Twitter non è in vendita: respinta l’offerta di Facebook e Google. In ballo 10 mld di dollari

di Flavio Fabbri |

Stati Uniti


Biz Stone

Si è trattato solo di colloqui informali, al più di timidi scambi di informazioni, quelli avuti con Google e Facebook, perchè Twitter ha precisato che non intende vendere e alle proposte allettanti dei mercati finanziari ha preferito l’indipendenza.

Fin da stammattina, infatti, il Wall Street Journal riportava le voci di esperti e di addetti ai lavori, molto vicini ai colloqui in corso, che parlavano di incontri di carattere ufficioso tra dirigenti delle tre Internet company per una possibile messa sul mercato di Twitter: “Valutata tra gli 8 e i 10 miliardi di dollari“.

La piattaforma di microblogging più popolare al mondo, con quasi 160 milioni di utenti, fa certamente gola al mercato. Ha raccolto, solo a dicembre 2010, oltre 200 milioni di dollari di finanziamenti, per un valore di mercato indicativo di 3,7 miliardi di dollari.

Twitter inoltre, secondo un Rapporto eMarketer, ha generato lo scorso anno ricavi pubblicitari pari a 45 milioni di dollari e per quest’anno se ne attendono almeno il triplo, circa 150 milioni. Per fare un paragone, nel 2010, Google ha fatturato 30 miliardi di dollari in advertising e Facebook quasi 2 miliardi.

Forse era una cifra troppo grande, quella di cui ha scritto il WSJ, secondo molti frutto anche di giochi di mercato, che però impallidisce se messa a confronto con quanto si legge nel cuore dell’articolo: “Circolano voci molto insistenti di cifre ben più alte. A San Francisco pensano di poter spingere la trattativa anche fino a 100 miliardi“. Quindi un numero stratosferico, forse motivo della rottura delle trattative, superiore addirittura a Facebook (valutato fino a 50 miliardi di dollari) e per questo, in fondo, anche poco credibile.

Il mercato delle cosiddette Dot-com, nato nell’ecosistema Internet e dedicato alle grandi compagnie che vi lavorano, a volte si regola su dei parametri difficilmente comprensibili e troppo spesso scopre il fianco a complesse operazioni di speculazione finanziaria. La bolla del 2001 sembra un ricordo lontano, ma in tempi di crisi finanziaria come questi è facile il ripresentarsi di determinati schemi, anche alla luce di una mancanza di regole chiare e di meccanismi di controllo efficienti.