Privacy: la Ue ferma Google. Articolo 29 chiede una pausa per analizzare le nuove norme

di Raffaella Natale |

La compagnia ha detto che collaborerà ma non ha intenzione di far slittare l'entrata in vigore delle nuove norme. Il Data Protection Working Party non ha fornito una tempistica precisa sulle indagini.

Unione Europea


Viviane Reding

Dalla Ue arriva lo stop alle nuove norme sulla privacy di Google, che dovrebbero entrare in vigore dal prossimo 1° marzo (Leggi Articolo Key4biz). Gli organismi europei chiedono una pausa per analizzare meglio la situazione.

In una lettera indirizzata al CEO di Google, Larry Page, il Gruppo di lavoro ‘Articolo 29‘ (Data Protection Working Party) ha scritto che, “vista l’ampia gamma di servizi offerti, e la popolarità di questi servizi, i cambiamenti nella vostra policy di privacy avranno effetti su molti cittadini della maggior parte o tutti gli Stati membri della Ue”. Per queste ragioni, Articolo 29 ha chiesto di “verificare in modo coordinato le possibili conseguenze per la protezione dei dati personali di questi cittadini “.

L’organismo Ue non ha specificato di quanto tempo avrà bisogno per portare a compimento la propria indagine, ma ha sottolineato che servirà a garantire l’assoluta trasparenza per gli utenti europei: “Chiediamo una pausa fino al completamento della nostra analisi, per assicurare che non ci siano equivoci sugli impegni di Google in merito ai diritti di informazione dei loro utenti e cittadini Ue”.

 

Il Commissario Ue alla Giustizia, Viviane Reding, ha definito la mossa di Articolo 29, un passo importante per affermare l’autorità della Ue sulla privacy online e la regolamentazione, ma Google è stato colto alla sprovvista da questa richiesta.

Il portavoce della compagnia, Al Verney, ha commentato: “Abbiamo costantemente informato la maggior parte dei membri del Working Party nelle settimane prima del nostro annuncio e nessuno di loro ha mai espresso sostanziali preoccupazioni”.

“Ma naturalmente – ha aggiunto il portavoce – saremo ben lieti di parlare con ogni Autorità di data protection che abbia domande da porci”.

 

La web company ha, tuttavia, ricordato che non è legalmente tenuta a osservare le richieste del Working Party e, benché abbia fatto sapere che cercherà di trovare una soluzione di compromesso con i regolatori europei come ha già fatto in passato, non è al momento disposta a far slittare l’entrata in vigore delle nuove norme perchè “generebbe confusione”.

In pratica, Google con la nuova policy ha messo insieme quelle che prima erano almeno 60 norme d’uso in una sola, destinata ad applicarsi a partire dal 1° marzo a quasi tutti i prodotti di Google, come i servizi di posta elettronica di Gmail o il social network Google+.

Stando alle nuove regole, la società potrà raggruppare le informazioni provenienti dai diversi servizi e disporre così di una visione globale dei propri utenti.

“Tutelare la vita privata è una cosa alla quale la nostra azienda pensa ogni istante e siamo aperti a qualsiasi confronto su questo argomento“, ha detto Pablo Chavez, responsabile delle public policy di Google.

Aggiungendo che queste nuove regole saranno “più semplici e comprensibili” rispetto a quelle attualmente in uso e permetteranno di condividere maggiormente informazioni tra prodotti di Google.

 

Anche il Congresso USA ha chiesto alla compagnia alcuni chiarimenti (Leggi Articolo Key4biz).

Lunedì due deputati americani, il repubblicano Mary Bono Mack e il democratico G.K. Butterfield, avevano fatto espressa richiesta di delucidazioni sulle nuove norme e in particolare su “le modalità con cui le informazioni personali degli utenti verranno raccolte, conservate e usate“. 

Chavez, per conto del CEO di Google, ha spiegato che “alcune cose fondamentali non cambieranno: i dati personali resteranno sempre privati, non modificheremo la visibilità delle informazioni a nostra disposizione”.  

Il manager ha anche ribadito che il gruppo non venderà a terzi i dati privati degli utenti: “Non venderemo mai le informazioni personali e non le condivideremo senza l’autorizzazione degli utenti stessi (tranne in rare circostanze quali richieste legali valide)”.

 

In campo è scesa anche Microsoft, che mercoledì è uscita con un’inserzione pubblicitaria sui principali quotidiani americani, Wall Street Journal, New York Times e USA Today, per lanciare la campagna “Putting people first” (le persone prima di tutto) con la quale denuncia la doppia morale di Google che, secondo Redmond, rende più difficile e non più semplice il controllo delle informazioni personali (Leggi Articolo Key4biz).

Ecco il passaggio principale del testo: “Google sta rendendo più difficile il controllo sui vostri dati personali. Perché sono così interessati nonostante il rischio di reazioni negative? Una ragione logica: ogni dato che raccolgono e connettono a voi, aumenta il valore che avete agli occhi di un inserzionista pubblicitario”.