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Telecom-Vivendi, le strategie di Bollorè tra scenari possibili e mosse politiche

Vincent Bollorè

Vincent Bollorè

L’ascesa di Vivendi nel capitale di Telecom Italia al limite della soglia OPA non si può considerare un fulmine a ciel sereno. Il presidente del conglomerato media francese, Vincent Bollorè non è certo uno sprovveduto: secondo azionista di Mediobanca e con un consigliere di sorveglianza Vivendi – Philippe Donnet – recentemente posto alla guida di Generali, è molto addentro ai meccanismi della finanza italiana e agli intrecci con la politica. Attraverso Vivendi, di cui è maggiore azionista con una quota del 14,35%, ha costruito la sua scalata a Telecom passo dopo passo, partendo da quell’8% ereditato da Telefonica nell’ambito della compravendita dell’operatore brasiliano GVT e sembra prossimo, nel giro di un paio d’anni, a inglobare tutta Mediaset partendo dalla Pay Tv Premium. Una partita doppia giocata in maniera anche fin troppo ‘felpata’ dice chi conosce bene i suoi metodi. Una tattica che, a fronte di una palese mancanza di notizie certe su quali siano le sue reali strategie, fa pensare che dietro le sue attente manovre ci sia un disegno ben più ampio di quello finora trapelato e, soprattutto, il benestare della politica.

C’è infatti chi azzarda che le mire di Bollorè sarebbero ben più ampie, non solo su Telecom Italia – ci sarà o no un’OPA? E, soprattutto, conviene se già si possiede la quota di maggioranza? – o su Mediaset: Vivendi metterà le mani solo a Mediaset Premium, come sembra ormai certo, o sul lungo periodo sull’intera Mediaset? E ancora: c’è qualcuno dietro Bollorè? Si muove di concerto con Xavier Niel (che ha acquisito una quota potenziale del 15%) con Stephane Richard (Ceo di Orange) o con entrambi?

Il disegno di Bollorè, per molti versi, rende l’Italia solo una pedina in un gioco più vasto, almeno di scala europea in un risiko che spazia dalle tlc – con Telecom Italia e Telefonica – ai contenuti televisivi e musicali, passando per i games.

Vivendi, è cronaca degli ultimi giorni, è salita al 24,9% di Telecom: sarebbe bastato uno 0,2% in più per fare scattare l’obbligo di Offerta Pubblica di Acquisto, ma così non è stato. Il motivo potrebbe essere semplice: conviene lanciare un’OPA su una società con una capitalizzazione di oltre 14 miliardi (quella di Vivendi si attesta a 25 miliardi con un valore d’impresa di 18 miliardi) e con un debito di 27 miliardi di euro se si ha in mano una quota che consente comunque di far valere il proprio peso?

Gli interrogativi e le ipotesi si rincorrono, così come si rincorrono freneticamente le dichiarazioni e le smentite.

Intanto, secondo La Repubblica, un incontro tra Bollorè, il Ceo Vivendi Arnaud De Puyfontaine e il presidente di CDP Claudio Costamagna ci sarebbe già stato, così come c’è stato un incontro tra Jannick Bollorè (presidente di Havas e figlio di Vincent) e Pier Silvio Berlusconi per accelerare sul dossier Vivendi-Mediaset Premium, rincorso da molto tempo ma che sembra ora alle battute finali. I francesi, insomma, come è loro consuetudine, non sembrano muoversi in ordine sparso.

Restando alle telecom, diversi sono, dunque, gli scenari ipotizzabili.

Innanzitutto, un po’ di chiarezza si potrebbe avere proprio partendo dal ‘non detto’. Vivendi, ha più volte ribadito l’ad Arnaud De Puyfontaine, è in Telecom Italia per restare ed è ovvio, quindi, che Bollorè voglia voce in capitolo sulla gestione e sulle strategie. Un primo assaggio della volontà di salire al timone della società si è avuto nell’ultima assemblea, quando non solo i francesi sono sbarcati in forze nel cda con 4 pesi massimi (De Puyfontaine compreso) ottenendo un contestuale allargamento del board da 13 a 17 membri, ma hanno anche fatto saltare un progetto a lungo inseguito da Telecom, ossia la conversione delle azioni di risparmio. È da allora, inoltre, che si rincorrono le voci su una possibile uscita anticipata dell’ad Marco Patuano, tornate con forza in auge dopo l’ultimo rendez-vous a Parigi con De Puyfontaine. L’ipotesi non è mai stata smentita da Vivendi che anzi ha più volte palesato la ‘crescente frustrazione’ verso il management italiano. In vista del cda Telecom del 17 marzo, questi malumori sono stati cavalcati anche dai piccoli azionisti di Asati, che – dopo essersi schierati contro l’ingresso di membri Vivendi in cda – ieri hanno addirittura chiesto l’azzeramento di un board definito “delegittimato” per lasciare spazio di manovra al socio francese.

E ancora: il presidente Telecom Giuseppe Recchi ha nuovamente smentito nei giorni scorsi le ipotesi di un dossier Telecom-Orange a fronte delle dichiarazioni possibiliste dell’ad dell’operatore storico francese. Richard aveva detto che “se Bollorè ci dicesse che la cosa migliore da fare sarebbe un accordo tra noi per fare in modo che Orange compri Telecom, allora guarderemmo all’operazione”. Alle dichiarazioni di Richard sono seguite anche le ‘aperture’ ai capitali stranieri del premier Matteo Renzi e le dichiarazioni del presidente francese Francois Hollande sull’opportunità di creare dei ‘campioni’ europei anche nel settore delle tlc. Dichiarazioni a cui si aggiungono quelle rese oggi dal ministro dell’economia francese, Emmanuel Macron, che ha affermato: “…la mia opinione è che abbiamo bisogno di un mercato unico europeo sul digitale e nelle telecomunicazioni e penso che abbiamo bisogno di soggetti forti, ma non spetta a me indicare una scelta piuttosto che un’altra…Sono delle scelte di soggetti privati”.

Nessuno, quindi, sembra voler mettere dei paletti al finanziere bretone.

E a questo punto, col placet di Italia e Francia e in nome degli intrecci economici sempre più fitti tra i due paesi, sarebbe anche plausibile ipotizzare la creazione di un mega polo tlc-contenuti che, nel giro di qualche anno, metta insieme Vivendi (che in cassa ha circa 8 miliardi di euro), Telecom Italia, tutta Mediaset e Telefonica (che ha una quota dell’11% di Mediaset Premium) per dare filo da torcere alla Sky di Rupert Murdoch ma anche a web company come Netflix.

Ma, visto che restiamo nel campo del ‘tutto è possibile’, sarebbe altrettanto verosimile ipotizzare che se Orange non riuscisse a entrare in Telecom dalla porta, potrebbe entrare dalla finestra, ossia attraverso uno scambio o l’acquisizione di quote Vivendi. L’ex monopolista delle tlc francesi è attualmente impegnato nel progetto di fusione con Bouygues Telecom, che non prevede comunque un esborso di capitale ma soltanto uno scambio azionario, con Martin Bouygues che otterrebbe una quota tra il 10 e il 15% di Orange. Bollorè potrebbe a quel punto perseguire la stessa strategia, scambiando la sua quota in Telecom con una quota di Orange (che ha nel suo capitale lo Stato francese al 23%, anche se la quota dovrebbe diluirsi al 19% in seguito alla fusione con Bouygues).

È qui, probabilmente, il senso della frase di Renzi “lasciamo fare al mercato e a chi ha i soldi per investire”.

Anche la partita della fibra ottica, dopo quella della moda e in gran parte anche del settore alimentare – tutti settori un tempo strategici e in cui l’Italia dettava legge nel mondo – insomma, potrebbe essere decisa da capitali stranieri, col rischio che il nostro Paese resti un tassello, magari anche cruciale, ma pronto solo a ‘eseguire’ strategie decise altrove.

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