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Democrazia Futura. Il manager Professore e il futuro del mainstream

di Mihaela Gavrila, professoressa di Entertainment and Television Studies, Sapienza Università di Roma |

Mihaela Gavrila ricorda la figura di Francesco De Domenico docente di sociologia della comunicazione e manager Rai, noto per aver ripreso in Italia il concetto di mainstream.

Francesco De Domenico

Il 18 gennaio 2023, si è spento Francesco De Domenico, storico manager della RAI, chiamato da tutti, anche all’interno dell’azienda, “il Professore”. Questo appellativo non è casuale: primo titolare della cattedra di Sociologia della Comunicazione alla Sapienza, nel corso di laurea in Sociologia degli anni Settanta e Ottanta, Francesco De Domenico è stato tra gli ispiratori della futura Facoltà di Scienze della Comunicazione.

Quindici anni dedicati all’insegnamento, tra il 1972 e il 1986, a cui segue una lunga e importante carriera in RAI, dove ha contributo alla crescita culturale del Paese e dell’azienda ricoprendo molti ruoli strategici, come Direttore del Personale (1990-1993), della Pianificazione Strategica (1995-1996), delle Strategie Tecnologiche (1998-2000), Amministratore Delegato di RAISat (2000-2004), Responsabile produzione Radio (2004-2007), Presidente di Rai Way (2007-2011).

Mihaela Gavrila

Nei primi 2000 e fino al 2012, in qualità di docente a contratto, trasmette agli studenti della Sapienza la sua visione della Comunicazione acquisita in una straordinaria esperienza nel Servizio Pubblico, dove resta per tutti il “professore” per il suo ostinato impegno a stabilire la commistione tra accademia e professione.

In prima linea a sostenere la Sapienza nell’allora difficile impresa di mettere in piedi una radio universitaria, nel 2005, neo direttore produzione Radio Rai, contribuì a stringere la convenzione tra RadioRai e l’Ateneo e alla creazione di Radio Sapienza e del Master di Secondo Livello in Linguaggi, Produzione e Marketing della Radio.

Curioso e studioso poliglotta, Francesco De Domenico ha regalato agli studi sociologici una delle prime traduzioni di Thorstein Veblen in italiano (1969, con la prefazione di Franco Ferrarotti), ha analizzato il rapporto tra media e pubblici attraverso un meraviglioso capitolo in libro, dal titolo emblematico “I mercanti fuori dal tempio” (1986), ha curato, con Mihaela Gavrila e Augusto Preta, il volume “Quella deficiente della Tv. Mainstream Tv e multichannel” (2002), con il contributo di molti docenti Sapienza (Mario Morcellini, Isabella Pezzini, Mihaela Gavrila, Stefania Di Mario, Barbara Mazza, Silvia Leonzi) e analisti e professionisti del settore (Augusto Preta, Francesco Siliato, David Bogi, Antonio Amendola, Marco Mele, Alberto Morello, Franco Morganti). 

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Una delle battaglie più convinte portate avanti dal Professore negli ultimi 25 anni, con l’ingresso, seppur timido inizialmente, della tv multichannel, che metteva in discussione il vecchio modello distributivo, aveva al centro la parola chiave “mainstream”. Intorno a questo concetto Francesco De Domenico ha imperniato molte delle sue idee sulla televisione in Italia, sulle funzioni del Servizio Pubblico e sul ruolo dell’audiovisivo per trovare costruire una via della conciliazione tra l’individualismo della rete e la vocazione di coesione sociale dell’audiovisivo nazionale.

Proprio ai media mainstream ha dedicato De Domenico varie riflessioni, sia scritte, sia condivise in sedi di dibattito pubblico, concentrandosi non solo sulla nobilitazione delle mission dei media tradizionali, ma anche sul loro stesso accreditamento nel dibattito pubblico colto.

Attraverso l’inserimento nel dibattito italiano del concetto di “mainstream”, avvenuto in particolare con il saggio introduttivo del volume “Quella deficiente della Tv. Mainstream Tv e multichannel”, De Domenico ha puntato con decisione a una ricucitura simbolica tra la televisione in quanto mezzo di comunicazione rivolto ad ampie platee di fruitori, a lungo scarsamente popolare tra gli intellettuali, che di fronte al pericolo della “mutazione individualista[1]b avrebbero dovuto prendere coscienza dell’importanza della forza aggregatrice e di coesione sociale intrinseca alla mainstream tv e al Servizio Pubblico in particolare. Nella coltivazione del mainstream De Domenico vede il futuro dei vecchi media:

“Partendo dal significato letterale dell’espressione mainstream, cioè il flusso principale, il filone portante della corrente, il termine esprime e rappresenta l’idem sentire attuale della società, o meglio della maggioranza della società contemporanea […] I mainstream media sono la televisione, la radio, il web, i grandi giornali: e quando dico grandi giornali intendo quelli diffusi in milioni di copie, quelli che contribuiscono a formare la mainstream opinion, la vecchia “opinione pubblica”, e non si rivolgono solo ai “Millecinquecento lettori” del ben noto saggio di Enzo Forcella[2].

Tale nozione, lo sottolineano già dagli Anni Settanta George Gerbner[3] e i suoi allievi[4] nel contesto statunitense, serve soprattutto per meglio esprimere la forza travolgente del mezzo televisivo, è quella che più definisce in un’accezione positiva la funzione sociale dei mezzi di comunicazione. Nel termine mainstream è incorporato un evidente significato di dinamismo, di cambiamento, non una statica contrapposizione tra l’élite e le masse, tra la platea aristocratica e la galleria plebea, tra i pochi intellettuali colti e la massa rozza e ignorante. Insomma, secondo De Domenico[5] nella cultura anglo-americana il mainstream è il contrario di backwaters, cioè le zone del fiume lasciate indietro dalla corrente, dove non c’è il ricambio dell’acqua, dove la vita ristagna. In effetti, le metafore dell’acqua sono onnipresenti nella letteratura sulla coltivazione. “Flusso principale”, “correnti” e altri termini relativi all’acqua sono stati scelti per evocare l’influenza onnipresente e cumulativa attribuita dagli studiosi della coltivazione ai messaggi culturali. La stessa televisione è rappresentata come una specie di fiume culturale, in cui tutti, in una certa misura, sono trascinati e la coltivazione come

“una metafora agro-acquatica della funzione della televisione nella costruzione e nel mantenimento del significato culturale e per il modo in cui la cultura funziona in generale. All’interno di questa metafora, la produzione di messaggi assume quindi un significato speciale, poiché i modelli sociali che ne derivano implicano potere culturale e politico – vale a dire, il diritto di creare i messaggi che coltivano la coscienza collettiva. Ma questo è un processo in due parti: il diritto di produrre messaggi deriva dal potere sociale, mentre il potere sociale si accumula attraverso il diritto di produrre messaggi”[6].

E la vita ristagna, rimane nelle backwaters, laddove c’è l’incomprensione, il rifiuto ad aprirsi, nei media e nella società più in generale.

Ma la mainstream tv, oppure “quella deficiente della tv”, come con mirabile e robusta sintesi l’ha definita nel 2002 Franca Ciampi, moglie del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, per De Domenico si rivela quel mezzo che deve sforzarsi di mantenere al centro della corrente i gusti, le attese, i bisogni della società di oggi, a partire da quelli di informazione e di intrattenimento; il mainstream, appunto[7].

Oggi, alla vigilia della settantatreesima edizione del Festival di Sanremo, non può sfuggire che sia stato proprio l’evento più popolare della televisione italiana a offrire terreno fertile di argomentazione della forza del mainstream:

“un tipico caso di mainstream ci è offerto Dal Festival di Sanremo del 2011, e in questo ambito dalla performance di Roberto Benigni, che ha messo in scena da par suo un’esegesi dell’inno Fratelli d’Italia di Mameli. Perché mainstream? Perché Benigni ha anche innovato, ha cambiato il corso della corrente, come già aveva fatto con le sue Lecturae Dantis e con il suo film La Vita è Bella vincitore dell’Oscar, restando al centro della corrente […].  Benigni ha imposto al grande pubblico del Festival (19 milioni di spettatori nella punta massima) una sua interpretazione dell’inno basata su una intuizione semplice ma geniale: il punto debole dell’inno di Mameli (che purtroppo non ha dietro HaydnHändel, come lui stesso ha ricordato) non sono tanto le parole, quanto la musica. Se sfrondiamo le parole dall’accompagnamento musicale, se ne può fare un messaggio suggestivo, in grado di mobilitare per davvero le emozioni di tanti, se non di tutti, proprio come l’Inferno di Dante […].

Un grande personaggio, un grande divo dello spettacolo, ma al tempo stesso un protagonista di primo piano della cultura italiana, ha esercitato la sua influenza per riorientare il corso della corrente: un po’ come ha fatto Roberto Saviano sdoganando i lunghi monologhi in televisione e rinfrescando, dando nuova vita a temi apparentemente supersfruttati come la camorra e il problema dei rifiuti in Campania.”[8].

Risiede in questa riflessione la rilevanza del mainstream televisivo per illuminare problemi sociali, culture, dissequestrare saperi esperti e renderli di libera circolazione ed accesso attraverso i linguaggi di una televisione di servizio pubblico in grado ancora di convocare – e con Sanremo continua a succedere – e di trainare i suoi pubblici, anche quelli più deboli, verso il cambiamento.

Non è un caso che proprio riflettendo su queste dinamiche, e facendo riferimento a un contributo dal titolo «I mercanti fuori dal tempio», nel libro uscito nel 1986 a cura di Mario Morcellini Lo spettacolo del consumo[9], De Domenico, in un momento di leggera autocritica (evento non così consueto), ricorda le critiche al pedagogismo della prima fase storica della Televisione e le nuove e pudiche riformulazioni avviate sul finire degli anni Ottanta, che hanno accreditato espressioni come “eccesso di pedagogismo”, “dosaggio dirigistico dei generi“ eccetera. Ma la verità è, riconosce a distanza di anni, che queste critiche, apparentemente moderne e aperte alle conseguenze di un’economia di mercato del prodotto televisivo, hanno finito per diventare un alibi sufficiente a destrutturare la capacità della comunicazione televisiva di sentirsi autorevole e influente. Alla lunga, si è trasformato in un radicale cambiamento della sua carta di identità.

Un tipico esempio di pendolarismo delle visioni culturali, incapace di capire il centro dei fenomeni sociali, anche perché è ormai chiaro che gli eccessi di mercantilismo e di marketing dell’offerta non sono stati meno letali del pedagogismo[10]. A parità di condizioni, comincia ad esser chiara una tendenza storica: la comunicazione televisiva perde terreno ogni volta che insegue la società invece di trainarla in avanti.

Ed eccoci nuovamente a riflettere con Francesco De Domenico, sul significato che assume oggi il concetto di mainstream: non è l’opposto della tv multipiattaforma, ma è un termine quanto mai necessario (seppur insufficiente) per bilanciare la compulsività dei social network, per mantenere nell’universo dell’audiovisivo (il linguaggio più gradito anche ai fruitori di Internet) uno spazio di qualità per garantire la ricomposizione sociale, i valori, le passioni, la vivacità delle opinioni e della dialettica costruttiva.

Pertanto, l’universo della mainstream television (o dell’audiovisivo come mainstream) diventa ancor più interessante in tempi in cui si parla della morte della televisione: il mainstream si dispiega nelle piattaforme e diventa tale quando crea o determina l’opinione, non più solo nei confini di una nazione, ma estesa anche a livello delle comunità d’interesse transnazionali.

Tuttavia, per diventare tale, ricordiamo con Francesco,

“Caratteristica fondamentale della mainstream television è quella di essere un prodotto professionale, non improvvisato né estemporaneo, ma frutto del lavoro industrialmente organizzato di professionisti dello spettacolo, che in genere sanno (o dovrebbero sapere) quello che fanno. Un prodotto vicino al cuore del diffuso bisogno di svago e impiego del tempo libero e al tempo stesso di informazione. Ma soprattutto un prodotto costoso, offerto tuttavia a buon mercato al pubblico, che cioè viene pagato decisamente poco da chi ne fa uso”[11].

Nel mainstream dunque si cercano le risposte nei momenti di difficoltà, come accaduto durante il periodo della pandemia e, a seguire, quando ci siamo trovati immersi profondamente in un conflitto russo-ucraino sdoganato nella vita quotidiana e negli immaginari globali. Crisi economica, sociale, politica evidentemente, ma anche crisi che investe i modelli di socializzazione delle forme simboliche e culturali, e quindi le istituzioni della comunicazione e le industrie mediali.

Ma la crisi deriva dal verbo greco krino, il cui significato è “giudicare, vagliare, scegliere”. E allora la crisi è esattamente il momento della scelta, l’occasione per fare un bilancio su quello che nella transizione digitale ci possiamo permettere di abbandonare al passato e quello che invece sarebbe opportuno che ci impegnassimo a traghettare e, semmai, a valorizzare nel futuro. Distinguere, dunque, come c’insegna De Domenico, tra il mainstream e le backwaters.   

Nella stagione comunicativa dominata dalla retorica delle piattaforme e del declino dei media tradizionali, non possiamo rinunciare a ricercare nell’universo dei media quelli ai quali attribuire un valore strategico di sedimentazione e veicolo del mainstream, della costruzione dell’opinione pubblica (in parte delegata al web e agli algoritmi, che guidano un’opinione pubblica sempre più globalizzata).

Proprio su questo terreno scivoloso e caratterizzato dalla difficoltà di trovare la direzione, riemerge paradossalmente il bisogno di common sense e di mezzi per l’accesso alla conoscenza e ai valori condivisi. È una conseguenza naturale della crisi e del bisogno di bussole per superare la paura dell’ignoto.

Senza profetizzare un ritorno al vecchio ruolo dei media mainstream quali strategiche finestre sul mondo e fonte di certezze, si può comunque, ipotizzare che, in situazioni di difficoltà e di aumento della paura, s’individua nei media e nella buona comunicazione, dal valore terapeutico[12], la via della conciliazione, della ricomposizione dei legami tra le generazioni e della convergenza culturale tra soggettività e pratiche testuali eterogenee[13], la strategia per vincere le paure[14].  Insomma, la posta in gioco nella valorizzazione della comunicazione mainstream multipiattaforma come tessuto connettivo di una società in crisi è, in ultima istanza, una transizione più serena al futuro.

Alla vigilia dell’aggiornamento del Contratto di Servizio tra la RAI e il Governo, queste riflessioni dedicate alla memoria di Francesco De Domenico non possono prescindere da un’esigenza più volte da lui espressa: è fondamentale restituire al Servizio Pubblico multipiattaforma una funzione di guida del mainstream nazionale. Mission non del tutto impossibile, se si lavorasse a colmare un deficit di empatia tra la RAI e la società civile, superando l’autoreferenzialità e l’immobilismo delle stagioni pre-COVID e tentando di agire con coraggio, responsabilità e spirito imprenditoriale per affrontare e porsi come guida per l’innovazione sociale, culturale, tecnologica. Insomma, con lo spirito sollecitato da un naming così impegnativo come quello di “Servizio Pubblico”. 

È questa una delle lezioni che Francesco De Domenico ci ha consegnato.

Grazie Professore.

Riferimenti bibliografici

Francesco De Domenico, «I mercanti fuori dal tempio. Ricerca su media, politica e mercato in Italia», in Mario Morcellini (a cura di), Lo spettacolo del consumo. Televisione e cultura di massa nella legittimazione sociale, Milano, Franco Angeli, 1986, 347 p. [il saggio è alle pp. 164-176].

Francesco De Domenico, «Mainstream tv e multichannel. Un tentativo di no-nonsense approach», in Francesco De Domenico, Mihaela Gavrila, Augusto Preta (a cura di), Quella deficiente della Tv. Mainstream Television e Multichannel, Milano, Franco Angeli, 2002, 283 p. [pp. 25-42].

Francesco De Domenico, «Mainstream. Il futuro dei vecchi media», in Davide Borrelli, Mihaela Gavrila (a cura di), Media che cambiano, parole che restano, Milano, Franco Angeli, 2013, 281 p. [pp. 115-119].

Mihaela Gavrila, Mario Morcellini (a cura di), Vincere la paura. Una nuova comunicazione della sicurezza contro il mediaterrorismo, Milano, Egea, 2022, 356 p.

George Gerbner (1969), «Toward ‘Cultural Indicators’: The analysis of mass mediated message

systems», in Communication Review, XVII (2), aprile- giugno 1969, pp. 137-148.

Giovanni Gozzini, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione 1954-2011, Roma-Bari, Laterza, 2011.

Henry Jenkins, Convergence culture. Where old and new media collide, New York, New York University Press, 2006, XI-353 p. Traduzione italiana: Cultura convergente, Milano – Sant’Arcangelo di Romagna, Apogeo – Maggioli, 2007, XVVIII-367 p.

Carl R. Rogers, On Becoming a Person: A Therapist’s View of Psychotherapy, Boston – New York, Houghton Mifflin, 1961, 420 p. Traduzione italiana: La terapia centrata-sul-cliente. Teoria e ricerca a cura di Augusto Palmonari, Jan Rombauts, Firenze, Martinelli, 1967, 357 p.

James Shanahan, Michael Morgan, «Television and Its Viewers: Cultivation Theory and Research», Cambridge University Press, Cambridge 1999, 284 p.


[1] Giovanni Gozzini, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione 1954-2011, Roma-Bari, Laterza, 2011.

[2]Francesco De Domenico, «Mainstream. Il futuro dei vecchi media», in Davide Borrelli, Mihaela Gavrila (a cura di), Media che cambiano, parole che restano, Milano, Franco Angeli, 2013, 281 p. [il passo citato è a p. 115].

[3]George Gerbner (1969), «Toward ‘Cultural Indicators’: The analysis of mass mediated message systems», in Communication Review, XVII (2), aprile – giugno 1969, pp. 137-148.

[4]James Shanahan e Michael Morgan, Television and Its Viewers. Cultivation Theory and Research, Cambridge, Cambridge University Press, 1999, 284 p.

[5] Francesco De Domenico, «Mainstream. Il futuro dei vecchi media», in Davide Borrelli, Mihaela Gavrila (a cura di), Media che cambiano, parole che restano, op.cit. alla nota 2, pp. 115-116.

[6] James Shanahan e Michael Morgan, Television and Its Viewers …, op. cit. alla nota 4, p. 12

[7]Francesco De Domenico, «Mainstream tv e multichannel. Un tentativo di no-nonsense approach», in Francesco De Domenico, Mihaela Gavrila, Augusto Preta (a cura di), Quella deficiente della Tv. Mainstream Television e Multichannel, Milano, Franco Angeli, 2002, 283 p. [pp. 25-42].

[8] Francesco De Domenico, «Mainstream. Il futuro dei vecchi media», in Davide Borrelli, Mihaela Gavrila (a cura di), Media che cambiano, parole che restano, op.cit. alla nota 2, 117.

[9]Francesco De Domenico, «I mercanti fuori dal tempio. Ricerca su media, politica e mercato in Italia», in Mario Morcellini (a cura di), Lo spettacolo del consumo. Televisione e cultura di massa nella legittimazione sociale, Milano, Franco Angeli, 1986, 347 p. [il saggio è alle pp. 164-176].

[10] Francesco De Domenico, «I mercanti alle porte del tempio», in Alberto Abbruzzese e altri, Lo spettacolo del consumo. Televisione e cultura di massa nella legittimazione sociale, a cura di Mario Morcellini, op. cit. all nota precedente.

[11] Francesco De Domenico, «Mainstream. Il futuro dei vecchi media», in Davide Borrelli, Mihaela Gavrila (a cura di), Media che cambiano, parole che restano, Milano, Franco Angeli, 2013, 281 p. [il passo citato è a p. 32]

[12] Carl R. Rogers, On Becoming a Person: A Therapist’s View of Psychotherapy, Boston – New York, Houghton Mifflin, 1961, 420 p. Traduzione italiana: La terapia centrata-sul-cliente. Teoria e ricerca a cura di Augusto Palmonari, Jan Rombauts, Firenze, Martinelli, 1967, 357 p.

[13] Henry Jenkins, Convergence culture. Where old and new media collide, New York, New York University Press, 2006, XI-353 p. Traduzione italiana: Cultura convergente, Milano – Sant’Arcangelo di Romagna, Apogeo – Maggioli, 2007, XVVIII-367 p.

[14] Mihaela Gavrila, Mario Morcellini (a cura di), Vincere la paura. Una nuova comunicazione della sicurezza contro il mediaterrorismo, Milano, Egea, 2022, 356 p.