Analisi politica

Democrazia Futura. Dal Pd al Terzo Polo, il gran balletto delle opposizioni

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Dalla momento critico del PD alle forze centriste, cosa potranno fare le opposizioni nei prossimi mesi? L’analisi di vista di Gianluca Veronesi.

Gianluca Veronesi

In “Il Gran balletto delle opposizioni. Dal PD al Terzo Polo” Gianluca Veronesi riflette con sottile ironia sulla sconfitta del PD alle elezioni politiche dello scorso settembre 2022. Nella prima parte “Vicolo largo, vicolo stretto, campo largo, campo stretto” ravvisando i soliti errori di gestione della sconfitta (di fatto non affrontata), rimproverando al segretario uscente Enrico Letta di non essere stato pragmatico e semmai troppo intellettuale e sganciato da una certa realtà, misera come un bazar, ma che pure va affrontata per non sprofondare. Nella seconda parte dell’articolo “Il terzo gode. La complessa convivenza tra Matteo Renzi e Carlo Calenda” l’autore esprime alcune considerazioni su Carlo Calenda e Matteo Renzi, uniti e scambiatisi nei ruoli: protagonista il primo, comprimario il secondo.

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1. Vicolo largo, vicolo stretto, campo largo, campo stretto

Di solito in politica quando si perde si fa finta di niente e si riparte immediatamente per recuperare il terreno perduto.

Oppure ci si ferma a riflettere bene sui propri errori, soprattutto per non ripeterli o peggiorarli nel momento in cui si è in confusione mentale post trauma.

Il PD non sta facendo né l’uno né l’altro. Con un segretario (di fatto dimissionario) che ha ereditato tanti errori dal passato, a cui ha aggiunto i suoi e che in questo interregno aumenta la sua delegittimazione.

Enrico Letta, richiamato in patria dall’esilio in Francia, prese in mano un partito diviso in tre correnti (veri protettorati autonomi) abituate a scegliere il segretario più anonimo e pacifico possibile.
Personalità colta anche se non carismatica (i carismatici non sono mai degli intellettuali), si è dato una missione e l’ha perseguita con coraggio e continuità: sostenere la lotta contro il Covid, sostenere Draghi e sostenere l’Ucraina
. Tre partite per niente semplici perché chi lo faceva con te – i tuoi alleati- erano spesso poco convinti, in cerca di distinguo, pronti a qualche furberia pur di svicolare.

Su Mario Draghi ha persino esagerato, apparendo appiattito e scontato, non riuscendo a evidenziare nel lavorio del governo un risultato specifico ed identitario del PD.

Purtroppo ha pensato che quelle tre battaglie -a cui ha aggiunto un ammonimento a vigilare sul post fascismo- bastassero ad assicurargli il consenso degli elettori.

Non ha capito cos’è oggi -in tempi di populismo- una campagna elettorale italiana.

Un bazar di offerte, sconti, regali. Baby pensioni, redditi di cittadinanza, bonus edilizi.
Esenzioni fiscali e flat tax.

Credo che Letta ancora oggi non riesca a capacitarsi del perché i suoi temi così alti, fondamentali e fondativi, non abbiano avuto la meglio.

Forse, per trovare estimatori di tali cause, bisognerebbe cercare tra i milioni che non votano più.
Sì, perché oggi l‘astensione ha cessato di essere la via di uscita unicamente dei disinformati, miscredenti o asociali per diventare un parcheggio di delusi informatissimi, snob, offesi.
I faraoni del PD dovrebbero con umiltà decidere cosa vogliono essere, sapendo che è cambiato tutto e che la loro rendita di posizione non esiste più
.

È successo che ha vinto la destra-destra e non c’è più spazio politico, sociale e identitario per una decina di partiti.

Partiti tutti di centro: centrosinistra, centrodestra, moderati, progressisti, nordisti, sudisti, tutti figli di qualche corrente della mitica DC, partito-nazione.

Nel gioco parlamentare si ponevano tutti come mediatori, arbitri, pontieri anche perché molti di loro, alle Camere, avevano rappresentanze a volte irrisorie.

Il risultato era che gli elettori, annoiati o disperati (a seconda del reddito), votavano ogni volta per l’ultima novità, per la voce più radicale e provocatoria, che fosse Umberto Bossi, Matteo Renzi o Beppe Grillo.

Sarebbe così anche con la Meloni, ma con una differenza. I suoi predecessori erano così gelosi della loro vittoria che non l’hanno condivisa con nessun altro.

Lei ha accettato le alleanze e si è fatta sistema.

Letta ha perso quando ha messo in onda la sceneggiata del “campo largo”, quando ha trattato Calenda come Nicola Fratoianni, quando ha pensato che Fratoianni potesse essere il richiamo di una sinistra profondamente in crisi di identità ma orgogliosa e umiliata, nobile e autentica.
Ringrazi che Calenda si è pentito altrimenti -da alleato- gli avrebbe portato via molti più voti.
L’unico interesse del segretario del PD era, in quei giorni, dimostrare che lui era il federatore, lui era il degno capo del partito “a vocazione maggioritaria”.

Di tutto questo dovrebbero discutere i Democratici in questi giorni.

2. Il terzo gode. La complessa convivenza tra Matteo Renzi e Carlo Calenda

E io che credevo che tra i due quello spettacolare fosse Matteo Renzi!

Invece è Carlo Calenda che da quando ha deciso di giocare in serie A non dà tregua a giornalisti dietrologi, politici concorrenti, italiani elettori.

È tutto un colpo di scena, non lo trovi mai dove, prevedibilmente, dovrebbe essere.
In genere passa il suo tempo a polemizzare con le altre opposizioni e a tentare di migliorare il lavoro del governo. Mi correggo: della presidentessa del Consiglio.

Niente di scandaloso. Per un partito che si pone programmaticamente al centro è normale sentirsi in competizione sia con la destra che la sinistra.

Le sue simpatie del momento sono riassumibili in due recenti dichiarazioni: nella prima dice che Letta -con cui fece e disfece in 24 ore un’alleanza elettorale- “è ormai incapace di elaborare una strategia politica”.

Mentre di Giorgia Meloni -uscendo da Palazzo Chigi dopo un lungo incontro da lui richiesto- ha detto: “è una persona seria” che lo “affascina” e lo predispone positivamente “dal punto di vista della chimica”.  Non siamo più nella dimensione politica ma stiamo imboccando quella della sensualità.
Non ci sono precedenti di dichiarazioni analoghe ma è comprensibile: difficile avere reazioni “chimicamente” rilevanti in un incontro con Giuseppe Conte.

Come vedete, confrontando tali giudizi sembrerebbe difficile ricavarne un sentimento equidistante verso i poli. L’opposizione verso l’opposizione non appare nemmeno “costruttiva”.

Il Calenda capo partito era stato preceduto dalla fama di tecnocrate preparato, con buoni studi, buona famiglia, buone relazioni.

Grande lavoratore, silenzioso e con un carattere spigoloso.

Silenzioso non lo è più, temperamentoso ancora sì.

Come ogni politico che si rispetti, è cultore della permalosità.

Il primo a valorizzarlo fu proprio Renzi che lo scelse come coordinatore a Bruxelles degli interessi del governo italiano e poi come ministro dello sviluppo economico.

È tornato poi a Bruxelles come europarlamentare, eletto nelle liste del PD.

Ma il grande pubblico lo ha scoperto in occasione delle elezioni per il sindaco di Roma.
Da buon tecnocrate si preoccupa innanzitutto di creare una classe dirigente per il suo partito. Diciamo che non la organizza dal basso. Solo donne e già ministre (Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna, Letizia Moratti).

Ma lo vedo come un merito: abituati a partiti “individuali e proprietari”, comandati cioè da un padre padrone, possibilmente carismatico, l’idea di un collettivo di pari lignaggio promette elaborazioni di gruppo.
Tuttavia la curiosità di tutti si interroga sui futuri rapporti con Renzi.

In campagna elettorale il fiorentino si è comportato lealmente da comprimario, quasi da gregario.
Ma era un miracolato: i sondaggi lo davano al 2 per cento e probabilmente senza l’alleanza non sarebbe rientrato in parlamento (cosa vuol dire non esserci ce lo mostra Luigi Di Maio).
Come noto Renzi non è affetto da modestia acuta, non soffre di complessi di inferiorità, non ama l’anonimato. Nei giorni in cui Calenda offriva collaborazione al governo, Matteo dichiarava invece che entro un anno lo farà cadere. Egli da solo. D’altronde da solo inventò il Conte2 (naturalmente con gli aspiranti ministri del PD) e da solo lo abbatte’.

Il nuovo protagonismo di Calenda come si concilierà con quello vecchio di Renzi?

Tuttavia la mia impressione è che l’inventore della Leopolda, degli 80 euro, del referendum e della scissione -insomma uno che non sta con le mani in mano- si stia ormai annoiando, che si stia defilando.
È possibile che stia organizzando le Olimpiadi alla Mecca?