Spot e Tv: per la Corte di Giustizia Ue, pubblicità clandestina anche senza compenso

di Raffaella Natale |

Confermata quindi la multa da 25 mila euro all’emittente greca, che si era difesa asserendo di non aver ricevuto alcun pagamento.

Unione Europea


Corte di Giustizia dell'Unione Europea

L’assenza di compenso non può escludere il carattere intenzionale di una pubblicità clandestina. E’ quanto ha affermato la Corte di giustizia Ue, aggiungendo che considerare l’esistenza di un compenso come indispensabile per ritenere provata l’intenzionalità rischierebbe di compromettere la protezione degli interessi dei telespettatori.

La nota ha chiarito che, per garantire un’integrale e adeguata protezione degli interessi di questa categoria di consumatori, la Direttiva “Televisione senza frontiere”  sottopone la pubblicità televisiva a un certo numero di norme minime e di criteri.

Risulta quindi vietata la cosiddetta ‘pubblicità clandestina’, definita come la presentazione orale o visiva di beni, di servizi o altro in un programma, qualora tale presentazione sia fatta intenzionalmente dall’emittente per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura.

Si considera intenzionale una presentazione quando è fatta, in particolare, dietro compenso o altro pagamento.

 

La Corte si è espressa su richiesta del Consiglio di Stato greco (Symvoulio tis Epikrateias) in merito a una vicenda che riguarda l’emittente privata Alter Channel per un caso di pubblicità clandestina.

Nel 2003 l’autorità greca per la radioTv, ESR (Ethniko Symvoulio Radiotileorasis) ha inflitto una multa da 25 mila euro ad Alter Channel per una trasmissione nella quale veniva presentato un trattamento odontoiatrico estetico come una novità a livello mondiale e venivano anche fornite spiegazioni su efficacia e costi del trattamento.

Successivamente la società che possiede l’emittente, Eleftheri tileorasi, e il suo proprietario Giannikos, hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato per chiedere l’annullamento del provvedimento. Quest’ultimo ha quindi chiesto il parere della Corte Ue in merito all’interpretazione della Direttiva ‘Televisione senza frontiere’.

 

Si tratta di sapere se le norme Ue debbano essere interpretate nel senso che l’esistenza di un compenso o di altro pagamento costituisce un elemento necessario per poter ritener provato il carattere intenzionale di una pubblicità clandestina. 

Si sottolinea, anzitutto, che dalla lettura della disposizione rilevante della Direttiva emerge che la locuzione “in particolare”, contenuta in varie versioni linguistiche della stessa Direttiva, non figura nella versione greca.

 

Nella sua sentenza pronunciata oggi, la Corte ha precisato che, per applicare e interpretare in modo uniforme il diritto dell’Unione, il testo di una disposizione deve essere interpretato e applicato alla luce delle altre versioni linguistiche ufficiali. In caso di disparità nella traduzione, la disposizione deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte.

La Corte ha ricordato che la nozione di ‘pubblicità clandestina’ costituisce, rispetto a quella di ‘pubblicità televisiva’, una nozione autonoma che risponde a criteri specifici. La sua peculiarità consiste nell’essere “fatta intenzionalmente dall’emittente per perseguire scopi pubblicitari”.

Sebbene l’esistenza di un compenso o di un altro pagamento costituisca un criterio che consente di ritenere provato lo scopo pubblicitario, dalla formulazione data dalla Direttiva, nonché dal sistema generale e dalla finalità di quest’ultima, emerge che uno scopo del genere non può essere escluso in mancanza di un siffatto compenso. In altri termini, la mancanza di un compenso non può escludere l’esistenza di una pubblicità clandestina. 

 

Inoltre, tenuto conto della difficoltà, o addirittura dell’impossibilità, in taluni casi, di dimostrare l’esistenza di un compenso o di un altro pagamento con riferimento ad una pubblicità televisiva che presenti peraltro tutte le caratteristiche di una pubblicità clandestina, il fatto di considerare indispensabile l’esistenza di un compenso rischierebbe di compromettere la protezione degli interessi dei telespettatori e potrebbe privare di effetto utile il divieto di pubblicità clandestina.