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Democrazia Futura. Emmanuel Macron, un “anatra zoppa”?

di Alberto Toscano, giornalista e scrittore già Presidente dell’Associazione della stampa estera a Parigi |

La voglia di sbarazzarsi dei vecchi partiti: un effetto-boomerang per l’inquilino all’Eliseo. Le riflessioni di di Alberto Toscano.

Alberto Toscano

Da Parigi un’analisi per Democrazia futura di Alberto Toscano sulle “difficoltà crescenti del secondo mandato di un Presidente privo di maggioranza in Parlamento”: Emmanuel Macron, un’anatra zoppa’? La voglia di sbarazzarsi dei vecchi partiti [il cosiddetto “dégagisme” che aveva costituito il  fattore critico di successo nel 2017 in occasione della prima vittoria di Macron] potrebbe ora costituire un effetto-boomerang ritorcendosi contro l’inquilino all’Eliseo in questo secondo mandato presidenziale: Il dégagisme – chiarisce Toscano – ha permesso a Macron di assorbire parti importanti del centrosinistra e soprattutto del centrodestra, ma ha spostato verso le estreme il duplice baricentro delle opposizioni. Questo ha cambiato il contesto stesso della Quinta Repubblica. […] Nella Francia di oggi è difficile per Macron trovare alleati in Parlamento ed è ancor più difficile sciogliere l’Assemblée Nationale. Nel primo caso l’alleato potenziale è uno solo: il centrodestra dei Républicains, che – per quanto reduce da una serie di sconfitte – beneficerebbe di una rendita di posizione e alzerebbe il prezzo di un accordo di governo. Nel secondo caso, lo scioglimento dell’Assemblée Nationale rischierebbe fortemente di non cambiare nulla: le estreme sarebbero abbastanza forti da impedire qualsiasi maggioranza ma non abbastanza per crearne a loro volta una nuova. Il Paese rischierebbe dunque una vera impasse. […] Il macronismo – conclude Toscano – paga oggi il prezzo di una crisi politica di cui esso stesso ha beneficiato ieri”.  Da qui l’analisi degli scenari che si presentano per Macron uscito indebolito dalle manifestazioni contro la legge di riforma delle pensioni.

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Le difficoltà crescenti del secondo mandato di un Presidente privo di maggioranza in Parlamento

Un anno dopo la sua rielezione all’Eliseo, il presidente Emmanuel Macron vive un periodo molto difficile a causa della riforma del sistema pensionistico, di cui da tempo sollecita l’approvazione e che considera ormai cosa fatta.

Già nella scorsa legislatura (2017-2022) il governo a lui fedele, allora guidato dal primo ministro Jean Castex, si era imbarcato in un durissimo scontro con i sindacati in vista di un provvedimento sempre relativo alle pensioni. Quella riforma – diversa dal testo poi varato nel maggio 2023 – beneficiava di due importanti elementi favorevoli: l’accordo con una grande centrale sindacale (la Cfdt, Confédération française démocratique du travail) e soprattutto il fatto che la coalizione macronista aveva allora una forte maggioranza assoluta tra i 577 membri dell’Assemblée Nationale. Nel marzo 2020, quando in Parlamento la riforma era vicina al traguardo, Macron l’ha però rimessa nel cassetto per non turbare il Paese nel momento più difficile della pandemia. Poi ha evitato di rilanciarla nel 2021.

Si è così giunti alle elezioni presidenziali e legislative della primavera 2022, quando Macron, benché confermato alla presidenza, ha dovuto accontentarsi della maggioranza relativa all’Assemblea nazionale (composta oggi da 251 deputati della maggioranza e da 326 delle diverse opposizioni).

A ciò si aggiunge il fatto che al Senato la coalizione macronista non ha neanche la maggioranza relativa. Non è la prima volta che un governo francese non dispone della maggioranza parlamentare, ma non era mai accaduto che fosse così lontano da quel livello all’Assemblée Nationale (la sola Camera eletta a suffragio universale diretto).

A questo handicap strutturale della seconda presidenza Macron se ne aggiunge un altro, che era già presente nello scorso quinquennio e a cui il Capo dello Stato ha fatto lui stesso cenno in varie occasioni più o meno pubbliche.

Nel 2017 e nel 2022 Macron è stato eletto a seguito di una sfida (al secondo turno) contro Marine Le Pen. Su di lui pesa dunque una domanda: il popolo lo ha scelto per il suo programma o semplicemente per evitare il peggio?

Nel 2017 questa domanda aveva meno senso, visto che quello stesso popolo gli aveva dato, subito dopo le presidenziali, il conforto del trionfo alle legislative. Ma in questa nuova legislatura le cose sono ben diverse e anche il peso di quella domanda lo è.

Dopo essere stato rieletto, nel 2002, a seguito di un ballottaggio con Jean-Marie Le Pen (padre di Marine Le Pen), anche Jacques Chirac si era posto il problema di cercare una politica consensuale per evitare nuove spaccature. Ha però evitato di farlo e per questo ha pagato un prezzo politico, a cominciare dalla sconfitta al referendum del 2005 sulla Costituzione europea. Dopo aver vinto una sfida in nome del rassemblement contro l’estrema destra, diventa poi difficile attribuire il proprio successo ai contenuti del programma che era stato enunciato in origine.

L’emergere dell’estrema destra come grande forza d’opposizione e il contemporaneo persistere nell’opinione pubblica di un riflesso «repubblicano» contro quella stessa estrema destra hanno cambiato il quadro politico francese: la logica dell’alternanza destra-sinistra è stata rimpiazzata da una logica di conventio ad excludendum.

La voglia nel 2017 con l’elezione all’Eliseo di Macron di sbarazzarsi dei vecchi partiti

In occasione del trionfo di Macron nel 2017 fu allora coniato il termine «dégagisme», per indicare la voglia dell’opinione pubblica di sbarazzarsi dei vecchi partiti (un po’ com’era accaduto, mutatis mutandis, nell’Italia dei primi anni Novanta). Il dégagisme ha permesso a Macron di assorbire parti importanti del centrosinistra e soprattutto del centrodestra, ma ha spostato verso le estreme il duplice baricentro delle opposizioni.

Questo ha cambiato il contesto stesso della Quinta Repubblica, che aveva sperimentato con successo sia l’alternanza destra-sinistra al potere sia (nei periodi 1986-88, 1993-95 e 1997-2002) la coabitazione tra Eliseo e Assemblea nazionale di opposto segno politico.

Le incognite sul futuro delle istituzioni della Quinta Repubblica e sul dopo-Macron

Nella Francia di oggi è difficile per Macron trovare alleati in Parlamento ed è ancor più difficile sciogliere l’Assemblée Nationale.

Nel primo caso l’alleato potenziale è uno solo: il centrodestra dei Républicains, che – per quanto reduce da una serie di sconfitte – beneficerebbe di una rendita di posizione e alzerebbe il prezzo di un accordo di governo.

Nel secondo caso, lo scioglimento dell’Assemblée Nationale rischierebbe fortemente di non cambiare nulla: le estreme sarebbero abbastanza forti da impedire qualsiasi maggioranza ma non abbastanza per crearne a loro volta una nuova. Il Paese rischierebbe dunque una vera impasse.

Ecco l’attuale serie di dibattiti, di polemiche e di proteste sulla riforma delle pensioni diventare il rivelatore di problemi in realtà più gravi, che riguardano il funzionamento stesso delle istituzioni della Quinta Repubblica e la cui soluzione implica una seria riflessione sul bisogno di rivitalizzare corpo e anima della democrazia (riflessione necessaria non certo solo in Francia).

Il macronismo paga oggi il prezzo di una crisi politica di cui esso stesso ha beneficiato ieri.

Oggi è Macron a essere colpito dalla «voglia di dégagisme» sempre latente nell’opinione pubblica. Un desiderio pronto a incendiarsi con i prezzi dei carburanti («gilets gialli»), di inflazione galoppante o di proposte di riforma indigeste ai sindacati (che in questi primi mesi del 2023 sono stati compatti come mai nel rifiuto della riforma delle pensioni).

Il difficile cammino delle riforme promosse da un Presidente che non può più essere rieletto

Macron, che a termini di Costituzione non può essere rieletto nel 2027, sta tentando di proseguire un cammino di riforme e di avviare al tempo stesso il dialogo con le parti sociali.

Visto il modo da lui utilizzato per far passare il contestato disegno di legge sulle pensioni (ricorso all’articolo 49 comma 3 della Costituzione, che non rende necessario il voto parlamentare) quel dialogo è perlomeno complicato. C’è chi legge nel suo oroscopo un futuro che il linguaggio politico americano definirebbe da «anatra zoppa», prevedendo che potrebbe occuparsi soprattutto di politica estera e di normale amministrazione interna.

Macron farà di tutto per superare i dubbi dei sui connazionali e tornare grande protagonista all’interno come all’estero, ma la sua partita rimane aperta.

Se il contesto interno tornasse a lui più favorevole (oggi il suo livello di popolarità è molto basso e due francesi su tre lo criticano a proposito dei contenuti e dei metodi della riforma pensionistica) potrebbe sciogliere l’Assemblée Nationale, ma questa sarebbe (come si è visto) una carta rischiosissima. Resta una strada, che potrebbe davvero cambiare il quadro politico nazionale: l’accordo con i Républicains per dar vita a una nuova maggioranza, prospettiva a cui l’ex presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy sarebbe probabilmente pronto a collaborare attivamente (c’è chi dice che lo stia già facendo).

Una coalizione fra macroniani e i Républicains?

Il partito neogollista dei Républicains è uscito in pezzi dalla catastrofe elettorale del 2022, quando la sua candidata presidenziale Valérie Pécresse non è arrivata neanche al 5 per cento dei voti e quando la sua rappresentanza all’Assemblea nazionale si è ridotta a 62 seggi dai 100 del 2017 (mentre al Senato è sempre maggioritario). Un accordo di coalizione sarebbe cosa normalissima in altri Paesi democratici, ma in Francia potrebbe far storcere in naso a una parte dell’attuale coalizione macronista. Per ora si tratta solo di un’ipotesi, che peraltro l’Eliseo cercherà di rendere inutile rilanciando la propria strategia riformatrice e soprattutto la propria immagine. Ma se le tensioni politiche e le cifre di sondaggi resteranno quelle di oggi, l’alternativa per Macron potrebbe diventare brutale: accordo di legislatura coi Républicains o «anatra zoppa» fino al 2027.

Il “dominio riservato” della politica estera, un’opportunità per riconquistare consensi, frenato dalla crescita del debito pubblico francese

Il settore in cui nessuno può azzoppare Macron è quello della politica estera. Anzi, più rischierà d’avere problemi all’interno e più avrà interesse a mostrarsi dinamico all’estero.

Il tradizionale sogno francese è quello di avere un ruolo di primo piano come locomotiva di dialogo internazionale. Macron continua a beneficiare di molto credito e di molte simpatie in Europa e nel mondo. All’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina, il presidente francese ha tentato di tenere in piedi un dialogo costruttivo con Vladimir Putin, che di fatto si è preso gioco di lui. Poi ha badato soprattutto a esprimere piena lealtà alla causa dell’indipendenza dell’Ucraina, inviando tra sofisticate a Kiev e sostenendone le rivendicazioni politiche. Questo non impedirà certo a Macron di proporsi nuovamente in futuro come protagonista di un eventuale dialogo di pace.

In Europa la Francia attuale è più che mai sensibile ai problemi della sua finanza pubblica in rapporto agli obiettivi della Commissione di Bruxelles. C’è un abisso tra la Francia del dicembre 1991, quando al vertice di Maastricht si parlò dei limiti da porre al deficit e al debito della finanza pubblica (trovando un accordo sul 3 e sul 60 per cento del Pil) e la Francia di oggi, il cui debito pubblico di quasi tremila miliardi di euro è in cifra assoluta (anche se non in rapporto al Pil) il più elevato d’Europa. A fine maggio, l’agenzia di rating Fitch ha abbassato (da AA a AA -) il «voto» dato alla Francia. La regione viene indicata nel rischio che Macron si trovi nell’impossibilità di proseguire una politica di riforme dopo la crisi sociale degli ultimi mesi e tenendo conto degli equilibri di politica interna. La spesa pubblica connessa al debito è stimata per il 2023 in 52 miliardi di euro (12 più dell’esercizio precedente). Mantenere un’immagine prestigiosa in politica estera significa anche contribuire alla solidità della Francia sui mercati internazionali, circostanza che ha finora limitato i rischi connessi con lo spread.

I rapporti più difficili con l’Italia dopo l’uscita di scena di Mario Draghi: la mina vagante della questione migratoria con il rafforzamento dei controlli a Ventimiglia

Un capitolo molto delicato delle future sfide internazionali di Macron è quello delle relazioni con l’Italia, certamente più difficili dopo la fine del governo Draghi. Francia e Italia hanno molte e solide ragioni per continuare a collaborare strettamente, ma la questione migratoria è più che mai una mina vagante nel contesto europeo e nelle loro relazioni bilaterali. Intervenendo alla tv in maggio, subito dopo aver promulgato la legge sulle pensioni, Macron ha tra l’altro annunciato il rafforzamento dei controlli di polizia al confine con l’Italia. Schengen rischia di inciampare sulle Alpi e di affondare nel Mediterraneo.