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Democrazia Futura. “Romanzo radicale”, 2,2% di ascolto, forse andava concepito più “alla grande”

di Stefano Rolando, Professore di comunicazione pubblica IULM e Condirettore di Democrazia futura |

Riflessione sul docu-film di Rai3 sulla vita di Marco Pannella. Poco più di 400 mila spettatori, pari al 2,2% dello share. La soglia minima di accettabilità avrebbe dovuto essere almeno il doppio.

Stefano Rolando

Stefano Rolando analizza nella rubrica “Tiro a segno”, Romanzo Radicale docufilm trasmesso a metà novembre da Rai3 sulla vita di Marco Pannella (1030-2016) con la regia di Mimmo Calopresti.  Secondo Rolando “il film, a tratti persino bello, ma in altre parti con sceneggiatura scadente, un po’ a tavolino, poco vero cinema e quindi non molto efficace […]. Certo è che i brani storici veri offuscano la fiction. E questo – in un’impresa che ha il merito di riaprire un’attenzione e un dibattito – è un colpo di freno”. Come indica nel titolo commentando il “2,2 per cento di ascolti, forse andava concepito più “alla grande”.

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Il tam tam è stato breve, a ridosso dell’evento. Fosse stata una cosa più meditata, più apertamente voluta, dalla stessa Rai, il pubblico avrebbe forse percipito l’evento prima e meglio.

Tanto che, pur attento a una cosa del genere, ho avvertito casualmente la notizia poco prima di partire per una conferenza all’estero, in Marocco, immaginando che non avrei avuto il modo di stare davanti a un televisore per vederlo.

Sto parlando del filmato “Romanzo radicale”, titolo che in modo un po’ inquietante per la verità rimanda per assonanza  al popolare “Romanzo criminale” (film di Michele Placido  del 2005, scritto da Giancarlo De Cataldo  sulla banda della Magliana, poi tre anni dopo trasformato in una lunga serie televisiva) pur indovinando l’accoppiata di una parola qui ineludibile (“radicale”) e di una parola efficacemente narrativa (“romanzo”) che possono convivere nel tentativo di proporre per la prima volta agli italiani una sceneggiatura riguardante la vita (“politica e umana”) di Marco Pannella.

Per evitare dubbi, il sottotitolo (che Pannella non credo avrebbe accolto con entusiasmo semplicemente per non addossarsi tutta la responsabilità della narrazione) è “Io sono Marco Pannella”. Regia di Mimmo Calopresti, sceneggiatura di Monica Zapelli e Luca Lancise, coproduzione di Rai fiction e di Italian International Film di Fulvio e Paola Lucisano.

Nel 2009, in vista degli ottanta anni di Marco Pannella, soprattutto nell’assenza nelle librerie di una accessibile ma al tempo stesso meditata  interazione con lui stesso sulla sua vita, grazie a lunga conoscenza divenuta amicizia e nel quadro di altri miei libri-intervista presso la casa editrice Bompiani, sono venuto a capo, non facilmente, del suo consenso al dialogo, che ha cominciato ad essere registrato nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles per continuare in successive occasioni presso la sede radicale di Torre Argentina, con una supervisione della lettura finale, dedicata alle sue risposte e alle note, effettuata per suo desiderio da Gianfranco Spadaccia, conseguendo alla fine il suo benestare alla pubblicazione (esito che, mi tenne a dire, non era stato raggiunto in precedenza dal testo che realizzò con lui Umberto Eco). Il titolo del libro era un frammento delle sue risposte (“Le nostre storie sono i nostri orti, ma anche i nostri ghetti”). Bompiani ha ripubblicato la seconda edizione in occasione della sua scomparsa.

Questa è la premessa per dire in breve che comprendo a fondo la difficoltà di contenere in un solo “manufatto comunicativo” quella vita. Nel mio caso, poi, scegliendo io stesso di tralasciare gli aspetti personali e umani, se non per risvolti significativi riguardanti la formazione del suo pensiero e la natura dei suoi comportamenti.

Attribuisco quella vicenda alle cose importanti della mia vita professionale e civile. Ma nel convincimento che senza una forte motivazione al tempo stesso narrativa, creativa e etico-politica, questo genere di scritture si perdono per strada quando incontrano ovvie difficoltà produttive.

Senza pregiudizio, con interesse e qualche dubbio sulla attuale forza editoriale della Rai per un’impresa siffatta, sono persino riuscito ad intercettare in un hotel di Rabat la terza rete Rai e a vedere in diretta il, proverei a dire così, docu-film.

La notte stessa e poi fin dal primo mattino ho colto sui social la veemenza critica di persone con una certa caratura professionale e politica che giustificherebbe la titolarità di un giudizio anche severo nei riguardi del filmato. Innanzi tutto politicamente ”radicali” e non dell’ultima ora. Poi con strumenti di discernimento circa le modalità produttive e creative di quel genere di produzione. E soprattutto con ampia e personale conoscenza di una parte rilevante della vita dell’interessato.

Giudizi comunque inappellabili. Critiche appunto “radicali”. Intolleranza per l’insufficienza della parte fiction rispetto ai brani di video-documentazione originale. E poi, manca questo, manca quello.  I loro nomi – donne e uomini – sono tutti in rete e non entro nel preciso contenuto dei singoli post, che nella giornata di domenica sono divenuti raffiche.

Mi è stato chiesto dopo la proiezione (ma ho visto il messaggio a notte fonda) dall’interno di Radio Radicale un parere di massima, non a scopo giornalistico ma per dare un riscontro personale circa il visionamento fatto e i giudizi in corso.

La mia prima battuta in wattsapp  è stata la seguente:

“E’ praticamente l’alba e sono nella hall di un albergo a Rabat in Marocco in attesa di una auto per l’aeroporto. Ho visto il film, a tratti persino bello, ma in altre parti con sceneggiatura scadente, voglio dire un po’ a tavolino, poco vero cinema e quindi non molto efficace. Anche se forse, per il pubblico italiano di questi tempi, l’idea era di puntare sulla chiarezza (brevità e semplicità) del linguaggio e quindi sulla comprensibilità, temendo l’invasione della retorica effluviale di Marco. Certo è che i brani storici veri offuscano la fiction. E questo – in un’impresa che ha il merito di riaprire un’attenzione e un dibattito – è un colpo di freno”.   

Il mio interlocutore ha condiviso gli aspetti critici ma, considerando il regista un ottimo esperto di questo genere di narrazioni, mi ha invitato a valutare l’importanza del film nella restituzione, almeno su alcuni punti, di un ritratto profondamente diverso dai politici professionisti, spesso ambigui e vaghi, della prima Repubblica.

Erano i primi chiarori della mattinata quando ho risposto:

“Quell’argomento lì si coglie e mi pare riuscito. La trama tutta centrata sui referendum mette però la politica in ombra. Come dire che sul sociale Pannella ha vinto ma politicamente è rimasto un isolato. Il che forse è anche vero. Insomma, anche per questo ne ricaverei un giudizio medio. Non del tutto negativo. Sono riusciti anche a dare qualche tratto di vita privata di solito infrequente nel caso di Pannella, introducendo una variazione sugli aspetti stereotipati della personalità che può trovare riscontri nel pubblico che meno lo conosceva”.

Ed è a questo punto che si è inserita la domanda sulla natura così critica di dichiarazioni di persone amiche e vicine a Marco Pannella.

La giornata si stava facendo chiara e la mia partenza in aereo ormai prossima:

“Vedo in alcuni casi addirittura livore nei confronti del film di RAI3. Senza alcuna benevolenza, alcun tentativo di capire intenzioni o spiegazioni. Pare quasi che vogliano dire che il giudizio su Marco Pannella o è olistico, religioso, enciclopedico, abissale, provocatorio, anticiclico, sterminato, teologico, o non è. In questi casi mi pare manchi quel senso dell’umorismo della venerata (da Pannella) cultura britannica che non si entusiasma mai per niente, per cui accetta anche i piccoli sforzi del genere umano per adattarsi nella vita”.

Ho poi replicato alla richiesta di valutare alcuni elementi di attenuazione oggettiva delle critiche.

Riconosco, nel tempo di un filmato ibrido, l’impossibilità di contenere la marea dei fatti e il rischio di spegnere la presa narrativa con una sequela di “posizionamenti” politici sulla sfilza di fatti di una lunga e appunto intensa vita. Ma resta l’idea che le tre piste del filmato – la fiction, la teca storica, le interviste oggi – sono un’articolazione che avrebbe avuto bisogno di una pezzatura lunga, anche molto lunga. Persino il format di due o tre puntate. Così producono conflitti”. 

E qui l’ultima interlocuzione ha cercato di sondare se l’opportunità sia stata colta o persa con il risultato raggiunto. La domanda richiamava in me la mia stessa formazione professionale come dirigente della Rai a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. E ciò ha motivato l’ultima riflessione:

“Ecco, in verità, secondo me il problema sta soprattutto nella Rai, per come è cambiata.  Come se non si sia trovato un funzionario di livello in grado di gestire l’idea di una “cosa” su Pannella tenendo in equilibrio tutte le opportunità ma anche tutti i rischi. Nella Rai in cui ho lavorato ce ne erano parecchi in grado di farlo. Ora tendono a comprare, nel senso di affidarsi al produttore. Il quale avrà tutte le sensibilità che vogliamo, ma per sua natura chi produce deve più tenere in equilibrio i costi che i contenuti in rapporto a variabili così complesse”.

Prima di imbarcarmi ho avuto il laconico messaggio di poco più di 400 mila spettatori, pari al 2,2 per cento dello share. Con l’aggiunta che la soglia minima di accettabilità avrebbe dovuto essere almeno il doppio. A questo non ho più risposto perché Air France ha chiuso gli sportelli e la disattivazione dei devices è avvenuta di conseguenza.  

Poi ho letto la recensione di Antonio Dipollina su Repubblica[1]. Attraversa alcune delle osservazioni critiche, ma valuta positivamente la rottura di un silenzio interpretativo offrendo anche ai giovani spunti per ragionare meglio sul passato prossimo. E ancora il commento di Pietro Ignazi su Domani[2]. Pacato nel giudizio su un contributo utile alla riapertura di analisi e ruolo storico, non senza critica per un certo “riduzionismo”, in particolare offrendo in poche parole gli argomenti della diversità di Pannella nel quadro di “un’altra sinistra”, di estrazione liberale e borghese, aperta però ai diseredati, diversa dalla “palingenesi rivoluzionaria del ’68” e al fondo fastidiosa per quasi tutto l’establishment politico italiano


[1] Antonio Dipollina, “Romanzo Radicale, il balsamo di una storia di lotte e di diritti”, La Repubblica,12 novembre 2022.

[2] Piero Ignazi, “Pannella era un Robespierre Disarmato che ha travolto la politica italiana”, Domani, 13 novembre 2022.