Android: Google rafforza il suo arsenale con l’acquisto di altri 217 brevetti da IBM

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La società, intanto, ‘punisce’ il browser Chrome cancellandolo per 60 giorni dal motore di ricerca in seguito alla violazione, da parte di alcuni blogger, delle sue stesse regole sui link sponsorizzati.

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Google continua a costruire il suo arsenale per difendere Android dai patent troll e dalle accuse di violazione di copyright e brevetti mosse da rivali del calibro di Apple, Oracle e British Telecom. Come confermato dall’ufficio brevetti statunitense, la società di Mountain View, sul finire del 2011, ha acquistato da IBM altri brevetti (188 già registrati e 29 pendenti) dopo i mille già acquistati a settembre (Leggi articolo Key4biz).

 

Molti dei brevetti compresi in quest’ultima tornata hanno rilevanza ai fini delle attività di Google nel settore mobile. Tra questi, uno in particolare conferma che Google sta lavorando a un sistema di riconoscimento vocale simile a Siri proposto dal Apple. Altri brevetti riguardano poi l’advertising mobile, i contenuti multiscreen, i sistemi di instant messaging e di video-conferenza, i blade server, i servizi web, il data caching, la gestione del carico dei server, l’amministrazione della posta elettronica. Un brevetto descrive, quindi, un computer integrato in un telefono cordless.

 

I brevetti collegati ai database, in particolare, risultano importanti nella battaglia contro Oracle, che accusa Google di aver violato alcuni brevetti relativi alla tecnologia Java, che la società di Larry Ellison aveva acquistato nel 2010 in seguito all’acquisizione di Sun Microsystems.

 

Con questa acquisizione, nel carniere di Google dovrebbero esserci circa 20 mila brevetti.

Un numero rilevante ma necessario, vista l’escalation di cause legali intentate nei confronti dei produttori di dispositivi Android da Apple, ma anche da altri colossi come British Telecom, secondo cui il sistema operativo mobile usa sei dei suoi brevetti (Leggi articolo Key4biz).

 

Si apprende intanto che Google ha deciso di cancellare il sito del proprio browser Chrome dal motore di ricerca per 60 giorni.

Un’auto-punizione paradossale, epilogo di una controversia legata alla campagna promozionale del browser su diverse centinaia di blog americani.

Google aveva acquistato dei post sponsorizzati, che erano presentati dalla dicitura “questo post è sponsorizzato da Google Chrome” e, fin qui, niente di illegale. Salvo il fatto che alcuni blogger avrebbero inserito dei link verso il sito da cui scaricare Chrome. Collegamenti in molti casi sprovvisti del “nofollow” che, in alcune occasioni, sarebbe stato celato attraverso un codice JavaScript all’interno di un filmato. Una pratica, questa, che avrebbe violato le regole sui link sponsorizzati dello stesso motore di ricerca. Google, che ha affermato di non aver mai avallato una simile campagna promozionale, ha pertanto deciso di ‘penalizzare’ per due mesi la pagina del browser Chrome, che intanto finiva puntualmente nelle prime posizioni nelle ricerche relative a ‘browser’, ‘browser internet’ e così via.

 

Non è la prima volta, tra l’altro, che Google si auto-sanziona: era già successo nel 2009 alla divisione giapponese, per lo stesso motivo.