Storie di partito

Democrazia Futura. Nel nuovo Pd i cacicchi sono esecrati, ma vincono ancora

di Salvatore Sechi, già professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Ferrara |

Il passato che non passa. Chi controlla l’Assemblea nazionale, ossia il parlamentino del Partito Democratico: Schlein o Bonaccini? Il ruolo di capicorrente, cacicchi, gender e sultani nell'elezione della direzione.

Salvatore Sechi

Salvatore Sechi, dopo aver analizza il significato dell’alleanza tra la neo segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il suo sfidante Stefano Bonaccini che l’Assemblea nazionale del partito ha eletto domenica 12 marzo nuovo Presidente del Partito, in un secondo articolo per Democrazia futura “Nel nuovo Pd i cacicchi sono esecrati, ma vincono ancora. Il passato-che-non-passa”, torna sulla composizione dei nuovi organi dirigenti del PD: da un lato un parlamentino, l’Assemblea nazionale, in cui non è affatto scontato che Elly Schlein disponga della maggioranza, dall’altro – seguendo la tradizione del Comitato Centrale nel vecchio PCI, una Direzione “decapitata di ogni reale potere di intervento”  per la cui elezione – osserva lo storico sardo – “si è fatto ricorso al peggio della storia del partito, cioè ai capicorrente, ai cacicchi e al nuovo albero da sfrondare, il gender, cioè le donne”. Quanto al nuovo gruppo dirigente Sechi si interroga sulle sue competenze, professionalità e sull’autorevolezza delle persone prescelte dalla nuova segretaria “che, come si diceva una volta, deve ancora farsi. Il passaggio dall’utopia al programma concreto – conclude Sechi – non è un balletto per diciottenni”.

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Eletta in maniera plebiscitaria, senza un voto segreto (anzi con un applauso  a scroscio)  alla testa di un partito che non ha fatto in tempo a conoscere, Elly Schlein ha concordato con Stefano Bonaccini quel che si temeva, cioè la persistenza di un passato-che-non-passa.

In altre parole, progetti di cambiamenti epocali e innovazioni planetarie come quelle facilmente pre-annunciate, si basano sul corpo vecchio e stramazzante del Pd.

La composizione dell’Assemblea nazionale (600 delegati elettivi + 20 persone) e della Direzione (quasi 150 persone) è quella classica dei corpi collegiali. Si sa da sempre che si riuniranno poche volte e non dirigeranno niente. Non importa che siano rubricati come gli organi-chiave del Pd.

Per fare un esempio, il “parlamentino” (cioè l’Assemblea nazionale) per il tramite della maggioranza assoluta dei suoi membri potrebbe provocare grossi inconvenienti alla segretaria, cioè toglierle la fiducia.

Chi controlla l’Assemblea nazionale, ossia il parlamentino del Partito: Schlein o Bonaccini?

Attualmente la sua composizione  include: i segretari fondatori del partito, i segretari ad esso iscritti, gli ex premier iscritti, i segretari provinciali e regionali delle città metropolitane e delle federazioni  all’estero, il segretario  dei Giovani democratici,  la portavoce  della conferenza nazionale delle donne, le indicazioni (ad opera dei rispettivi gruppi) di 100 tra deputati, senatori ed euro-parlamentari, i sindaci delle città metro politane, dei Comuni capoluogo di provincia e di regione, e i presidenti delle Regioni in carica.

Chi può dire che Elly Schlein vi abbia la maggioranza? E se invece l’avesse, come sembra certo nei gruppi parlamentari, Stefano Bonaccini, che apparentemente si è rassegnato al ruolo forma e di perdente?

La stessa domanda si può avanzare per la Direzione appena eletta e, appunto, per i capigruppo alla Camera e al Senato.

In tutti i casi a dominare è l’ostilità al voto protetto, cioè segreto, e ai verbali.

Fortunatamente per la neoeletta si tratta di organi, l’Assemblea nazionale e la Direzione, complessivamente ininfluenti. In primo luogo per i grandi numeri che li formano. Sono contenitori troppo numerosi. In questi casi il principio della partecipazione ampia ai processi decisionali si scontra con la necessità che in molti casi le misure da assumere siano rapide, per un’emergenza e simili. A farla da protagonista è la segreteria, che ha il numero più basso di membri, cioè appena due (entrambe donne).

Quando si dilata la composizione degli organi dirigenti il segnale è preciso, cioè a funzionare è la doppiezza.

La nuova Direzione e Il precedente rappresentato dal Comitato centrale del PCI

L’esempio più nobile è quello del Comitato centrale del Pci. Le sue riunioni servivano a capire come i corpi intermedi e inferiori del partito avevano reagito di fronte alle scelte politiche della leadership tra una riunione e l’altra di tale organo

Era, dunque, una sorta di controllo collegiale sul come e sul quanto l’orientamento stabilito dal vertice era condivisa dalla base del partito. Ma non ha mai stabilito la linea politica.

Questa competenza istituzionale nel Pci era della Direzione. Per questa ragione era formata da un nucleo, e non da una fiumana, di compagni, la cui opinione, a differenza di quella dei membri del Comitato Centrale, contava, eccome se contava

Quando la composizione della Direzione si allargò, tale esito fu dovuto all’ampliamento dei componenti la segreteria del partito.

Capicorrente, cacicchi, gender e sultani

Nel caso del Pd, per eleggere un organo come la Direzione, decapitata di ogni reale potere di intervento, si è fatto ricorso al peggio della storia del partito, cioè ai capicorrente, ai cacicchi e al nuovo albero da sfrondare, il gender, cioè le donne.

Lo sfogo esecratorio di Elly Schlein contro questa fauna prendi-tutto fa parte della grande teatralità data all’auspicata rinascita del Pd. Ma non si può spacciarla per una novità iconoclasta.

I predecessori diElly Schlein (da Matteo Renzi aNicola Zingaretti, sino al segretario uscenteEnrico Letta) non hanno mancato di sbracciarsi contro il “caciccato” e il notabilato dominanti nelle file del partito.

Oggi non è cambiato nulla, a parte la farsa di scongiurarne la presenza. A parole.

I giornali, a cominciare dal Corriere della Sera, hanno riportato i nomi dei membri della Direzione che appartengono alle vecchie correnti e sono stati suggeriti (o imposti) alla segreteria e al presidente da Dario Franceschini ad Andrea Orlando, dallo stesso Enrico Letta a Lorenzo Guerini, da Matteo Orfini ai governatori Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, eccetera.

Tutti costoro fanno parte di diritto di questa struttura istituzionale.

Nessuno del nuovo summit del partito ha sprecato una riga per smentire che quanto riferito sulla rinnovata prassi spartitoria – da Daniela Preziosi sul Domani (il cui proprietario, Carlo De Benedetti, ebbe a suo tempo la tessera numero uno del partito nato dalla fine del Pci), a Wanda Marra su IlFatto Quotidiano, da Maria Teresa Meli a Fabrizio Roncone sul quotidiano milanese di Via Solferino. 

Con molta onestà Stefano Bonaccini ha confessato alla nuova segretaria che non intendeva essere un capo-corrente, ma di smobilitare il grande gruppone che gli ha dato il 46,2 per cento dei 1. 098.623 votanti alle primarie del 26 febbraio non ci pensava proprio.

D’altra parte Elly Schlein non avrebbe vinto senza il consenso di sultani come Dario Franceschini, Andrea Orlando, Piero Fassino, Nicola Zingaretti e Pier Luigi Bersani (influente anche se accasato presso Articolo 1) e di altri.

Il nuovo gruppo dirigente. Quali competenze, professionalità, autorevolezza?

Si potrebbe anche aggiungere che i membri da lei scelti per la formazione del gruppo dirigente, a parte l’ex segretaria della Cgil Susanna Camusso e un parlamentare di grande qualità come Francesco Boccia, pongono qualche problema quanto a competenza, professionalità, autorevolezza. E’ il caso di Laura Boldrini, Pina Picierno, le stesse vicepresidenti pitbull Loredana Capone e Chiara Gribaudo. Sulle tematiche messe al centro del programma (scuola pubblica, lavoro, salari, ambiente, diritti civili eccetera) quante possono dire di disporre di conoscenze specialistiche?

Il Pd in quindici anni ha cambiato undici segretari.

Ora si appresta ad un percorso in testa al quale c’è un presidente come Stefano Bonaccini che controlla l’organizzazione e l’élite amministrativa del partito, e una segretaria che, come si diceva una volta, deve ancora farsi. Il passaggio dall’utopia al programma concreto non è un balletto per diciottenni.

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