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Democrazia Futura. Le elezioni presidenziali turche

di Giorgio Pacifici, sociologo, saggista e docente universitario |

Riuscirà la coalizione dello sfidante Alleanza Nazionale a sconfiggere Erdogan? L'approfondimento di Giorgio Pacifici sulle prossime elezioni presidenziali in Turchia.

Giorgio Pacifici
Giorgio Pacifici

Giorgio Pacifici fornisce ai lettori di Democrazia futura una sorta di guida a  “e elezioni presidenziali turche” chiedendosi se Riuscirà la coalizione dello sfidante  Kemal Kiliçdaroglu, Alleanza Nazionale, a sconfiggere Alleanza Popolare, quella del Presidente uscente  Recep Tayyip Erdogan?. “Queste elezioni presidenziali – secondo Pacifici – rappresentano quindi un tornante importante per la Turchia perché potrebbero rappresentare il punto di svolta da regime presidenziale in regime tout court, oppure rimettere in gioco la democrazia con le sue regole e le sue imperfezioni, ma soprattutto i suoi valori”.

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Il prossimo 14 maggio, se non si verificheranno imprevisti, si svolgeranno in Turchia le elezioni per eleggere il (nuovo?)  presidente della repubblica, e contemporaneamente le elezioni per il rinnovo della Assemblea Nazionale.

La competizione reale si svolge tra due schieramenti, o “alleanze” elettorali: la Alleanza Popolare (Cumhur) che candida il presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, e la Alleanza Nazionale (Millet Ittifak) che candida il leader del Partito Repubblicano Popolare, Kemal Kiliçdaroglu.

La Alleanza Popolare ha come obiettivo di rafforzare la stabilità del paese, favorirne la crescita economica, perseguire la sicurezza nazionale; la Alleanza Nazionale ha tra i suoi obiettivi principali, la democrazia, i diritti umani, il laicismo, la giustizia sociale. Essa auspica un ritorno ad un diverso equilibrio tra i poteri dello stato, quale si configurava anteriormente alla trasformazione in repubblica presidenziale del 2017. Come si può osservare si tratta di prospettive profondamente diverse.

Sulla composizione dei due schieramenti è necessario spendere alcune parole.

Alleanza Nazionale

Della Alleanza nazionale fanno parte sei partiti, estremamente diversi per la loro storia, le dimensioni, e l’ideologia: il Partito Repubblicano Popolare, il Partito del Bene, il Partito del Futuro, il Partito della Democrazia e del Progresso, il Partito della Felicità e il Partito Democratico.

Il Partito Repubblicano Popolare (CHP) ha una storia antica che risale ai primordi della Repubblica turca, è stato fondato nel 1919 e rifondato nel 1923 e poi nel 1992; con i suoi 134 seggi nella attuale Assemblea Nazionale e i suoi quasi 1milione e 400mila iscritti è, per peso politico e per dimensioni, il secondo partito turco.

Il Partito Repubblicano Popolare è definibile come un partito di centro-sinistra, di orientamento socialista-socialdemocratico, schierato a favore delle istituzioni europee e occidentali. La sua ideologia è resa più complessa dal fatto che è anche l’erede del kemalismo, le sei frecce che si ritrovano nel suo stemma sono infatti le sei direttrici ideologiche di Kemal Ataturk: laicismo, nazionalismo, riformismo, statalismo, repubblicanesimo, populismo. Ma mentre alcune di queste componenti ideali sono ancora assolutamente valide per indirizzare uno stato contemporaneo (laicismo, riformismo, repubblicanesimo), altre sembrano più “ingombranti” nel patrimonio di un partito che si vuole moderno. In particolare il nazionalismo che nel vecchio partito repubblicano era venato di pan-turchismo e di pan-turanismo, e il populismo che ha permeato gran parte della vita politica turca. E non soltanto quella del CHP.

La base sociale del Partito Repubblicano Popolare è costituita soprattutto da impiegati e quadri del settore industriale e di quello dei servizi; dipendenti della pubblica amministrazione di medio livello; insegnanti, studenti, ricercatori, tecnici; quadri intermedi dell’esercito; elementi appartenenti alle diverse minoranze (aleviti; turcomanni).

Gli altri cinque partiti appartenenti alla coalizione guidata dal Partito Repubblicano Popolare hanno in comune soltanto un atteggiamento genericamente positivo nei confronti dell’Europa e un conservatorismo di fondo pur declinato in maniere diverse.

E’ da sottolineare che tre di questi partiti (Partito del Futuro, Partito della Democrazia e del Progresso, Partito della Felicità) sono schegge del partito di Erdogan (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), da cui si sono staccati in occasioni e per motivazioni diverse.

Alleanza Popolare

L’Alleanza popolare è stata fondata nel 2018 dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) e dal Partito del Movimento Nazionale (NMP). Ad essa hanno successivamente aderito il Partito della Grande Unità (BBP) e il Partito della Causa Libera (HUDA PAR).

Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo è la maggiore forza politica del paese conta oltre 11 milioni di iscritti e ha 285 deputati alla Assemblea Nazionale.

Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo il classico partito pigliatutto con una estensione dal centro-destra alla estrema destra.

L’autoritarismo fa parte del suo DNA, il suo spettro ideologico comprende il conservatorismo sociale, il populismo, il nazionalismo economico, un certo liberismo che però non urta contro la permanenza di un settore pubblico ancora relativamente importante.

Su un piano più generale le direttrici dell’AKP sono il neo-ottomanismo, l’islamismo e il post-islamismo, il pan-turchismo, l’atteggiamento critico nei confronti dell’Europa più o meno marcato a seconda delle circostanze.

Le basi sociali dell’AKP si ritrovano nei vertici e nei quadri alti della burocrazia, della magistratura, dell’esercito e dell’impresa pubblica, dopo le diverse purghe che hanno   emarginato prima la vecchia classe dirigente repubblicana e poi quella di impianto gulenista.

Ad essi si devono aggiungere gli esponenti del nuovo ceto imprenditoriale anatolico e i dirigenti delle imprese.

Ma una forte componente del consenso al Partito della Giustizia e dello Sviluppo proviene dai ceti popolari: dagli operai dell’industria, dagli addetti all’agricoltura (circa il 18 per cento degli occupati del paese), dai disoccupati (circa il 10 per cento della forza lavoro disponibile), da coloro che dispongono di un reddito inferiore alla soglia di povertà (quasi il 12 per cento della popolazione turca). Infine un’altra componente importante è rappresentata dagli appartenenti alle confraternite islamiche anti-guleniste.

E’ verosimile che anche i Fratelli Musulmani di Turchia diano la loro preferenza all’AKP per i rapporti a lungo intessuti da Recep Tayyip Erdogan in tutto il Medio Oriente con le diverse branche della Fratellanza.

Il secondo partito dell’Alleanza popolare è il Partito del Movimento Nazionale (NMP), forte di quasi 500 mila militanti e di un gruppo parlamentare di 49 deputati. Fondato nel 1969 dal colonnello golpista Alperslan Turkes , il partito è stato rifondato nel 1993. L’ideologia del NMP è basata sull’ultranazionalismo turco e la sua cultura originaria è fondata sulla mitologia dei Lupi Grigi che danno anche il nome ad una associazione parallela (o meglio una milizia?).

Malgrado il giudizio di alcuni politologi che lo reputano un movimento “neo-fascista” per il suo accentuato conservatorismo sociale, il marcato populismo e la forte avversione all’Europa, esso appare maggiormente come un movimento neo-nazista per il violento razzismo espresso a livello anti-kurdo e contro altre componenti minoritarie della società turca, e per la mitologia di cui è intessuto.

A livello politico il partito si oppone fermamente a qualsiasi dialogo con il Partito Democratico Popolare che rappresenta gli interessi kurdi e delle minoranze in genere.

La base sociale del NMP è costituita dai ranghi intermedi dell’esercito, da studenti e intellettuali, e da miliziani. Ma, come è stato sottolineato più volte, il Partito del Movimento Nazionale dispone di una “struttura parallela” formata da migliaia di trafficanti di droga e armi, poliziotti corrotti, agenti dei servizi deviati, mafiosi, esponenti della criminalità organizzata. In questo modo esso costituisce il vero anello di congiunzione tra la destra politica al governo e lo stato profondo turco.

I partiti kurdi al di fuori delle alleanze

Al di fuori delle grandi alleanze elettorali rimangono i due partiti kurdi, che però potranno avere un peso non indifferente nell’elezione del presidente, il Partito Democratico Popolare (HDP) e il Partito Democratico Regionale (DBP).

Le ragioni di questa estraneità ai due schieramenti sono presto dette. Per la Alleanza Nazionale l’ingresso di forze marcatamente kurde avrebbe rappresentato un passo falso facendo perdere probabilmente una parte dei voti di quell’elettorato di destra e centro destra che è insoddisfatto di Erdogan ma teme di fare un “salto nel buio”. Per la Alleanza Popolare il problema non si poneva neppure data la totale opposizione tra il partito di estrema destra NMP che ne costituisce una parte importante e i partiti kurdi.

Il Partito Democratico Popolare (HDP) conta quasi 50 mila militanti e ha 56 deputati alla Assemblea Nazionale. E’ ben radicato sul territorio e ha una consistente rappresentanza nei consigli comunali. Si tratta di un partito fondamentalmente laico e progressista di orientamento socialdemocratico e regionalista. Nato per la difesa degli interessi kurdi ha esteso la propria attenzione a tutte le minoranze (etniche, religiose, di genere) esistenti in Turchia.

Il Partito Democratico delle Regioni (DBP) è un “partito fratello” del HDP. Ha circa 7mila iscritti e un unico deputato all’Assemblea Nazionale, che è attualmente la stessa segretaria politica del partito, Salihe Aydeniz. Anch’esso di tendenze laiche e socialiste, sotto il profilo ideologico   tende ad accentuare il nazionalismo kurdo e le istanze regionaliste.

Il partito kurdo armato

Nel 1978 venne fondato il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), insieme organizzazione politica militante e movimento armato di guerriglia con l’obiettivo di arrivare a uno stato kurdo indipendente. Il numero dei militanti, come avviene per qualsiasi organizzazione accusata di terrorismo, non è noto ed è variabile a seconda del momento: si va da un numero minimo di 5 mila ad una cifra che supera le 30 mila unità.

Nel corso del tempo il PKK e il suo leader storico Abdullah Ocalan (in carcere) hanno compiuta una profonda revisione ideologica abbandonando il marxismo-leninismo originario per il socialismo libertario, il comunalismo e il “confederalismo democratico”. Altre componenti ideologiche del PKK sono il nazionalismo kurdo, il laicismo, il pluralismo. Il partito dei Lavoratori del Kurdistan anche se ovviamente non sarà presente nelle elezioni del 14 maggio 2023 è uno degli stakeholder più interessati, dal momento che un avvicendamento alla presidenza potrebbe riaprire la strada ad un appeasement con le autorità centrali. Inoltre incidendo sulle stesse aree sociali, il PKK appare in grado di esercitare un’influenza sui comportamenti dei partiti kurdi “non armati”.

Due personalità a confronto: Erdogan e Kiliçdaroglu

Il detentore del titolo

La biografia di Erdogan è nota, come sono noti i suoi frequenti cambi di passo in politica interna e in politica estera. Cresciuto in un quartiere popolare di Istanbul, Erdogan ha ricevuto sin dagli anni della formazione una forte impronta islamista che gli è stata trasmessa dal suo mentore, il politico islamista Necmettin Erbakan.

Dopo essere stato a lungo alleato del pensatore e teologo islamico Fethullah Gulen con l’obiettivo (indubbiamente raggiunto) di annientare la sinistra kemalista e di rimuovere il kemalismo dall’apparato ideologico dello stato, Erdogan ha effettuato una completa rottura con Gulen costringendolo all’esilio negli Stati Uniti ed accusandolo di essere il capo di un’organizzazione terroristica (“FETO”).

In realtà il passaggio da un’alleanza strategica ad un’inimicizia profonda non è stato dovuto a differenti visioni teologiche dell’Islam politico, ma alla penetrazione realizzata dal movimento di Gulen negli apparati della pubblica amministrazione e della magistratura e negli alti gradi dell’esercito. Ma per le elezioni presidenziali di maggio Erdogan dovrà fare i conti con i numerosi gulenisti ancora esistenti nel paese anche dopo la messa al bando del movimento.

Sul piano internazionale Erdogan rimane all’interno della Alleanza Atlantica, pur con molti distinguo rispetto agli altri membri: ha sfruttato abilmente il conflitto russo-ucraino per rompere un isolamento internazionale che stava diventando pericoloso per la Turchia e ha proposto una mediazione tra le parti; ha fatto importanti acquisti di materiale (missili) presso la Federazione Russa anziché presso gli alleati atlantici; ha condizionato l’adesione della Svezia alla Alleanza alla chiusura di tutti i “santuari” del PKK presenti in Svezia da parte di Stoccolma. Nel frattempo ha continuato a tessere rapporti con tutte le organizzazioni islamiste, anche quelle considerate più oscure dall’opinione pubblica internazionale.

Lo sfidante

Meno nota e meno colorata è invece la figura del candidato dell’Alleanza Nazionale, Kemal Kiliçdaroglu. Di famiglia alevita perseguitata, Kiliçdaroglu porta con sé il peso, ma anche il privilegio, dell’appartenenza a una minoranza.

Laureato in Scienze Economiche e commerciali all’Università di Ankara, prima della carriera politica è stato funzionario del Ministero delle Finanze, Direttore dell’Organizzazione per la Sicurezza Sociale degli artigiani e dei lavoratori autonomi, è stato successivamente direttore generale dell’Istituto per la sicurezza sociale. Contemporaneamente agli incarichi professionali Kiliçdaroglu ha avuto anche un passato accademico, essendo stato chiamato a svolgere corsi presso importanti università.

Deputato di Istanbul nel 2002 è diventato nel 2010 il leader del Partito Repubblicano Popolare e poi leader dell’opposizione parlamentare, e nel 2012 vice presidente dell’Internazionale socialista. La sua vita privata viene riportata come “ascetica” (è definito il “Gandhi turco”) e certamente non sono mai circolati scandali di nessun tipo sul suo conto e su quello del suo entourage. La sua figura politica, di uomo rigoroso sul piano personale e attento agli interessi della collettività può essere in qualche modo paragonabile a quella del francese Lionel Jospin, anch’egli espressione di un gruppo minoritario.

Avversari e alleati

Normalmente nelle elezioni presidenziali il candidato favorito è il presidente uscente soprattutto se, come è per il caso di Erdogan, ha il controllo della polizia, dell’apparato amministrativo e dei servizi di sicurezza, ed è sostenuto dai partiti che hanno la maggioranza nel Paese.

Non mancano pero nella casistica internazionale casi in cui lo “sfidante” – capovolgendo i pronostici- è riuscito a ottenere l’elezione.

Nel caso di Erdogan un fattore che potrebbe modificare a suo sfavore la situazione potrebbe essere l’appoggio alla Alleanza Nazionale dei sindaci di Istanbul e di Ankara, anche se è difficile quantificare il loro peso sul piano nazionale.

Ma le elezioni potrebbero anche essere perturbate da alcune decisioni di attori estranei alla politica turca, in particolare se alcune agenzie degli Stati Uniti decidessero di entrare a gamba tesa nella competizione. Questa sembra però oggi una decisione improbabile dato che, se gli Statti Uniti non hanno una particolare simpatia per Erdogan, non sembrano neppure convinti di avere la personalità giusta con cui sostituirlo. Anche perché Fethullah Gulen non appare spendibile, e le purghe e le epurazioni che l’esercito ha subito, fanno in modo che gli Stati Uniti non riescano a identificare negli alti gradi delle forze armate le persone “vicine”, come poteva essere negli anni Cinquanta.

Il complottismo costituisce una caratteristica di fondo della Turchia, praticamente secondo la versione turca non c’è capitale mondiale grande o piccola in cui non si stia complottando per distruggere o almeno indebolire la Turchia, toglierle territori, fiaccarne la potenza militare, deteriorarne l’immagine all’estero.

Da questo “grande complotto” che vedrebbe insieme, Emmanuel Macron e Bashar Al-Assad, la BCE e l’FMI, Washington e Tehran,- Erdogan, cioè la Turchia, data la identificazione che il presidente ha fatto di sé stesso con il Paese, sente il dovere di difendersi permanentemente. E questa potrebbe essere un’altra delle variabili extrapolitiche delle elezioni, magari con un autogolpe ben orchestrato e a conclusioni predeterminate.

Mosca che un tempo considerava la Turchia come il gendarme Nato ai suoi confini meridionali oggi non ha interesse alla destabilizzazione del Paese. E certamente preferisce un leader autoritario e euroasiatico con ambizioni a ricostituire l’Impero Ottomano ad un “professore” socialdemocratico e europeista, con l’aspirazione di elevare il PIL, ridurre il numero dei disoccupati, azzerare l’analfabetismo.  

Rimane l’incognita kurda e in particolare l’incognita PKK

Quanto minore sarà l’attivismo kurdo durante il periodo preelettorale, tanto minori saranno le probabilità che il giocatore più forte e spericolato o i suoi alleati più aggressivi abbiano la tentazione di rovesciare il tavolo affermando che le regole sono state violate. Questo i dirigenti del HDP lo sanno bene, ma è difficile sapere se riusciranno a trasmettere questa convinzione agli uomini del PKK.

Queste elezioni presidenziali rappresentano quindi un tornante importante per la Turchia perché potrebbero rappresentare il punto di svolta da regime presidenziale in regime tout court, oppure rimettere in gioco la democrazia con le sue regole e le sue imperfezioni, ma soprattutto i suoi valori.