Analisi

Democrazia Futura. 25 aprile e la pancia degli italiani

di Stefano Rolando insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM. Condirettore di Democrazia futura e membro del Comitato direttivo di Mondoperaio |

Festa della liberazione divisiva: l'articolo "25 aprile. Il fascismo e la pancia degli italiani" sottolinea "La difficoltà di commemorare in nome di una memoria condivisa".

Stefano Rolando, condirettore di Democrazia futura, in un pezzo intitolato ” 25 aprile. Il fascismo e la pancia degli italiani”,  da un lato sottolinea “La difficoltà di commemorare in nome di una memoria condivisa”: “in questi giorni – scrive – va in scena in Italia una più sotterranea e profonda rappresentazione. Quella di continue piccole provocazioni promosse da fonti antifasciste per mettere alla prova post-fascisti, filo-fascisti, a-fascisti in ordine alla continuità di un vincolo simbolico dell’Italia repubblicana. Ma ugualmente – anzi spesso preliminarmente – anche da esponenti che hanno nella loro storia e nel loro curriculum un saluto romano, la suggestione di una camicia nera o il colonialismo delle strofe di “Faccetta nera”, per sostenere il diritto di non apprezzare e non partecipare ai riconoscimenti di una festa nazionale che – questo l’argomento frequente – è stata vantata dal dopoguerra per lungo tempo anche dai partigiani comunisti, cioè fautori di appartenenza all’ideologia di un’altra patria, un altro mondo (quello del sovietismo di Mosca). Dall’altro,  confermando, sembrerebbe, la tesi sostenuta da Antonio Scurati, secondo il quale “il fascismo era e resta nella pancia degli italiani”, l’articolo illustra “Cosa emerge dal report demoscopico effettuato da SWG”, dal quale si evidenzia come “più di un terzo degli italiani ha in pancia tracce irrisolte di simpatie per quel pur controverso “male assoluto”, [e] il 15 per cento degli italiani (rispetto al numero complessivo degli elettori aventi diritto) che ha votato per Giorgia Meloni ci sta dentro abbondantemente” – ovvero, conclude lo studioso di comunicazione pubblica – “una ampia e per certi versi crescente base elettorale che deve trovare rappresentazione nelle forme simboliche, negli atti di governo e nelle feste comandate”.

Siamo a ridosso del 25 aprile. E da un pezzo suona il tam-tam.

Questione insistente: ma – ci si chiede:

“questo governo – anzi, prima di tutto la Meloni – cosa farà quel giorno?”

Si limiterà alla manifestazione militar-istituzionale obbligata dal ruolo o dirà qualche cosa in più attorno alle domande sulla defascistizzazione dell’apparato del suo partito oggi al governo che, a fronte di quesiti incalzanti, continua spesso a dire “non rispondo”?

La rappresentazione di una festività nazionale che esiste dal 25 aprile 1946, primo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, ha tre copioni che implicano dovere di recitazione:

  • la Costituzione (che vieta in ogni sua forma la ricostituzione del partito fascista);
  • la storia (che mondialmente reputa l’epilogo della seconda guerra mondiale la condanna senza appello di chi l’ha provocata e voluta);
  • l’opportunità di governo e di messaggio all’Europa di cui l’Italia è membro fondatore di non tradire nemmeno con allusioni il senso di interpretazione di quella guerra, delle sue macerie, dei suoi morti, della rigenerazione (una rigenerazione radicalmente alternativa senza se e senza ma per la Germania e per l’Italia, ma anche per il Giappone, la Romania, la Bulgaria, la Croazia, l’Ungheria e la Slovacchia, l’insieme definito come “le potenze dell’Asse”).

Così che in questi giorni va in scena in Italia una più sotterranea e profonda rappresentazione.

Quella di continue piccole provocazioni promosse da fonti antifasciste per mettere alla prova post-fascisti, filo-fascisti, a-fascisti in ordine alla continuità di un vincolo simbolico dell’Italia repubblicana.

Ma ugualmente – anzi spesso preliminarmente – anche da esponenti che hanno nella loro storia e nel loro curriculum un saluto romano, la suggestione di una camicia nera o il colonialismo delle strofe di “Faccetta nera”, per sostenere il diritto di non apprezzare e non partecipare ai riconoscimenti di una festa nazionale che – questo l’argomento frequente – è stata vantata dal dopoguerra per lungo tempo anche dai partigiani comunisti, cioè fautori di appartenenza all’ideologia di un’altra patria, un altro mondo (quello del sovietismo di Mosca).

Ecco che così il fiume carsico esploso nel biennio della guerra civile dal 1943 al 1945, poi ad un certo punto sopito nell’evoluzione dei tempi e finalmente nel 2003 arrestato dalla famosa frase “Il fascismo è stato il male assoluto” del leader di Alleanza Nazionale, il partito erede del Movimento Sociale Italiano – cioè Gianfranco Fini –  che non si è mai ben capito se effettivamente pronunciata a Gerusalemme ovvero se attribuita dai media all’allora presidente della Camera dei Deputati e non smentita. Il presidente del Senato Ignazio La Russa dice che la frase si riferiva solo alla condanna delle leggi razziali, non al complesso storico del fascismo, in ordine a cui nega anche che vi sia traccia di antifascismo nella Costituzione[1]. Il tema politico che si riapre è che Fratelli d’Italia nasce in dissenso rispetto ad Alleanza Nazionale proprio per presidiare una memoria che la piena costituzionalizzazione dei partiti di destra realizzata da Silvio Berlusconi per competere nella polarizzazione della politica italiana tra centrodestra e centrosinistra aveva portato a forme della discontinuità[2]. Quel piccolo partito, nella sua lunga marcia minoritaria, il 25 settembre 2022 ha vinto le elezioni, ottenendo la guida del governo. Da qui le dispute su un tema sopito e ora tornato a occupare le discussioni[3].

La questione dell’antifascismo vista dal lato della domanda di fronte alla rivalutazione serpeggiante del nazionalismo

Fin qui tutta la vicenda ha riguardato e riguarda il lato dell’offerta della politica italiana, non il lato della domanda. Ma da alcuni anni, però, in un altro capitolo della rappresentazione dei sentimenti nazionali – quello dell’arte, della cultura, della letteratura, della saggistica, del cinema, eccetera – si è fatta viva un’altra idea. L’idea cioè che un’eredità – chi dice ideologica, chi dice culturale, chi dice linguistica[4], chi dice psicologica – del fascismo serpeggia nel paese (come in altri paesi europei, Francia, Germania e Gran Bretagna compresi) con particolare intensità come significativa reazione alle crisi provocate dalla globalizzazione che, per naturale contrasto, rivaluta il nazionalismo.

E da qui si arriva alla rivalutazione dei fenomeni storici che sono stati campioni e portatori di quell’idea di Nazione che altri hanno rivolto alla continuità tra Risorgimento e Resistenza mentre l’estrema destra italiana ha rivolto invece verso il nazionalismo, l’autarchia, il razzismo, insomma un insieme di tratti culturali che vengono riconosciuti (mondialmente) nel profilo del fascismo italiano (che fu la fonte di ispirazione sia per il nazismo, sia per altre forme di autoritarismo o dittatura con venature populiste, antisemite, appunto nazionaliste in Europa e nelle Americhe).

La tesi sostenuta da Antonio Scurati: il fascismo era e resta nella pancia degli italiani

È la tesi sottesa dal romanzo storico “M – Il figlio del secolo” di Antonio Scurati che narra l’ascesa al potere di Benito Mussolini e che ha vinto il premio Strega 2019 premio dedicato a chi ha combattuto contro il fascismo. Stra-venduto in Italia e in tutto il mondo[5]. Il fascismo – diceva lo scrittore – era e resta nella pancia degli italiani:

Anni fa, vedendo uno di quei filmati Luce, il mascellone che parla da Palazzo Venezia, mi sono detto: ma questo qui non lo hai mai raccontato nessuno così. Pensavo cioè che non fosse mai stato scritto un romanzo su Mussolini e sul fascismo. Che fosse stato in un certo senso proibito fino ad oggi. Nel senso di una proibizione ambientale. Raccontare, con la libertà spregiudicata del romanziere, il fascismo dal di dentro, cosa è stato il fascismo per i fascisti, chi erano i fascisti, chi era Benito Mussolini, capo di Stato, capo di partito, ma anche uomo. Non si poteva farlo perché fino a ieri ogni volta che si nominava il fascismo eri in un territorio tabù. Dovevi preliminarmente dichiararti antifascista, prima di parlare di un fascista. E la letteratura e l’arte non sopportano questo. Non possono dare giudizi preliminari. Non possono applicare un filtro ideologico al racconto. Il giudizio viene, certo. Ma dopo. Viene alla fine non all’inizio”. [6]

Il boom di questo romanzo nasce dal fatto che non si tratta di saggistica accademica, ma appunto di un “romanzo” di vita che appartiene al tempo della cronaca, come dice Scurati. Che per altro immagina di raccontare Mussolininella sua umanità”, per dimostrare che l’Italia

sa guardarsi dietro con libertà e vedere se ci si sente ancora attratti dal “genio del nulla” oppure ormai distaccati”.

Lo sguardo alla domanda sociale degli italiani: il report demoscopico di SWG

Perché ricordo questo esempio, uno dei tanti, tantissimi scritti sul fascismo, proprio ora?

Perché il percorso di indagine sulla domanda sociale e non solo sull’offerta politica nell’attuale quadro di governo e comunque a seguito delle elezioni del 25 settembre è un atto ora doveroso.

Alla questione “perché l’unico partito che stava all’opposizione del governo di emergenza guidato da Mario Draghi che ha avuto tra il 60 e il 70 per cento di fiducia degli italiani è proprio quello che ha vinto le elezioni portando tutte le eredità di una storia ambigua al governo del paese?”, lo sguardo alla domanda sociale serve più della filologia sulle frasi pronunciate o mezze pronunciate o non pronunciate da Giorgia Meloni o da qualche suo ministro.

Ci aiuta un report demoscopico della scorsa settimana – cioè dal 10 al 16 aprile – realizzato dall’Istituto SWG che su tre grandi argomenti di attualità comincia proprio con il tema fascismo e antifascismo per la pancia degli italiani[7]. Non lo ho visto molto diffuso, né molto commentato.  Come si può vedere, non stiamo parlando di un antifascismo largamente condiviso e di quattro gatti nostalgici.

Questi sono i dati essenziali delle rilevazioni.

  1. Alla domanda che riprende la frase spartiacque di Fini prima citata, “Il fascismo è stato il male assoluto”, il 66 per cento degli italiani risponde di essere d’accordo. Ma, attenzione, il 34 per cento risponde di non essere d’accordo.
  2. Alla domanda “Fascisti e partigiani comunisti vanno posti sullo stesso piano?”, il 62 per cento dice di essere in disaccordo, ma il 38 per cento risponde di essere d’accordo.
  3. Tener vivo il ricordo dei danni prodotti dal fascismo? Per il 43 per cento degli elettori di Fratelli d’Italia è “una cosa sorpassata di cui è inutile parlare”.
  4. Alla domanda diretta “Lei si considera antifascista?”, il 63 per cento degli italiani risponde “sì”, ma il 24 per cento risponde no e il 13 per cento si trincera dietro il “preferisco non rispondere”. Un’altra volta il 37 per cento.
  5. E infine alla domanda “Lei ritiene che FdI” sia in qualche modo legato al fascismo? il 27 per cento risponde “Si molto”, il 36 per cento risponde “Sì, un po’”, il 37 per cento risponde “No”. E solo il 28 per cento degli italiani pensa che il governo Meloni (attenzione, non Giorgia Meloni, ma il suo governo) “non ha alcun rapporto con il fascismo”.

Perché secondo non è possibile rievocare il 25 aprile in nome (e sotto forma) di una memoria condivisa degli italiani

Insomma, se più di un terzo degli italiani ha in pancia tracce irrisolte di simpatie per quel pur controverso “male assoluto”, il 15 per cento degli italiani (rispetto al numero complessivo degli elettori aventi diritto) che ha votato per Giorgia Meloni ci sta dentro abbondantemente e non è “frange di un elettorato” che provocano ogni tanto – come dice Fabrizio Rondolino –  “rigurgiti grotteschi[8], ma una ampia e per certi versi crescente base elettorale che deve trovare rappresentazione nelle forme simboliche, negli atti di governo e nelle feste comandate. Pur nello sforzo della premier di stemperare il dato “genetico” con riferimenti e allusioni controbilancianti.

Per questo – e varrebbe la pena di aprire una discussione su queste parole – Giovanni Belardelli nella discussione di questi ultimi giorni sul 25 aprile, ragionando sulla non condivisione a partire dal 1948, ha concluso un suo articolo su Il Foglio scrivendo:

Se si vuole far sì che tutti celebrino – o anche solo riconoscano – il 25 aprile (e chi ha ruoli istituzionali, anzi, vi è pure tenuto), bisogna poi accettare che ciascuno lo faccia con la propria identità e con la propria storia e non in nome di una (impossibile) memoria “condivisa”. Come si capisce, questo vale anche per il 25 aprile di quest’anno [9]

Roma, 22 aprile 2023


[1] “La Russa: “L’antifascismo non è nella Costituzione”. Intervista a cura di Emanuele Lauria, La Repubblica, 2 aprile 2023

[2] Salvatore Vassallo, Rinaldo Vignati, Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice, Bologna, Il Mulino, 2023, 296 p.

[3] Stefano Rolando. “Dalle “Tesi di Trieste” al Partito Conservatore. Un argomento della democrazia futura” Democrazia Futura, II (8), ottobre-dicembre 2022, pp. 1159-1166, con anticipazione sul quotidiano online Key4biz (16 gennaio 2023). Cf. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalle dal -tesi-di-trieste-al-partito-conservatore/431218/

[4] È in distribuzione, edito dal quotidiano La Repubblica, il libro di Valeria Della Valle e Riccardo Gualdo membri dell’Accademia della Crusca, Le parole del fascismo. Come la dittatura ha cambiato l’Italiano – Prefazione di Claudio Marazzini.

[5] Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Milano, Bompiani, 2018, 848 p.

[6] Antonio Scurati. La citazione merita di essere anche ascoltata dalla stessa voce dell’autore nell’audio originale dal minuto 0.31 al minuto 1.30 https://www.youtube.com/watch?v=POVIRdNwNPA.

[7] SWG Radar – Niente sarà come prima – Monitoraggio 10-16 aprile 2023 – Fascismo – Slides 2-6

[8]Ho lottato, lo confesso. Ma non ne vado fiero. Intervista a Fabrizio Rondolino a cura di Nicola Mirenzi”, Venerdì di Repubblica, 21 aprile 2022.

[9] Giovanni Belardelli, “È dal 1948 che il 25 aprile non è memoria condivisa” degli italiani”, Il Foglio, 20 aprile 2023.


[1] Uscito come Podcast n. 41, IlMondoNuovo.club, 22 aprile 2023. Cf. https://www.ilmondonuovo.club/il-fascismo-e-la-pancia-degli-italiani/   https://stefanorolando.it/?p=7562