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Democrazia Futura. Riflessioni sullo scrivere in italiano di ICT

di Angelo Luvison, Ingegnere elettronico e delle telecomunicazioni |

Comunicare in italiano su informatica, telecomunicazioni, tecnologie digitali in modo chiaro, accurato, preciso e lessicalmente corretto. Questo l'obiettivo delle "Riflessioni sullo scrivere in italiano di ICT" di Angelo Luvison, ingegnere elettronico e delle telecomunicazioni, che - analizzando il lessico degli ingegneri italiani - denuncia - per i lettori di Democrazia futura, "l'uso improprio della lingua inglese".

L’importanza di comunicare in italiano sulle tecnologie digitali

Angelo Luvison

Comunicare in italiano su informatica, telecomunicazioni, tecnologie digitali in modo chiaro, accurato, preciso e lessicalmente corretto può sembrare un obiettivo banale o futile, se non stravagante. Non è affatto così. Infatti, i tecnicismi settoriali aumentano di giorno in giorno e manca il tempo per assimilarne i dirompenti anglicismi.

La rivista AEIT pubblica per lo più articoli di rassegna e tutorial nelle sue aree tematiche, fra le quali ICT (Information and Communications Technology) [1], cioè l’ecosistema digitale della società dell’informazione, o infosfera (secondo Alvin Toffler, Luciano Floridi e altri), scenario caratterizzato da parole-chiave come: intelligenza, connettività e facilità di accesso (all’informazione).

Se poi riprendiamo la frase del fisico Hans Bethe all’inizio di questo paragrafo [«L’educazione scientifica è necessaria per produrre scienziati, ma lo è altrettanto per educare il pubblico»[2]] diventa chiaro che l’educazione scientifica è basilare nel formare cittadini consapevoli, realizzando un consenso pubblico informato.

La finalità della divulgazione è dunque educativa e culturale tanto di formazione quanto di informazione. Il ruolo dello studioso non può limitarsi al chiuso del laboratorio o della torre d’avorio, a meno che non si viglia ricorrere a gazzettieri di preparazione e competenze professionali alquanto dubbie. O, ancor peggio, a gruppi di interesse rumorosi e a minoranze strepitanti, come nel caso dei vaccini.

Un secondo aspetto rilevante è che le aziende high tech richiedono oggi professionalità altamente qualificate portatrici di conoscenze sviluppate sia in profondità sia in ampiezza, non solo legate a competenze ed esperienze settoriali. E dunque, una preparazione aperta e flessibile deve essere tanto profonda in verticale (in senso specialistico) quanto estesa in orizzontale (in senso relazionale), cioè “a forma di T”.

L’articolo, con il conforto di molti riferimenti bibliografici, affronta i principali nodi critici con suggerimenti e proposte, come la cura da dedicare al processo di scrittura, edizione e revisione del testo, cioè a elementi stilistici e formali non meno importanti delle questioni di contenuto e sostanza.

Il lessico dell’ICT

Il secondo problema – ancora stilistico e formale, più che di sostanza (anche se “Le style c’est l’homme même”, ovvero “Lo stile è l’uomo”, declamava Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon) – è che dallo scrivere in inglese nella varietà nordamericana sono passato a redigere testi nella nostra lingua.

La difficoltà risiede nel fatto che si tratta di un nuovo italiano, un tecno-italiano ibridato con l’inglese. Cercherò di spiegarmi, più avanti, con esempi, senza prendere posizione rispetto a chi deplora l’insegnamento esclusivamente in inglese nelle università statali (si veda, solo per dire, la levata di scudi dell’emerito linguista Francesco Sabatini in una trasmissione televisiva, o a chi, come il compianto Tullio De Mauro, constata l’(ir)resistibile ascesa degli anglicismi/anglismi. La prima questione è di anni recenti, mentre la seconda – l’accettazione acritica dell’invadenza degli anglicismi – è una vexata quaestio che nei mass media si ripresenta come i fiumi carsici: scorrendo lungamente sotto il suolo prima di tornare in superficie. Faccio notare, di passaggio, che i forestierismi – non solo gli anglicismi – sono per lo più da noi pronunciati male, all’italiana, soprattutto da personaggi mediatici d’ogni sorta: conduttori, opinionisti, intrattenitori, giornalisti. Si pensi a: award, bipartisan, Blueberry, career, [segue lungo elenco], eccetera. Per non parlare del francese stage, del tedesco Jakob, dello svedese Nobel, e di una marea di altri termini, fra cui robot (termine di origine ceca, non francese). […] E veniamo agli esempi promessi.

Primo esempio

Il quaderno di settembre 2017 de Il Sole 24 Ore su Big Data Analytics si rivolge alle aziende perché colgano le opportunità insite in questo settore per sviluppare il proprio business, organizzandosi in modo coerente. Già all’indice balzano all’occhio termini che vanno da Data Scientist a Journey, da trend a Business Intelligence, da startup a Data Governance, da Smart Technologies a delivery. I contenuti del fascicolo – curato da professori e ricercatori del Politecnico di Milano – sono davvero eccellenti e rappresentano un must per ogni azienda innovativa che voglia cogliere il valore nascosto nei dati, a vantaggio di prodotti, processi, servizi, logistica, organizzazione interna, integrazione (piattaforme condivise) con i decisori (gli stakeholder), eccetera. I molteplici benefici possono riguardare il change management, l’innovazione, la produttività, e non solo la riduzione dei costi.

Secondo esempio

In un mio saggio su “L’ecosistema dell’innovazione digitale: analisi critica[3] scrivo: “I principali […], l’automazione industriale, i servizi di info-trattenimento (infotainment)”.

I due esempi precedenti, ricchi di recenti coniazioni linguistiche, acronimi, calchi dall’inglese, eccetera, sono emblematici di ciò che ho definito tecnico-italiano. Ma se ne può fare a meno? Come riferirò più avanti, sulla questione ho cercato di coinvolgere, via email, alcuni accademici della Crusca, sia pur con successo parziale.

Terzo esempio

Per introdurre la spinosa questione dei termini equivalenti in italiano, ricorro al caso della moneta virtuale Bitcoin con la sua tecnologia abilitante, la Blockchain – in pratica un database distribuito. […] Qui però mi riferisco alla terminologia affatto esoterica che può risultare sfidante per chiunque si cimenti nella questione della sua traduzione: è sufficiente scorrere il riquadro “Blochchain Lingo” contenente locuzioni che vanno da ethereum a hash function, da permissioned ledger a proof of stake, e così via.

Occorre dunque ribadire la difficoltà della resa in italiano di un linguaggio specialistico in modo uniforme e corretto.

Per esempio, ho letto recentemente un graphic novel (una volta era chiamato fumetto o comics) sulla vita di Alan Turing e sul suo ruolo nella decrittazione di Enigma – argomento che un po’ conosco e su cui ho scritto per AEIT. Purtroppo, da questa lettura ho tratto assai poco beneficio a causa, io credo, anche della resa in italiano, quantomeno bizzarra, dei termini tecnici specifici di crittografia e crittanalisi; […]

Risorse e strumenti [per una corretta traduzione e composizione di un testo in lingua italiana]

Poiché non mancano risorse e strumenti di base e di riferimento, sia online sia cartacei, di seguito ne riporto alcuni, a mio avviso, fra i più utili e validi:

  • a. La completa e dettagliata “garzantina” sull’Italiano di Luca Serianni[4] […]
  • b. La collana in 14 volumetti L’italiano. Conoscere una lingua formidabile dell’Accademia della Crusca[5] […]
  • c. Il semestrale La Crusca per voi con la rubrica di “Quesiti e risposte”, nonché il prezioso Servizio di consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca online […]
  • d. Il fondamentale DOP – Dizionario italiano multimediale e multilingue d’ortografia e di pronunzia della RAI-ERI […][6]
  • e. Il ricchissimo portale Treccani.it per […]
  • f. Le 300 parole da dire in italiano di Annamaria Testa[7] […]

Questi riferimenti, adottando un taglio descrittivo, o positivo, raramente normativo, sono suggestivi di modelli virtuosi per la comunicazione, non solo scritta. […]

Se rispettare la grammatica non è sempre facile, ancora più difficile è seguire le 40 regole dello scrivere bene, dedicandovi la cura necessaria. Umberto Eco le ha esposte con una delle sue armi migliori: il paradosso per cui ogni regola contiene l’errore da evitare.

Ecco le prime dodici raccomandazioni[8].

  1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
  2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario
  3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata
  4. Esprimiti siccome ti nutri
  5. Non usare sigle commerciali&abbreviazioni
  6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando appare indispensabile) interrompe il filo del discorso
  7. Stai attento a non fare … indigestione di puntini di sospensione
  8. Ua meno virgolette possibili: non è “fine”
  9. Non generalizzare mai
  10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
  11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente [Ralph Waldo] Emerson: Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu”
  12. I paragoni sono come le frasi fatte.

Personalmente, per molte di queste indicazioni – in particolare per l’undicesima- no sono un buon seguace del grande Eco, come è anche qui del tutto evidente.

[…]

Ai vertici della divulgazione scientifica, in un arco temporale di quasi quattro secoli, stanno tuttora Galileo Galilei e Primo Levi. Tant’è che Galileo si sarebbe forse risparmiato parecchi guai con il clero cattolico, se avesse scritto il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) con minor chiarezza logica, didattica ed espositiva.

Per queste qualità, Galileo è considerato uno dei fondatori della prosa scientifica in italiano. Il sistema periodico di Levi[9] è articolato in 21 racconti, ognuno dei quali porta il nome di un elemento della tavola periodica. Questo mémoire di vita sotto la metafora di chimica è universalmente considerato uno dei più bei libri di scienza mai scritti.

Le conversazioni radiofoniche di Giuseppe Pontiggia[10] e il già citato DOP dimostrano quanto la RAI, un tempo, prestasse attenzione all’esattezza e alla chiarezza del linguaggio.

Lo testimoniano anche le Norme per la redazione di un testo radiofonico dell’ingegnere – non a caso – Carlo Emilio Gadda, sulle regole da seguire nella stesura di testi radiofonici e nel parlato in radio[11].

Conclusioni (con un suggerimento)

Dalla fine del 2016 ho cominciato a interpellare alcuni autorevoli linguisti e accademici della Crusca con un’email di questo tenore: “Un settore che sforna di continuo neologismi e anglicismi nordamericani è quello dell’informatica, delle telecomunicazioni e dell’intelligenza artificiale (ICT). […] Le chiedo: esistono a sua conoscenza, pubblicazioni, siti web, blog, volti a facilitare il lavoro di comunicazione/divulgazione sull’innovazione ICT e sulle tecnologie digitali nella nostra lingua? Non sarebbe anche utile promuovere studi ad hoc o tesi di laurea che se ne occupino in modo specifico? Eventuali suggerimenti – se non vere e proprie linee guida – sarebbero molto graditi da quei ricercatori e studiosi che si sforzano ancora di scrivere in un italiano decoroso e comprensibile

[…].

Ho dovuto però rendermi conto della scarsa attenzione che i linguisti italiani, in generale, prestano al problema; per esempio, da un riscontro ricevuto è emerso che molti di essi “preferiscono non cimentarsi” nella resa in italiano del lessico proprio dell’ICT, giudicandolo un “campo minato” e ritenendo la partita “persa in partenza”. Un’esperta di scrittura in Rete e blogger mi ha poi risposto: “Il tema della traduzione in italiano dei termini informatici è spinosissimo per diversi motivi:

1) gli addetti ai lavori sono poco propensi ad accettare traduzioni. Perfino su hard disk = disco rigido riescono a imbastire distinzioni senza fine;

2) di norma, chi si occupa di linguaggio sa poco o niente di informatica, e fa a sua volta fatica a proporre plausibili equivalenti italiani”.

Resta però il fatto che anche linguisti e accademici dovrebbero contribuire attivamente all’evoluzione della lingua italiana – nelle sue risorse culturali e nei suoi strumenti operativi – per trattare concetti e contenuti (non solo il lessico) affatto nuovo, che scienza e tecnologia propongono giorno dopo giorno. Rinunciarvi sarebbe quasi come ammettere che la nostra lingua non possiede risorse culturali adeguate a trattare qualsiasi contenuto tecnico-scientifico proprio di un Paese che guarda al futuro.

Onesta ma significativa è l’ammissione del Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini:

“La lingua della scienza [e della tecnica] è stata ingiustamente trascurata dalla nostra tradizione culturale segnata dagli eccessi dell’idealismo. […] Perché una lingua nazionale che non parli anche di scienza [tecnoscienza] regredisce rapidamente in una lingua di àrcadi, o in un dialetto, cioè segna la propria fine”[12].

 […]

Senza l’utopistica velleità di arginarne l’invasione, basterebbe rendersi conto che molti anglicismi recepiti crudi (cioè acriticamente) denotano la scarsa fantasia, se non pigrizia mentale, di chi li usa. […] In ogni caso, francesi, spagnoli e tedeschi adottano posizioni meno acquiescenti delle nostre o, assai più spesso di noi, riportano al tempo stesso il traducente e l’anglicismo.

Qualche decennio fa, quando partecipavo agli organismi di normativa internazionali di telecomunicazioni, e dovevo riferire con note o rapporti in italiano, usualmente cercavo di documentarmi sui termini tecnici francesi e spagnoli adottati in pubblicazioni consimili per sfruttare le affinità lessicali tra le lingue neolatine (romanze), sia pure prestando molta attenzione alle insidie dei “falsi amici”. Anche oggi, l’analisi della resa in francese e spagnolo degli anglicismi nel settore ICT potrebbe rappresentare un valido approccio, previa consultazione sia delle pubblicazioni tecnico-scientifiche sia dei media generalisti (direttamente o con Google).


[1] Angelo Luvison,Riflessioni sullo scrivere in italiano di ICT”, AEIT, n. 7-8 luglio-agosto 2018, pp. 38-47.

[2]  Hans Bethe, Popular Mechanics, settembre 1961.

[3] Angelo Luvison, “L’ecosistema dell’innovazione digitale: analisi critica”, AEIT, (3-4) marzo aprile 2017, pp. 6-27.

[4] Luca Serianni, Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi e Glossario e dubbi linguistici a cura di Giuseppe Patota), Milano, Garzanti, 1997, 618 p.

[5] L’italiano. Conoscere una lingua formidabile, Roma, Editoriale GEDI, 2017, 14 volumi. La collana era già uscita con il quotidiano La Repubblica fra fine 2016 e inizio 2017.

[6] Rai, Dizionario italiano multimediale e multilingue d’ortografia e di pronunzia, Roma, Rai ERI, 2010, CXXXIII-1253 p. (due volumi) Si veda la seconda edizione multimediale uscita nel 2022. Cf. https://www.dizionario.rai.it/

[7] Annamaria Testa, “300 parole da dire in italiano: la lista definitiva”, nuovoeutile.it. Cf. https://nuovoeutile.it/300-parole-da-dire-in-italiano/

[8] “40 regole sullo scrivere bene” in Umberto Eco, “La Bustina di Minerva”, Milano, Bompiani, 1999, pp. 163-164. Cf. https://www.ditals.com/regole-per-scrivere-bene-in-italiano/.

[9] Primo Levi, Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 1975, 261 p.

[10] Giuseppe Pontiggia, Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere (con CD audio), Milano, Belleville Editore, 2016, 320 p.  Oggi possono essere riascoltate in  https://www.raiplaysound.it/playlist/dentrolaseraconversazionisulloscrivere

[11] Disponibile oggi nell’edizione critica a cura di Mariarosa Bricchi: Carlo Emilio Gadda, Norme per la redazione di un testo radiofonico, Milano, Adelphi, 2018, 56 p.

[12] Claudio Marazzini, L’italiano è meraviglioso. Come e perché dobbiamo salvare la nostra lingua, Milano, Rizzoli, 2018, 252 p.