Fibra ottica. Esperti a Commissione Ue: prezzi più alti per accesso a reti tlc

di Alessandra Talarico |

Per incoraggiare gli investimenti nella fibra – sottolinea uno studio di Charles Rivers Associates (CRA) - il prezzo al quale si richiede agli investitori di fornire l’accesso deve essere abbastanza alto da riflettere i costi reali dell’investimento’.

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L’abbassamento dei prezzi di accesso al rame potrebbe scoraggiare gli investimenti nelle reti in fibra, con effetti negativi anche sull’uso efficiente delle tecnologie alternative. È quanto emerge da uno studio condotto da Charles Rivers Associates (CRA) per la Commissione europea e secondo il quale, anzi, prezzi più alti per i servizi regolati di accesso al rame e alla fibra potrebbero spingere gli investimenti in reti di nuova generazione.

 

Lo studio, condotto da Damien Neven già Chief Economist della DGCOMP, analizza in particolare tre aspetti: l’effetto di differenti metodologie di calcolo dei costi sugli incentivi ad investire in fibra; gli effetti di queste metodologie sulla concorrenza al dettaglio e sull’uso efficiente delle tecnologie diverse dalla fibra; l’opportunità o meno di adeguare i prezzi di accesso alle reti in rame per favorire gli investimenti nelle nuove infrastrutture in fibra.

 

“Per incoraggiare gli investimenti nelle reti in fibra – sottolinea lo studio – il prezzo al quale si richiede agli investitori di fornire l’accesso deve essere abbastanza alto da riflettere i costi reali dell’investimento”.

Questo significa, ad esempio, “che il prezzo deve essere impostato in modo da riflettere i costi non recuperabili – e il recupero di tali spese deve essere scaglionato nel tempo in maniera da riflettere i mutamenti della domanda”.

 

Ogni approccio che non consideri queste variabili non incentiva gli investimenti.

 

In pratica, infatti, il costo reale degli investimenti “comprende anche un certo grado di rischio a carico dell’investitore e ciò implica che il prezzo di accesso ottimale per la fibra può superare quello imposto da un approccio standard di orientamento al costo”.

 

Lo studio sottolinea altresì che la possibilità di replica delle infrastrutture, così come la presenza di tecnologie alternative quali il mobile e il cavo, implica che il prezzo di accesso alla fibra ottica “deve essere impostato in relazione al suo impatto su una concorrenza basata sulle infrastrutture”.

 

La regolamentazione dei prezzi di accesso può infatti avere un impatto significativo sull’incentivo a sviluppare e investire in infrastrutture alternative.

Se, quindi, la concorrenza basata sulle infrastrutture è considerata auspicabile, “sono ottimali tariffe di accesso più elevate”, ma se anche questo tipo di concorrenza non fosse desiderabile o realistica “allora l’attenzione deve rimanere sulla concorrenza al dettaglio, e quindi bisogna garantire che prezzi di accesso siano orientati ai costi (fatte salve le riserve di cui sopra)”.

 

Secondo lo studio – commissionato da DG Information Society per avere un’analisi economica delle opzioni normative e dei loro effetti sugli investimenti nelle nuove reti in fibra ottica – uno dei principali fattori in grado di influenzare fortemente gli incentivi ad investire è l’obbligatorietà o meno, per un investitore, di concedere l’accesso a valle alla propria rete e, in caso affermativo, se e come il prezzo (cap) per l’accesso debba essere fissato dall’autorità di regolamentazione competente.

“Un cap troppo basso può minare gli incentivi a investire nelle infrastrutture mentre un cap troppo alto potrebbe nuocere alla concorrenza al dettaglio. La sfida, in queste circostanze, è di assicurare una valida concorrenza al dettaglio (garantendo un prezzo di accesso sufficientemente basso), ma in maniera che questo si traduca in un mix efficiente di tecnologie a banda larga e che si conservino gli incentivi agli investimenti nel tempo”, sottolinea l’analisi.

 

Riguardo quindi i rischi legati agli investimenti nella fibra, lo studio sottolinea che un prezzo di accesso orientato ai costi introduce un’asimmetria tra chi l’accesso lo offre e chi lo richiede: “Se la domanda risulta essere inferiore al previsto, allora è il proprietario dell’infrastruttura a rischiare, ma se la domanda è superiore al previsto, allora i benefici sono condivisi tra il proprietario dell’infrastruttura e i richiedenti l’accesso”.

 

Il punto chiave è che i costi non recuperabili per i richiedenti l’accesso sono in genere limitati se la domanda risulta essere deludente, mentre i costi non recuperabili per i proprietari delle infrastrutture sono generalmente di grandi dimensioni a prescindere dall’esito della domanda.

“Questa asimmetria deve essere corretta per garantire adeguati incentivi agli investimenti nelle infrastrutture”.

Una soluzione in questo senso può essere rappresentata dalla condivisione del rischio, magari attraverso il co-investimento o un approccio ‘basato sulla capacità’, in base al quale chi richiede l’accesso paga in base all’utilizzo previsto (piuttosto che a quello effettivo), sostenendo così parte dei rischi dell’investimento.

Questi approcci, tuttavia, non sono a costo zero: implicano, infatti, un aumento dei prezzi per i consumatori e dovrebbero pertanto essere utilizzati solo su scala limitata.

 

Dal momento, poi, che gli incentivi ad investire nella fibra sono influenzati non solo dal prezzo di accesso alla fibra, ma anche dal prezzo di accesso alle reti in rame esistenti, l’analisi condotta da Charles Rivers Associates ribadisce quanto più volte affermato dalle aziende di settore e, cioè, che in uno scenario in cui rame e fibra coesistessero, “abbassare i prezzi di accesso al rame non può essere un modo efficace per incoraggiare gli investimenti nella fibra”.

Questo è particolarmente vero nei casi in cui l’incumbent possa essere tentato di impedire gli investimenti di altri provider e anche tenendo conto che il livello ottimale dei prezzi di accesso è influenzato da diversi fattori quali  la diversa densità della domanda all’interno della medesima regione e i diversi modelli di concorrenza con altre tecnologie.

 

Lo studio sottolinea altresì che “…è difficile stabilire se un regolatore sarebbe mai in grado di calibrare questo livello con qualche grado di certezza. Inoltre, ci sarebbe ampio margine di manovra per gli operatori storici nel processo di regolamentazione, data la dipendenza del regolatore dalle informazioni fornite dagli operatori storici stessi”.

 

Alla luce di queste considerazioni, pertanto, lo studio conclude che un abbassamento dei prezzi del rame non necessariamente farebbe scattare un aumento degli investimenti nella fibra.