Lettera ANESTI: far correre l’inflazione non è la soluzione per il rilancio dell’economia e dei consumi

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Italia


Eutimio Tiliacos

Prosegue con la pubblicazione della quarta ‘Lettera ANESTI’ la collaborazione tra Key4biz ed Eutimio Tiliacos, un analista di grande esperienza internazionale che conosce molto bene l’Italia e con cui cercheremo di maneggiare di volta in volta le migliori chiavi di lettura per comprendere meglio le dinamiche che stanno riformulando i ranking internazionali tra economia, finanza, manifatturiero, conoscenze e istituzioni internazionali. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

 

 

Una recente pubblicazione statistica della Banca Centrale Europea (ECB  Statistics Pocket Book  May 2013) stima l’effetto che l’inflazione produrrebbe sui percettori di redditi fissi. Al tasso inflazionistico del 2% all’anno, dopo 10 anni, per ogni mille euro spesi questo importo vedrebbe scendere il suo potere di acquisto sino a toccare alla fine del periodo un controvalore effettivo di 820 euro. Se l’inflazione fosse del 5% all’anno, sempre alla fine del decennio, è come se si avessero in tasca 614 euro e così via se l’inflazione fosse galoppante al 20% – come negli anni Ottanta ben prima dell’ingresso dell’Italia nell’Euro – una persona, per ogni mille euro che oggi guadagna, si ritroverebbe a disporre di  un potere di acquisto di appena 162 euro. E’ pertanto evidente che la soluzione di lasciar correre l’inflazione, magari fuoruscendo dall’Euro, non sembra la maniera più efficace per conseguire il rilancio della economia e della occupazione e men che meno – almeno in prospettiva – dei consumi.

C’è sempre, si sente dire, la valvola delle esportazioni che riprenderebbero vigore e avrebbero un impulso dalla svalutazione della nuova moneta, ma a parte che questo fenomeno beneficerebbe solo alcuni comparti produttivi italiani, non tutti, non è detto che – stante la situazione di sovraccapacità produttiva a livello mondiale in quasi tutti i settori tradizionali (di cui abbiamo dato conto nel numero di Maggio di Lettera ANESTI) – gli effetti possano essere quelli attesi. Da una classifica del Marzo 2013 pubblicata dal Fondo Monetario Internazionale a seguito di uno studio tra 28 paesi europei, risulta che, esaminando i dati dal 1995 al 2008 e deducendo dalle merci esportate da ciascun paese in esame la quota di valore aggiunto acquistata dall’estero, ossia guardando solo alla componente di valore aggiunto prodotta internamente, l’Italia figura appena al ventiduesimo posto  ( WP/13/62 IMF Working Paper “Export Performance in Europe: The Role of Vertical Supply Links“, March 2013,  pag 10).   Ciò vuol dire che: a) o avremmo comunque difficoltà ad imporre i nostri prodotti all’estero se realizzati prevalentemente o in toto in Italia oppure b) dovremmo comunque lasciare all’estero una buona quota del valore aggiunto insito in ogni prodotto, se vogliamo rendere quest’ultimo competitivo in termini di prezzo e/o di tecnologia visto un nostro certo ritardo nel tradurre e sfruttare l’innovazione di prodotto a carattere tecnico in prodotti esportabili.

Inoltre il deficit di organizzazione che caratterizza l’Italia, non solo a livello di servizi e imprese pubbliche ma anche presso la maggioranza delle aziende private, in permanente ristrutturazione e mai organizzativamente stabilizzate, è oramai leggendario e uno studio OCSE, già citato in precedenti numeri di Lettera ANESTI (OECD Factbook 2011, Productivity and growth accounting) stima l’apporto della cosiddetta Multi-Factor Productivity (innovazione tecnologica, organizzazione, formazione e apprendistato) alla crescita media annua del reddito nel periodo 1985 – 2009 in appena lo 0,15% all’anno contro lo 0,85 % tedesco, l’1,10% dei Paesi Bassi, l’1,15% francese, l’1,26% austriaco, l’1,31% belga, l’1,81% finlandese, il 2,86% dell’Irlanda per non citare paesi asiatici membri dell’OCSE come il Giappone 1,45% e la Corea 3,76%. Poco motivate suonano pertanto le lamentele di coloro che attribuiscono alle scarse capacità negoziali a livello statale il fatto che in consorzi internazionali le imprese italiane vengano spesso relegate al ruolo di Cenerentole; il punto debole non è nelle capacità negoziali di tali imprese o dello Stato bensì nella carenza di capacità organizzative, nel dis-rispetto dei tempi di consegna degli elaborati progettuali e delle opere, nel caos organizzativo che incide pesantemente sulla “accountability” delle linee societarie e dei personaggi investiti della responsabilità del progetto impedendo che si sappia con precisione per ogni azione: chi la ha compiuta, perché e come e -se qualcosa va storto- chi ne sia in definitiva il responsabile e come vi si possa porre rimedio nel miglior modo.

Esiste dunque un problema di fuoruscita dalla crisi connesso al modo in cui l’Italia si pone nell’agone internazionale e che da una parte attiene le modalità per aumentare il tasso di organizzazione interno al nostro paese e dall’altro la possibilità di operare per periodi sufficientemente lunghi, attraverso una lungimirante  politica industriale   avviando specifici progetti in comparti in cui il paese voglia far valere nel medio-lungo periodo un netto vantaggio competitivo e dove la catena del valore possa essere presidiata in tutti i segmenti possibili, non limitandosi pertanto al compito di semplici “assemblatori” e “distributori” di beni e servizi altrui (esteri).

Esiste poi un problema più generale che attiene il quadro globale, in parte finanziario e in parte connesso anch’esso all’economia reale. Infatti nonostante la crisi sia esplosa da alcuni anni il mercato finanziario è ancora caratterizzato da instabilità e da una inerente incapacità di controllarne la complessità da parte dei soggetti che vi operano e di quelli preposti a regolarne il funzionamento. La attuale complessità del mercato infatti sfugge al controllo di tutti i soggetti che vi agiscono, siano essi singoli operatori, organizzazioni o banche centrali. La percentuale di rischio sistemico ad oggi rimane pertanto inalterata rispetto al 2007 quando la crisi inizialmente esplose. Lo strumento della inflazione per «smuovere» l’economia, oggi perseguito da alcune banche centrali (Giappone in primis), è equivalente a trivellare un vulcano per ridurre la pressione della lava nella camera magmatica. Si rischia di provocarne una eruzione rovinosa.

Inoltre i movimenti anormali di capitale a breve, ossia la possibilità di fuga repentina di investitori da strumenti che hanno solo apparentemente caratteristiche di mezzi finanziari a Medio/Lungo  ma che sono in realtà assimilabili a strumenti a breve per la possibilità che offrono di dar luogo a repentine fuoruscite in massa dal mercato, comportano per questi strumenti e per il mercato tutto un rischio  elevato e ancora incontrollato. E ancora: iniziative per il superamento dei «settori bancari ombra» e orientamenti verso la unificazione delle regole e delle strutture che dovrebbero contenere i rischi e circoscriverli al settore finanziario senza ricadute sui debiti pubblici dei singoli paesi  -come purtroppo avvenuto nel recente passato-  non stanno progredendo con la necessaria rapidità o stanno addirittura provocando la dissoluzione di aree di integrazione economica per l’atteggiamento miope di alcuni paesi che vogliono sottrarre la propria industria finanziaria a tali regole credendo così di tutelarla “Il vertice dei Capi di Stato e di governo dell’area dell’euro (Eurosummit), tenutosi in contemporanea al Consiglio europeo di fine giugno 2012, ha condiviso la linea tracciata dal rapporto Van Rompuy e ha identificato nel sistema europeo di vigilanza bancaria uno strumento utile per eliminare la segmentazione del sistema bancario europeo e spezzare il circolo vizioso tra fragilità dei sistemi bancari e crisi dei debiti sovrani. L’Eurosummit ha quindi affidato alla Commissione europea il compito di definire le modalità di attuazione del Single Supervisory Mechanism (SSM)………. Il «Single Supervisory Mechanism» mira a rafforzare l’omogenea applicazione delle regole prudenziali e a realizzare un’effettiva sorveglianza sui mercati bancari cross-border; esso costituisce condizione necessaria affinché lo «European Stability Mechanism (ESM)» possa ricapitalizzare le banche direttamente invece che attraverso il finanziamento dello Stato sovrano. Il nuovo sistema attribuirebbe alla BCE  la responsabilità dei principali compiti di vigilanza su tutte le banche dell’area dell’euro, indipendentemente dalla dimensione e dal modello di business da esse adottato. Il trasferimento dei compiti di vigilanza avverrebbe con gradualità: dal 1° luglio 2013 sarebbero assoggettate alla vigilanza della BCE le banche che, sulla base della dimensione e dell’attività transfrontaliera svolta, siano ritenute sistemicamente rilevanti a livello europeo; dal 1° gennaio 2014 verrebbero poste sotto la vigilanza della BCE tutte le altre banche dell’area dell’euro. Anche prima del gennaio 2014, tuttavia, potrà essere trasferita, sulla base di apposite decisioni della BCE, la responsabilità di specifiche banche, in particolare di quelle che hanno richiesto sostegno finanziario pubblico“. (Da: «L’Unione bancaria» Audizione del Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini, Audizione presso il Senato della Repubblica 24 Ottobre 2012).

Il processo di integrazione bancaria, che è di fondamentale importanza per la stabilizzazione del sistema bancario europeo, fatica però a rispettare le tappe previste in quanto alcuni paesi (tra essi la Germania) vorrebbero che venisse preventivamente espletata una approfondita analisi dei livelli di capitalizzazione di ciascuna banca per verificare su base ex ante (ossia prima di procedere alla unificazione)  la congruità dell’attivo e del capitale di ciascun istituto rispetto ai volumi gestiti ed  ai rischi da ciascuna banca assunti, così da evitare che il sistema bancario dei paesi più forti debba farsi carico da subito delle perdite delle banche che hanno polvere nascosta sotto il tappeto. 

Tutto questo avviene mentre lo scenario geopolitico si complica come ci spiega Emanuele Scimia in Asia Times Online del 20 Maggio 2013 . Al di là dei conflitti palesi quale quelli siriano e quello afgano, si sta poi sviluppando -spesso combattuta segretamente dai governi di alcuni paesi- una guerra sotterranea, di natura cibernetica, che mira a paralizzare attraverso le reti informatiche settori vitali della economia e della difesa di paesi concorrenti.

Al momento si tratta di prove messe in atto in singoli momenti e su singoli settori ma il loro significato complessivo è inequivocabile al punto che il governo USA  ha recentemente varato un piano nazionale per la difesa delle infrastrutture che coinvolgerà sedici settori chiave per la sicurezza economica e strategica del paese come riferisce InsideGNSS del 13 Maggio scorso: “System engineers across the country may soon be planning, in some cases perhaps for the first time, what they would do if they could not use the GPS service…..GPS’s role in the national critical infrastructure preoccupied members of the National Space-Based Positioning, Navigation, and Timing (PNT) Advisory Board were told Wednesday. They learned that the first phase of the expanded analysis will focus on those areas viewed as most dependent on GPS: communications, transportation, and information technology. The work, which is being spearheaded by the Department of Homeland Security (DHS), was launched as part of two new dictates released in February by the White House. The first was Presidential Policy Directive 21 titled “Critical Infrastructure Security and Resilience” released on February 12 in advance of Presifdent Obama’s State of the Union address in which he emphasized the need to update an aging infrastructure. The other was Executive Order 13636 published in the Federal Register on February 19, that lays out tasks and responsibilities for protecting the nation’s critical infrastructure and improving cybersecurity….National Infrastructure Protection Plan or NIPP will specifically include positioning, navigation, and timing (PNT) capabilities for which GPS is a leading — if not the leading — technology…..The 18 critical sectors and agencies coordinating sector efforts are:  Chemical, Commercial Facilities, Communications, Critical Manufacturing, Dams, Defense Industrial Base, Emergency Services, Energy, Financial Services, Food and Agriculture, Government Facilities, Healthcare and Public Health, Information Technology, Nuclear Reactors, Materials, and Waste Sector, Transportation Systems, Water and Wastewater Systems” Da: White House Moves to Harden Infrastructure against GPS Disruption – GPS a “cross-sector dependency” InsideGNSS May 13, 2013                                               

 

Eutimio Tiliacos

 

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