L'analisi

Democrazia Futura. “A passo di gambero”, un percorso ideale a ritroso dal 1948 al 1925

di Sara Carbone, storica |

Sara Carbone analizza l'ultimo volume del lungo percorso storiografico di Mario Avagliano - Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini - edito dal Mulino.

Sara Carbone

“A passo di gambero. Un percorso ideale a ritroso dal 1948 al 1925. A proposito del saggio – uscito nel 2022 per i tipi de Il Mulino – di Mario Avagliano e Marco Palmieri sul dissenso al fascismo”. Sara Carbone analizza l’ultimo volume – come recita il sottotitolo Gli italiani che si opposero a Mussolini – a conclusione di un lungo percorso storiografico di opere per la casa editrice di Bologna. Tenendo conto, in primis, delle loro precedenti pubblicazioni volte alla divulgazione della storia italiana del Novecento, Il dissenso al fascismo conclude quasi un percorso ideale a ritroso: 1948. Gli italiani nell’anno della svolta (2018), Dopoguerra (2019), Paisà, sciuscià e segnorine (2021), e, appunto, Il dissenso al fascismo (2022) rappresentano, in un certo senso, un itinerario “a passo di gambero” che i due storici compiono, dal 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana al discorso alla Camera di Mussolini del 3 gennaio 1925.

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Uno sguardo rivolto a molti accadimenti contemporanei nei diversi luoghi del mondo convince sempre più del fatto che l’umanità intera sia vittima di un continuo e volutamente ricreato clima di “stato d’assedio” ossia di uno stato in cui il potere, per poter preservare sé stesso, rimanda di continuo all’ “eccezione”. L’eccezione si traduce, a sua volta, in una “fittizia immagine del nemico” – non importa quale sia la sua natura – responsabile dello “stato di emergenza” di cui ha bisogno la politica per poter continuare ad esercitare in modo indisturbato la sua sovranità ossia, miseramente, il diritto di scegliere “chi deve vivere e chi deve morire”.

Sembra la descrizione di uno scenario dai toni apocalittici che caratterizza in modo esclusivo la nostra precaria attualità eppure, a ben guardare, tali pratiche sembrano essere state la cifra delle maggiori politiche di governo del secolo scorso le quali, in qualche modo, hanno anticipato e tenuto a battesimo quelle odierne. Il fascismo, naturalmente, è tra queste e, sebbene come fenomeno storico possa dirsi concluso, le pratiche e le finalità di cui si è avvalsa la politica di regime del ventennio sono fin troppo moderne.

Per una umanità tenuta in scacco con la paura dell’incertezza e del pericolo imminente e programmaticamente educata alla “disabitudine a dissentire”, la pubblicazione di un libro che ricostruisca organicamente il tema del dissenso al fascismo e che veicoli, in modo subliminale, il messaggio per cui, per dirla con le parole di Italo Calvino, «la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina più rigorosa e ardua di quella a cui ci si ribella», ha tutta una sua ragion d’essere.

Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini 1925 – 1943, edito dalla casa editrice il Mulino di Bologna, è l’ultimo lavoro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, i quali compiono, nell’anno del centenario della marcia su Roma, due operazioni complementari e originali.

Tenendo conto, in primis, delle loro precedenti pubblicazioni volte alla divulgazione della storia italiana del Novecento, Il dissenso al fascismo conclude quasi un percorso ideale a ritroso: 1948. Gli italiani nell’anno della svolta[1] (2018), Dopoguerra[2] (2019), Paisà, sciuscià e segnorine[3] (2021), e, appunto, Il dissenso al fascismo[4] (2022)rappresentano, in un certo senso, un itinerario “a passo di gambero” che i due storici compiono, dal 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana al discorso alla Camera di Mussolini del 3 gennaio 1925.

In secondo luogo, Mario Avagliano e Marco Palmieri si inseriscono nel dibattito storiografico sul fascismo di inizio millennio.

Se, già a partire da Renzo De Felice, che distingueva militanti e fiancheggiatori, la storia del consenso al fascismo ha trovato una sua immediata sistemazione nella narrazione storica e una vivace articolazione e completamento successivi[5] – si pensi alle riflessioni di Guido Melis[6] o a quelle di Alessandro Campi[7] che parla di «semplice acquiescenza […] oppure […] inevitabile tendenza al conformismo»[8]il tema del dissenso al regime, invece, è rimasto, per anni, una narrazione in controluce, accennata, raccontata attraverso episodi in ordine sparso, magari all’ombra della storia della Resistenza che ha relegato «le varie forme di dissenso e di opposizione degli anni precedenti in un “limbo più o meno agiografico”»[9] (Consapevoli del fatto che il dissenso sia «un indicatore dinamico»[10] almeno quanto il consenso e godendo della posizione privilegiata di storici del nuovo millennio che possono guardare al fascismo dalla duplice prospettiva di fatto concluso sia del secolo che del millennio trascorso, per cui il regime fascista non si configura come «epifenomeno» ma come «movimento politico autonomo, con una sua ideologia, una sua cultura, un suo sistema politico»[11], gli autori organizzano la materia narrata in quattordici capitoli, corredati da un apparato di note poderoso, e affrontano tutto il «variegato arcipelago» delle forme, delle motivazioni e dei luoghi in cui il dissenso si espresse. Le ragioni spaziano da chi manifestò dissenso per ragioni ideali maturate già prima dell’avvento del fascismo agli antifascisti «dormienti»[12]), a chi, privo di una cultura politica, esternava segni di istintiva insofferenza «verso l’invadenza del regime»[13] le forme vanno da quelle di cui si fece interprete la classe intellettuale italiana e che forse sono le più note – si pensi al Manifesto degli intellettuali antifascisti – a quelle che videro protagonista la gente comune quali barzellette, parodie di canzoni, caricature; non mancano, in tal senso, anche riferimenti ad un «antifascismo da osteria»[14] e a forme di «antifascismo solitario, quasi esistenziale, ingenuo, un po’ romantico e un po’ disperato, fatto di gesti individuali»[15].

La progressione del dettato restituisce l’immagine dello storico che conosce «per tracce»[16], che ricerca, ordina, si interroga e poi racconta[17]: sono materiali d’archivio in gran parte inediti, testimonianze, diari, rapporti delle prefetture, delle questure e dei carabinieri, interviste, a nutrire la scrittura di Avagliano e Palmieri.

Questo modo di procedere assume un valore specifico per la materia trattata se si tiene conto delle riflessioni del professore Alessandro Campi per il quale l’antifascismo può essere difficilmente «misurato e valutato in maniera oggettiva nella sua reale consistenza» a causa della mancanza di fonti più che di indicatori per cui l’unica via d’uscita sarebbe costituita proprio dal ricorso ai «rapporti di polizia e le informative dei prefetti, questori e fiduciari delle diverse strutture di controllo messe in piedi dal fascismo» depositari degli «umori collettivi realmente serpeggianti nella penisola»[18].

È interessante notare che, sebbene nel primo capitolo – La fine dei partiti: gli antifascisti entrano in clandestinità – la narrazione parta dai fatti del 3 gennaio 1925, nelle pagine immediatamente seguenti, l’attenzione è posta agli accadimenti che vanno dalla fondazione dei fasci di combattimento del 1919 alla secessione dell’Aventino del 1924 e si sposa convintamente la tesi, per nulla scontata, secondo cui «il fascismo era desolatamente privo di talenti che non fossero connessi all’esercizio della violenza»[19] fin dalle sue prime manifestazioni.

Registrando con un “termometro” ad altissima precisione l’andamento altalenante di consenso/dissenso che caratterizzò il fascismo – forma politica “sopra la legge” che non si sarebbe fatto processare che dalla Storia[20] – tra l’ottavo e il nono capitolo – rispettivamente La guerra d’Etiopia e l’apice del consenso e La guerra di Spagna e il rilancio dell’antifascismo – si situa una svolta narrativa che apre spazio a interessanti riflessioni.

La guerra di Etiopia e la proclamazione dell’impero segnerebbero la fine di manifestazioni di disapprovazione che non incontravano alcuna «seria opposizione da parte delle istituzioni tradizionali»[21] nei confronti di un partito che «per sua natura (…) era incompatibile con il regime parlamentare»[22]; la guerra civile spagnola e l’arruolamento di molti italiani nelle Brigate internazionali, d’altro canto, vengono descritti come l’inizio di una stagione nuova in cui prende avvio una convinta e serrata opposizione al «dominio del manganello»[23].

Presentati tradizionalmente come prova generale del secondo conflitto mondiale, i fatti spagnoli del ’36 – ’39 diventano, in questa sede, occasione per gli italiani, che si mettono «all’ascolto di radio straniere»[24] di scorgersi da una “prospettiva esterna”, di osservarsi dal di fuori e di comprendere il vero volto del fascismo e delle sue pratiche.

Quel conflitto locale e apparentemente “periferico” della storia italiana assume una sorta di valore salvifico: assurge a motore che innesca il faticoso processo di autocoscienza di una generazione “educata al consenso” e all’obbedienza cieca, incapace di riconoscere in chi si trincera dietro la maschera di suo protettore in uno “stato di emergenza”, il principale artefice della sua condizione di precarietà. Gli scontri tra le truppe di Franco e il Fronte popolare hanno avuto il merito di interrompere il pericoloso corto circuito nel quale era caduto il popolo italiano e una parte di quel che rimaneva della classe dirigente.

Degno di essere particolarmente evidenziato è il fatto che, consci di quel «collettivo bisogno di rimozione degli italiani verso il fascismo»[25] e della pericolosa fascinazione che esso ha esercitato ed esercita tuttora, gli autori ricordano come «la memoria collettiva del fascismo nel dopoguerra prenderà una strana piega» e «il ricordo di un regime risibile, dai rituali e le liturgie grottesche e che si copre di ridicolo oscurerà in certa misura le pratiche repressive feroci, la privazione delle libertà e il soffocamento di ogni forma di dissenso e opposizione»[26] I fatti narrati possono essere letti come un invito a non guardare al fascismo con la “freddezza” di chi, nato in età repubblicana, si sente immune da qualsiasi minaccia autoritaria, finendo sia per sposare le moderne tendenze di “defascistizzazione del fascismo” sia per non accorgersi che del fatto che i metodi per mezzo dei quali il regime si costituì e si mantenne al potere sono, sebbene sotto altra veste, ancora operanti nella società attuale.

Quando nell’introduzione, del resto, i due storici scrivono che «il concetto stesso di cittadinanza si modifica, per cui solo chi è fascista è italiano, mentre chi si oppone è escluso dalla comunità nazionale»[27], essi rilanciano il tema del fascismo e di ogni forma di “regime” nel dibattito storico contemporaneo per cui nessuno può dirsi davvero protetto da quel morbo contemporaneo che si sparse per tutto il mondo – per parafrasare Benedetto Croce – che è stato e continua a essere il fascismo.

Se il regime ha coniato il termine “fuoriuscito” – uscito fuori, escluso – per gli esuli che non hanno espresso approvazione, se il fascismo, in quanto regime, ha contribuito alla distribuzione della specie umana in sottogruppi, configurandosi come strutturalmente razzista, se ha distinto, dunque, gli uomini tra chi ha diritto di vivere e chi di morire perché dissidente, se ha avallato il concetto di sovranità come “diritto di uccidere”, esso non è solo espressione coerente di un Novecento «secolo delle due realtà», come lo ha definito Emilio Gentile[28], ma genesi dei moderni concetti di biopotere e necropolitica.

Questo libro è insieme una disamina storica di ciò che è stato e una efficace riflessione sul presente: ammonisce che nella “disabitudine al dissenso” ci sono tutte le premesse delle forme totalitarie vecchie e nuove e ripropone il problema etico – politico della responsabilità collettiva che è sempre «la somma di responsabilità individuali»[29].


[1] Mario Avagliano, Marco Palmieri, 1948. Gli italiani nell’anno della svolta, Bologna, il Mulino, 2018, 435 p.

[2] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Dopoguerra. Gli italiani tra speranze e disillusioni (1945-1947), Bologna, il Mulino, 2019, 496 p.

[3] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Paisà, sciuscià e segnorine, Bologna, il Mulino,2021, 504 p.

[4] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1.

[5] Renzo De Felice, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso 1929 – 1936, Torino, Einaudi, 1974, 945 p.

[6] Guido Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello stato fascista, Bologna, il Mulino, 2018, 616 p.

[7] Alessandro Campi, “Il consenso al fascismo”,in Gianfranco Pasquino (a cura di), Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane, Roma, Enciclopedia Treccani, 2022, 437 p. [il saggio è alle pp. 227 – 246].

[8]Alessandro Campi, in Pasquino (a cura di), Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane, op. cit. alla nota precedente, p. 238.

[9] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, Bologna, il Mulino, 2022, p. 15.

[10] Alessandro Campi, in Pasquino (a cura di), Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane, op. cit. alla nota 8, p. 239.

[11] Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Roma-Bari, Laterza, 2002, XIV-324 p. [il passo citato è alla p. VI].

[12] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 16.

[13] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 16.

[14] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 17.

[15] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 17.

[16] Enzo Di Nuoscio – Marco Gervasoni, Conoscere per tracce, Milano, Edizioni Unicopli, 2005, 121 p.

[17] Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Paris, Armand Colin, 1949, XVII-110 p. Traduzione italiana di Carlo Pischedda, Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1950, 178 p.

[18] Alessandro Campi, “Il consenso al fascismo”, in Pasquino (a cura di) Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane, op. cit., alla nota 8, p. 243.

[19] Denis Mack Smith, Mussolini, London, Weidenfeld and Nicolson, 1981, 428 p. Traduzione di Giovanna Ferrara Degli Uberti: Mussolini, Rizzoli Editore, Milano, 1981, 530 p.  Oggi nella collana Bur: Rizzoli, Milano 2021, 592 p. [il passo citato è alla p. 113].   

[20] Benito Mussolini, Opera omnia, Vol. XXI, p. 23.

[21] Benito Mussolini, Opera omnia, Vol. XXI, p. 22.

[22] Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, op. cit. alla nota 12, p. 17

[23] Denis Mack Smith, Mussolini, op. cit. alla nota 20, p. 117.

[24] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 283.

[25] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 22.

[26] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 217.

[27] Mario Avagliano, Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si opposero a Mussolini, 1925 – 1943, op. cit. alla nota 1, p. 14.

[28] Emilio Gentile, op. cit. alla nota 6, p. 55.

[29] Emilio Gentile, op. cit. alla nota 6, p. 36.

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