Scommesse online: il diritto comunitario ammette restrizioni per operatori privati ma spetta agli stati membri stabilirle  

di Antonietta Bruno |

Europa


Corte-Europea

“Gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito. Le restrizioni che essi impongono devono però soddisfare le condizioni di proporzionalità che risultano dalla giurisprudenza della Corte”.

 

In questi termini si esprime la Corte di giustizia dell’Unione europea intervenuta nella sentenza dei due distinti procedimenti penali a carico di Otto Sjoberg e Anders Gerdin, redattore capo ed editore responsabile rispettivamente, dei giornali svedesi Expressen e Aftonbladet e che tra il novembre del 2003 e l’agosto del 2004 avevano pubblicato messaggi promozionali per giochi d’azzardo proposti sui siti Internet delle società Expekt, Unibet, Ladbrokes e Centrebet, stabilite a Malta e nel Regno Unito.

Per tali fatti, qualificati in seguito come reati dalla legge svedese sui giochi d’azzardo, i due erano stati condannati in primo grado al pagamento di un’ammenda di 50.000 SEK (pari a circa 5.200 euro). Pena prevista in questi casi, dalla normativa svedese sui giochi d’azzardo che vieta e sanziona la promozione di giochi ritenuti illegali organizzati all’estero.

 

Lo Svea hovrätt, ossia la Corte d’appello di Stoccolma che deve pronunciarsi sui ricorsi d’appello proposti dai due imputati, si è chiesta però se le disposizioni di legge sulle quali sono state inflitte le condanne, siano o meno conformi al diritto comunitario.

Una domanda legittima alla quale la Corte Ue ha risposto ricordando, innanzitutto, che “il diritto comunitario impone di eliminare qualsiasi restrizione alla libera prestazione dei servizi, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi”.

 

La Corte UE, nello specifico,  constata che “la normativa svedese, che ha l’effetto di vietare la promozione in Svezia tanto dei giochi d’azzardo organizzati lecitamente in altri Stati membri quanto di quelli organizzati senza autorizzazione in Svezia, finisce col restringere la partecipazione a tali giochi da parte del pubblico svedese”.

“Tuttavia – si legge ancora nel provvedimento giurisdizionale – il diritto comunitario ammette restrizioni giustificate, segnatamente, da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. In assenza di armonizzazione all’interno dell’Unione in materia di giochi d’azzardo, spetta ad ogni singolo Stato membro valutare, in tale settore, alla luce della propria scala di valori, come tutelare gli interessi in questione. Gli Stati membri sono conseguentemente liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito. Le restrizioni che essi impongono devono, però, soddisfare le condizioni di proporzionalità che risultano dalla giurisprudenza della Corte. Occorre esaminare, in particolare, se la normativa svedese sia idonea a garantire il conseguimento di uno o più obiettivi legittimi perseguiti da detto Stato membro e se non vada oltre quanto necessario per il loro raggiungimento”.

 

Durante la stessa seduta, il giudice del rinvio ha inoltre rilevato come sia pacifico che l’esclusione degli interessi lucrativi privati dal settore dei giochi d’azzardo, costituisca un principio fondamentale della normativa svedese in materia. “Tali attività sono riservate in Svezia ad organismi che perseguono obiettivi di pubblica utilità – ha detto – o di interesse generale e le autorizzazioni per la gestione dei giochi d’azzardo sono state concesse esclusivamente ad enti pubblici o caritativi”.

 

La Corte insomma, al riguardo contesta che considerazioni di ordine culturale, morale o religioso possano giustificare restrizioni alla libera prestazione dei servizi da parte di operatori privati di giochi d’azzardo, in particolare perché potrebbe essere ritenuto inaccettabile permettere che un privato tragga un vantaggio dalla gestione di una piaga sociale o dalla debolezza dei giocatori e dalla loro sfortuna. Secondo la scala di valori propria a ciascuno degli Stati membri, e tenuto conto del potere discrezionale di cui questi godono, uno Stato membro può, dunque, limitare lo sfruttamento del gioco d’azzardo riservandolo ad enti pubblici o caritativi.

Poiché gli operatori che avevano fatto pubblicare gli annunci incriminati sono imprese private a scopo di lucro, le quali non avrebbero mai potuto beneficiare, per la legge svedese, di un’autorizzazione alla gestione di giochi d’azzardo, la Corte conclude che la normativa svedese risponde all’obiettivo di escludere interessi lucrativi privati dal settore dei giochi d’azzardo e può essere considerata necessaria al suo raggiungimento.