetto di destra e sinistra” – appartengono ora a un lessico asimmetrico.  Le due parole, che sono appartenute alla cultura di chi ha fatto e poi ha sostenuto i valori del Risorgimento e della Resistenza, sono sostanzialmente sparite dal vocabolario della sinistra. E fatte proprie invece (con una sua logica, si intende) dall’erede di una cultura “nazionalista” che non le ha mai rinnegate ma non le ha tanto riferite nel tempo alle epopee delle libertà e dell’indipendenza quanto al “nazionalismo”, cioè a caratteri tipicamente conservatori (Dio, Patria e Famiglia), al militarismo, al primatismo. Termini che hanno dato nel Novecento più dolori che conforti al popolo italiano.

Giorgia Meloni riporta in scena in modo martellante questo vocabolario – massimamente attorno al tentativo di soppiantare ufficialmente la parola gramsciana “Paese” per radicare quella che appare più desueta (cioè che sembrava più antieuropea) di “Nazione” – ma lo fa senza remore nell’invocare, per esempio, l’eredità di Mazzini e Garibaldi. Non solo. Lo ha fatto senza sottrarsi – è da 27 anni che un presidente del Consiglio non lo faceva – al confronto in diretta ad un congresso della CGIL in cui ha perorato l’unità della Nazione che “dà senso” al confronto, persino al conflitto, degli argomenti oggi diversi tra governo e sindacato. Respingendo le tesi della CGIL, ma affermando la necessità di misurarsi. Ecco il passo del suo discorso di pochi giorni fa, in cui l’approccio al tema dell’unità nazionale dimostra una certa evoluzione politica.

Oggi non è un giorno come gli altri: oggi è il 17 marzo, è la festa dell’unità nazionale, è il giorno in cui si celebra la nascita statutaria della nostra nazione, e la mia presenza oggi non esprime solo la volontà di colmare quel vuoto che ho scoperto correndo nel corso di questi giorni che vede da 27 anni l’assenza del capo del governo al congresso alla CGIL. Era normale che fosse il Presidente del Consiglio – diciamoci la verità – idealmente più lontano dalla platea che ho di fronte, a essere qui dopo 27 anni? Io penso di si, perché con quella presenza, con questa presenza, con questo confronto e con questo dibattito credo che non possiamo autenticamente tentare di celebrare l’unità nazionale perché, vedete, l’unità non è annullare la contrapposizione, la contrapposizione ha un ruolo posizione, addirittura un ruolo educativo per qualsiasi comunità. L’unità è un’altra cosa, l’unità è l’interesse superiore, l’unità è il comune destino che da un senso alla contrapposizione. Voglio credere che tutti noi – indipendentemente dalla visione di cui siamo portatori – se il nostro cuore è sincero, noi lavoriamo tutti – secondo le nostre differenti condizioni – per lo stesso obiettivo che è il bene della nostra nazione. E allora il confronto è necessario, è indispensabile, è utile[2].

La sinistra, che pur sta ritrovando il suo vocabolario riguardante il lavoro, la riduzione delle disuguaglianze e altro, è dunque un po’ spiazzata su questo fronte. E per ora sull’argomento – credo pericolosamente – non replica su questa lunghezza d’onda.

Il mio contributo era un incoraggiamento a rielaborare presto un’idea, un posizionamento, un linguaggio. E anche questo secondo approfondimento ha le stesse intenzioni, essendo motivato da due argomenti. Il primo è il tentativo di parafrasare qui l’articolo uscito il 15 marzo 2023 a pagina piena sul quotidiano romano La Repubblica scritto da Carlo Galli dal titolo “La nazione è di tutti. I progressisti devono imparare ad amarla”. Come si vede il tema era nell’aria. E’ un contributo scritto con varie qualità, che vorrei raccontare anche a chi non legge più i giornali o a chi sceglie ormai le comunicazioni brevi e brevissime più che le cose argomentate.

Il secondo riguarda un fatto personale. Cercavo cioè nella biblioteca di casa materiali sull’identità del nostro Mezzogiorno (in particolare su Napoli, su cui mi accingo a lavorare). E ho anche ritrovato un libro a cui tenevo e tengo molto, in realtà pubblicato la prima volta nel 1961 (anno fatidico del centenario dell’Unità d’Italia) che ho acquistato nel 1998, quando tornato a Milano cercavo di capire meglio che cosa l’ondata allora un po’ secessionista della Lega avrebbe scalfito. Il libro è di Federico Chabod, grande storico dell’età moderna e contemporanea, di alta tradizione liberale, che raccoglie lezioni universitarie tenute a Milano in due anni drammatici (il 1943 e 1944) e che si intitola L’idea di Nazione, pubblicato dall’editore Laterza.

Parto da questo secondo argomento, che tratto naturalmente per sommi capi. Federico Chabod è stato un grande storico che ha guardato in modo sempre connesso Italia ed Europa. Aostano, nato nel 1901 e scomparso nel 1960. Connette l’idea di Nazione al Romanticismo europeo, dunque in conflitto con l’età della ragione, con l’illuminismo settecentesco. Argomento in cui oggi vediamo il successivo rischio involutivo anche del nazionalismo.

Ma Chabod fa scorrere il suo pensiero su storie alte, verrebbe da dire “spirituali”, così da non cadere mai nel rischio del dibattito basso (cose di destra, cose di sinistra; elezioni, propaganda, populismo, eccetera).

La “poetica del sentimento e dell’immaginazione” e l’idea dantesca per l’Italia della “patria”

Il suo paradigma è “la poetica del sentimento e dell’immaginazione”. Che ritrova nel Medioevo, persino in Nicolò Machiavelli. Non teme il rischio delle vicende avvenute dopo per dire che Italia e Germania incarnarono questo paradigma “facendo della nazione la misura del valore della vita politica”. E ciò che fa da spartiacque rispetto al rischio delle involuzioni posteriori della parola “patria” è l’idea di “una e indipendente”. Un’idea dantesca, per l’Italia. L’urlo – nel VI canto del Purgatorio – contro il modo con cui l’Italia è trattata: “non donna di provincie ma bordello”.

Questo sentimento ha i suoi grandi interpreti. Il Vincenzo Cuoco della rivoluzione napoletana del 1799. Ugo Foscolo che canta le itale glorie in Santa Croce, Giuseppe Mazzini che ricongiunge Italia ed Europa. Insomma, è il percorso della nostra formazione giovanile, grazie però alla ri-profilazione della Liberazione, della Costituzione, delle libertà democratiche riconquistate

Rimettere mano su questi spartiti sarebbe forse oggi difficile anche per la cultura liberale.

Dunque, va riconosciuto che lo sforzo che ci aspettiamo dalla sinistra, ma anche dal terzo polo che a sprazzi annuncia il tema e poi non lo tratta a fondo, sforzo che soprattutto non può essere né ripetitivo né puramente competitivo con il tema meloniano, merita una tessitura intellettuale che tuttavia si è interrotta. Chi e come potrà riprenderla?

L’analisi di Carlo Galli. L’involuzione della parola “Nazione” dopo il 1870 verso il nazionalismo

Per questo assume rilievo, per il segnale che dà in questo momento, lo scritto di Carlo Galli– filosofo e politologo italiano, editorialista de La Repubblica e per le due precedenti legislature deputato eletto prima nel PD poi passato a Sinistra Ecologia Libertà e Articolo 1 – che cerca con una certa pacatezza proprio questo terreno di nuovo e antico, al tempo stesso, radicamento intellettuale del tema “Patria e Nazione”.Carlo Galli parte dalla Costituzione. Fondata sul lavoro – bellissimo tema novecentesco, osserva – ma, dice, “quando si tratta di rischiare la vita per la collettività, questa è indicata con un nome diverso: è la Patria (che l’art. 52 scrive con la maiuscola)”. La “fonte unitaria della rappresentanza politica” per quell’assemblea costituente (che comprendeva i partigiani).

E al tempo stesso scrive:

“La Nazione è il nome del popolo quando è visto come soggetto collettivo, come una potenza organica che dà vita legittima alle istituzioni”.

Effettivamente non è lo stesso terreno concettuale sviluppato dalla destra. Dunque – cito ancora – si tratta della “nazione dei cittadini, che sono essi, nel loro insieme, il fondamento dell’ordine politico”.

In Italia un secolo fa avevano provato a stringere il concetto nella Nazione del re, interpretata dal fascismo.  Mentre qui siamo piuttosto nella scia della discontinuità esercitata nella storia dalla Rivoluzione francese. Vero che Nazione è altresì retaggio storico-linguistico e culturale. Da questo punto di vista è tradizione. Ma la lettura mazziniana della tradizione non guarda tanto indietro, quanto ai fondamenti del progresso futuro e al sistema intrecciato di rigenerazione di diritti e soprattutto di doveri. Galli mette in chiara evidenza l’involuzione della parola “Nazione” dopo il 1870, flettendo verso il nazionalismo, cioè il bellicismo e in particolare l’ordine sovra-individuale e sovra-sociale. E da qui dunque catturata dai totalitarismi. Potente involuzione del termine nella prima metà del Novecento. Qui Carlo Galli riprende l’approccio di Antonio Gramsci per tornare a incrociare Nazione e popolo.

L’appello ai progressisti. Promuovere l’autocoscienza storica e civica ripensando l’idea di nazione

Ma la complessità dell’epoca in cui questo tema viene messo in capo a un soggetto politico segnato pesantemente da massimalismo ideologico ha mostrato di non aver recuperato il valore “romantico” dell’espressione (per riprendere l’idea di Federico Chabod).

Cosa che induce piuttosto a guardare con più efficacia alla parte finale della nuova valorizzazione della parola, quella che più di recente si confronta con la potenza e i limiti della globalizzazione. Ristabilendo il nuovo confronto tra xenofobia e progressismo, tra inadeguati primatismi e quello che Carlo Galli riconosce essere un passaggio maturativo della storia:

“la nazione non implica alcun rifiuto identitario del conflitto: nasce da questo e lo sopporta benissimo”.

In qualche modo Giorgia Meloni pare arrivata (con i suoi inevitabili andirivieni e con alcune ambiguità) su questo terreno concettuale.

Questo è, in sostanza, l’appello ai progressisti: attraverso un ripensamento sull’idea di nazione (oggi per un paese come l’Italia con forte implicazione europeista) promuovere quella – così la chiama – “autocoscienza storica e civica”, diciamo noi piuttosto smarrita nell’identità popolare.

Per il rilievo del tema nel nuovo schema piuttosto polarizzato della politica italiana (augurandoci intanto che ciò non seppellisca per l’ennesima volta le culture liberalsocialiste e liberaldemocratiche) non basta ovviamente la memoria delle profondità di pensiero dei nostri maestri storici e nemmeno la perorazione di un articolo di un serio politologo.

Riuscirà Giorgia Meloni a risagomare il vocabolario politico-istituzionale intorno all’idea del primato della nazione senza subire urti dai suoi alleati nel centrodestra?

Chissà che l’insistenza – anche un po’ provocatoria – di Giorgia Meloni nel risagomare il vocabolario politico-istituzionale non metta in movimento ciò che la vitalità delle proprie stesse radici fatica a far maturare nella politica italiana, quella che si considera antagonista per definizione di questo governo.

Penso poi che prima o poi ci saranno scintille anche nel quadro di governo, se l’idea del primato della nazione della premier (cioè l’entità una e indivisibile) non sarà a geometria variabile e, per esempio, in materia di provvedimenti sull’autonomia sarà obbligata a dare retta a Matteo Salvini o ad ascoltare gli amministratori del Mezzogiorno in questi giorni in battaglia contro – ha detto il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi – “la miopia e l’esplosione delle disuguaglianze causata dal provvedimento”.

Noterella finale: forse ci sarà materia per una terza puntata di “Patria e Nazione”, se da qui al 25 aprile compreso troveremo delle novità in campo.


[1] Cf. http://stefanorolando.it/?p=7444. Pubblicato in versione audio su ilmondonuovo.club il 19 marzo 2023. La versione audio può essere ascoltata al seguente link: https://www.ilmondonuovo.club/patria-e-nazione-parte-2/

[2] L’intervento del Presidente del Consiglio alla CGIL può essere consultato su YouTube Cf. https://www.youtube.com/watch?v=ZkqlMcvFE5s . Il passo citato si trova espresso nel discorso della Premier dal minuto 3’11” al minuto 4’40”.