Antitrust: prove schiaccianti contro Apple e Google. Cartello per sfavorire i dipendenti?

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Secondo i documenti in possesso del Dipartimento di Giustizia USA, 7 big dell’hi-tech si sarebbero accordati per ‘non portarsi via’ il personale qualificato.

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Giustizia

Giovedì 26 gennaio si aprirà a San Jose in California una causa civile per la class-action avviata contro sette società americane, accusate d’essersi accordate per limitare la concorrenza sul mercato del lavoro.

Nel mirino del Dipartimento di Giustizia USA sono finite Google, Apple, Pixar, Lucasfilm, Adobe, Intel e Intuit dopo un’indagine aperta nel 2010 che svelava l’intesa alle spalle dei propri lavoratori.

Le aziende si accordavano tra loro non solo a non portarsi via i dipendenti più qualificati, ma anche a informarsi se questi cercavano lavoro altrove, a non farsi la guerra delle offerte e a limitare la possibilità di negoziare al rialzo gli stipendi.

Una volta venuti alla luce i fatti, nel settembre del 2010 queste compagnie avevano firmato un accordo con il Dipartimento con il quale si impegnavano a cessare queste pratiche note come ‘no poach agreements‘, comprovate da massici scambi di email tra i vertici delle aziende implicate.

Tuttavia la storia è tornata nuovamente a galla quando nel maggio scorso  un ex ingegnere di Lucasfilm ha accusato i dirigenti dell’azienda di far ‘cartello’.

 

Non si tratta di una novità sul mercato hi-tech. Già nel 2005 Steve Jobs, allora dirigente di Pixar, aveva infatti concluso un accordo con Lucasfilm per fissare un tetto massimo ai compensi dei dipendenti qualificati.

 

Grande attesa quindi per l’udienza di giovedì quando i sette big dovranno confrontarsi con il documento del Dipartimento di Giustizia, che è stato reso pubblico solo adesso.

Gli imputati respingono l’accusa di ‘cospirazione’ ai danni dei dipendenti, sostenendo che si tratta semplicemente di accordi bilaterali.

I ricorrenti chiedono un risarcimento danni per ogni dipendente che abbia lavorato per una delle sette aziende coinvolte per almeno 4 anni.

Si attende adesso la pronuncia del giudice Koh che potrebbe avere grosse conseguenze economiche per gran parte della Silicon Valley.