Il voto

Democrazia Futura. Con quel che resta dei votanti, domina il centrodestra

di Stefano Rolando, insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM. Condirettore di Democrazia futura e membro del Comitato direttivo di Mondoperaio |

Alle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia stravince l’astensione. Sei su dieci. L'analisi del voto di Stefano Rolando per Democrazia Futura.

Stefano Rolando

Stefano Rolando commenta per Democrazia futura il voto amministrativo “Con quel che resta dei votanti, domina il centrodestra”, sottolineando nell’occhiello come “Alle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia stravince l’astensione. Sei su dieci”. Più che “I risultati conseguiti dai partiti nelle due regioni” e “Le vittorie senza sorprese di Rocca nel Lazio e del governatore uscente Fontana in Lombardia” anche in questa occasione è “L’astensionismo il grande protagonista di queste elezioni regionali”.

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La stampa di Milano e di Roma – le due capitali ieri e oggi al voto con le loro regioni – ha abbondantemente segnalato che sarebbe stato molto difficile tenere le percentuali di voto del 2019: il 64 per cento alle ultime regionali in Lombardia e il 53,3 per cento nel Lazio, percentuali tuttavia diventate alle politiche dell’anno scorso il 70,1 per cento in Lombardia e il 63,5 per cento nel Lazio.

Una campagna elettorale schiacciata nell’ombra da molte notizie: la recrudescenza della guerra in Ucraina, le migliaia di morti al confine di Turchia e Siria per il terremoto, il festival di Sanremo tra nostalgie e futurologie ma soprattutto il braccio di ferro tra governo e opposizione per condire le canzonette, chi con orazioni civili chi con propaganda. E molto altro.

Soprattutto in assenza di notizie reali dai fronti elettorali. Il PD alleato a Cinquestelle in Lombardia e al contrario alleato al Terzopolo nel Lazio, il Centrodestra con il partito di Giorgia Meloni che morde la Lega al nord (alle politiche ha preso il 27,6 per cento mentre la Lega è piombata al 13,9 per cento dopo aver preso alle europee del 2019 il 43,4 per cento) e che spadroneggia nel Lazio (al 26 per cento alle politiche contro l’8,8 per cento della Lega caduta dal 5° piano, cioè dal 40,7 per cento delle europee del 2019) tutte queste sono ex-notizie, poi la campagna ha prodotto brusii.

E dunque i media ripagano quei brusii con ombre. 

Queste le premesse di una vicenda che avrebbe potuto anche essere al centro di una narrativa molto interessante: la Meloni iper-nazionale guida un governo che dà e darà filo da torcere ai territori, vediamo come le rispondono i due territori politicamente più significativi d’Italia.

Non è stato questo il copione imbastito dai partiti, pur essendo potenzialmente in campo la bellezza di 13 milioni di cittadini elettori. Un bel campione per qualunque test.

A Roma o stai con la Sanità uscente o stai con la Croce Rossa entrante.

A Milano la spericolata operazione destruens di Carlo Calenda, Matteo Renzi, Letizia Moratti ha indotto il Partito Democratico a rimettere i panni potenziali dell’eterna sconfitta (ovvero senza nemmeno raggiungere la soglia della contendibilità, che è attorno ai 5 punti) e la coalizione del centrodestra a rigonfiare le gomme dell’auto esausta del governatore uscente Attilio Fontana.

I risultati conseguiti dai partiti nelle due regioni

Quanto agli esiti delle forze politiche ecco  il quadro nel raffronto tra le due regioni.

Fratelli d’Italia è al 33,62 per cento nel Lazio e al 25,18 per cento in Lombardia.

Il Partito Democratico è al 20,25 per cento nel Lazio e al 21,82 per cento in Lombardia.

La Lega è al 8,5 per cento nel Lazio e al 16,53 per cento in Lombardia.

Forza Italia è al 8,4 per cento nel Lazio e al 7,23 per cento in Lombardia.

Azione e Italia Viva (Terzopolo) sono al 4,87 per cento nel Lazio e al 4,25 per cento in Lombardia.

Liste minori nel Lazio sono sotto il 2,5 per cento. In Lombardia sono al 3,93 per cento i Cinquestelle, al 3,82 per cento i Civici progressisti con Majorino. La lista che fa riferimento al presidente Fontana è al 6,16 per cento in Lombardia. I Verdi sono al 2,74 per cento nel Lazio e al 3,23 per cento in Lombardia.

Le vittorie senza sorprese di Rocca nel Lazio e del governatore uscente Fontana in Lombardia

Quindi a  Roma vince il Centrodestra (Francesco Rocca), con margine non travolgente, cioè con il 53,88 per cento. Ma anche se fossero stati uniti gli elettorati di Centrosinistra (Alessio D’Amato, 33,50 per cento) e di Cinquestelle (Donatella Bianchi, 10, 76 per cento), non avrebbero conseguito il successo.

A Milano vince il Centrodestra (Attilio Fontana) con il 54,67  per cento. Anche qui se fossero stati uniti gli elettorati di Centrosinistra (Pierfrancesco Majorino, 33,93 per cento) e del Terzo Polo (Letizia Moratti, 9,87 per cento), non avrebbero conseguito il successo.

L’astensionismo grande protagonista di queste elezioni regionali

Ma a sottodimensionare questi esiti – che erano più o meno nelle previsioni di tutti –  il protagonismo del turno elettorale lo prendono gli assenti. Quelli che si sono astenuti.

  • L’astensionismo del Lazio si segnala al 62,80 per cento. I votanti sono, dunque, il 37,20 per cento degli aventi diritto.
  • Quello della Lombardia si segnala al 58,32 per cento. I votanti sono il 41,68 per cento degli aventi diritto.  

Insomma – mettiamola così – Giorgia Meloni non voleva fastidi da queste regionali (anche connessi a spine impreviste nei rapporti di governo), mentre il PD è dentro un’altra partita rispetto al mettere in campo una nuova strategia unitaria e alternativa.

Entrambi portano a casa l’accento dell’irrilevanza che colora il cielo della Lombardia dove nulla cambia. E l’accento della naturale evoluzione delle cose per un Lazio che strappa la regione al centrosinistra, senza veri meriti e senza un vero programma di cambiamento, salvo la ridondanza del grande successo del 25 settembre.

Non sarà irrilevanza elettorale, d’accordo,  non si può nemmeno dire che sia irrilevanza politica. Ma ci sono cambiamenti che appartengono al camaleontismo di sistema, che riscaldano poco i cuori e che appaiono cose ineluttabili.

Tre interrogativi e tentativi di risposta

Tre domande avevo in mente prima di apprendere i risultati.

  1. Questo risultato come accentua il rapporto di forza tra la Meloni e i suoi partner di governo?
  2. Questo risultato come entra nelle scelte post-primarie del Partito Democratico in ordine alla strategia delle alleanze nel centro-sinistra?
  3. Questo risultato come rilancia un tema che interessa poco i partiti politici che si occupano di chi vota non di chi non vota, ma che interessa la qualità della democrazia italiana, cioè l’astensionismo?

Provo a dare qualche sommaria risposta.  

  • Il rapporto di forza tra Meloni e i due partiti alleati al governo non subisce sostanziali alterazioni, per la primaria ragione che uniti vincono e si distribuiscono posti e responsabilità che sfiorano l’importanza dei posti dello stesso governo. Che Fratelli d’Italia sia sulla cresta dell’onda almeno per l’anno della svolta è cosa confermata. Ma in Lombardia la Lega può vantare una certa tenuta e senza i numeri di Forza Italia il Centrodestra non sarebbe in maggioranza. Punto.
  • Il Partito Democratico – questi i commenti più diffusi in giornata – esce dalla morsa dell’opa contrapposta nei suoi confronti esercitata da Cinquestelle e Terzo Polo, che esistono, resistono ma non brillano anche quando avevano ipotizzato esiti persino doppi di quelli in realtà ottenuti. Il dato è affidato ora all’esito delle Primarie. Cinquestelle meglio del Terzopolo che a Roma aveva avuto un exploit non ripetuto nel Lazio e a Milano ha giocato una carta che considerava strategica (per altro con la lista Moratti che ha doppiato quella dei due piccoli partiti di Azione e Italia Viva). Nel Partito Democratico oggi non si sa se i concorrenti alla Segreteria saranno il paradigma di nuove correnti o i pionieri di un post-correntismo. Se si vorrà ragionare in termini di forza perno di un’alleanza ampia e competitiva anche a partire dalle elezioni europee del 2024, si dovrà tornare all’idea (all’origine di Enrico Letta) di un vero federatore che se fosse un esponente del Partito Democratico non darebbe i risultati possibili ma se, al contrario, fosse una personalità credibile (anche per una parte dell’astensionismo che prevale nel centrosinistra) potrebbe fare ciò che non riesce più a nessuno dai tempi di Romano Prodi (che per quell’equidistanza ha pagato poi prezzi elevati).
  • L’astensionismo è intepretato dai partiti poltiici con minimalismo. “La democrazia è chi c’è”. Finchè si parlava di 40 per cento di astensione – cioè dell’esistenza comunque di una maggioranza degli italiani votanti – questa interpretazione passava anche sui media. Ora l’esito si è ribaltato:  il 40 per cento sono i votanti, il resto non c’è, non ci sta. Non porsi il problema del significato partecipativo e rappresentativo del non voto è già un gradino disceso nella scala della qualità democratica. Il civismo che si va organizzando punta a lavorare su questo dato con priorità. Ma la rete che va formata per tenere la questione in agenda non è scontata. Ma se non si forma la discesa avviata nessuno sa dove potrà concludersi.

Concludo intanto io con una battuta. Se mi è consentita. Dicono i commentatori di destra che il Paese vota per i problemi reali, non per quelli messi in scena artificiosamente al Festival di Sanremo. Se in vista del 2024 non sarà messa in atto la rigenerazione politica mancata anno dopo anno da molto tempo, questa semplificazione – che oggi può sembrare fastidiosa – diventerà come si dice a Bruxelles, un acquis. Una cosa acquisita. Pensarci su.