Murdoch vs Google: Fieg, ‘La nostra preoccupazione è che la capacità di creare contenuti si impoverisca fino a svanire. Servono regole’

di Raffaella Natale |

Per il massmediologo De Kerckhove la strategia di Murdoch è “debole”.

Italia


Rupert Murdoch

Anche gli editori italiani intervengono sulla querelle tra Rupert Murdoch e Google per sottolineare che non c’è nessuna guerra con motori di ricerca attivi su internet come ‘Google News’, ma la preoccupazione che la produzione di contenuti, e quindi di ricchezza, possa essere svilita senza la fissazione di regole.

 

Nei giorni scorsi infatti il tycoon ha usato parole molto dure nei confronti della società di Mountain View, definendo “cleptomani” i suoi fondatori. Murdoch è arrivato a ipotizzare l’intenzione di proibire agli aggregatori di notizie l’accesso gratuito completo alle notizie dei giornali del gruppo

Da Google è arrivata prontamente la replica: “I giornali di Murdoch possono uscire da Google News in qualsiasi momento. Basta chiederlo”.

 

Carlo Malinconico, presidente della Fieg, ha ricordato ad Adnkronos come la federazione “si è mossa anche con un esposto all’Antitrust per la tutela dei contenuti editoriali”. Contenuti “che rappresentano – ha precisato – una ricchezza creata dalle aziende con investimenti e creazione di posti di lavoro”.

Nel corso del suo intervento alla cerimonia di consegna dei premi intitolati alla memoria di Giovanni Giovannini, Malinconico sottolinea che da parte degli editori italiani “non c’è nessuna avversione nei confronti di internet né di Google o di altri aggregatori di notizie” sul web.

 

“Le nostre preoccupazioni sono che la produzione di ricchezza, una produzione che costa, vada svilita dal fatto che in rete attraverso motori di ricerca vi sia la possibilità di accedere in modo rapido, con dei link, a degli articoli e il rischio che alla fine la capacità di creare contenuti editoriali si impoverisca fino a svanire”. Insomma non c’è nessun fatto “vetero-nostalgico” sulla necessità che il lettore vada in edicola a comprare il giornale: “la preoccupazione è che esistono motori di ricerca per cui non c’è nessuna regola“.

 

Insomma, quello che non si può ammettere “è la mancanza di regole. Chi è che stabilisce – è il quesito posto dal presidente della Fieg – quanta parte di un articolo è giusto richiamare nel link ed è possibile una commissione di interesse tra chi fa la selezione delle notizie e chi si occupa di pubblicità?”.

E la stessa posizione assunta da Google che ha ricordato come un editore possa chiedere di uscire con i propri contenuti dal motore di ricerca indica “che le regole le fa il motore di ricerca stesso – ha proseguito Malinconico – e detta le regole anche per l’accesso”.

Non c’è dunque, ha ribadito, “nessuna guerra, ma la necessità di vedere dove stanno le risorse e fare in modo che su di esse ci sia equilibrio in modo che vadano a ripagare gli investimenti” fatti dalle aziende.

 

Insomma chi vincerà la sfida tra Google e Murdoch?

 

Per il massmediologo Derrick De Kerckhove, “la strategia di Murdoch non è intelligente” e ha spiegato che “rinunciare a lanciare i suoi contenuti attraverso Google, come ha preannunciato potrebbe costare molto a Murdoch. Questo, a meno che, lui stesso voglia lanciare una sua nuova piattaforma. Una prospettiva della quale non si è parlato fino ad oggi”.

 

Secondo lo studioso, Google rimane “un gigante. Con lui si dovrà sempre fare i conti, poiché ha una capacità praticamente illimitata di alimentare e indirizzare il traffico su Internet. Se poi si guarda lo scenario dal punto di vista della stampa, Facebook e Twitter possono essere interlocutori più utili. Per esempio oggi è sempre più facile cercare informazioni attraverso Twitter su Google”. Secondo De Kerckove, resta il fatto che è sempre Murdoch che sta muovendo le sue pedine. E resta il fatto che visto che gli altri editori sono divisi, tra chi vuole arginare lo strapotere del gruppo di Mountain View e chi non vuole rischiare di rompere con il maggiore produttore di traffico su Internet.

 

Sicuramente un dato è certo: oggi il settore dell’editoria, dal punto di vista economico, non attraversa un buon periodo e deve fare i conti con il calo della pubblicità e anche dei lettori.

“La situazione è pesante – ha detto il presidente della Fieg – ci preoccupa l’andamento della pubblicità, perché è in caduta vertiginosa, in media del -30% rispetto al 2008 e in alcuni casi anche di più. Consideriamo il 2009 l ‘anno zero speriamo che il 2010 non peggiori”. Secondo Malinconico, “il panorama è preoccupante ma è anche vero che c’è passione e volontà di andare avanti. Stiamo facendo previsioni a situazione costante, mi auguro che l’economia riparta, quindi, riparta anche la pubblicità perché è la prima voce ad essere tagliata dalle imprese in crisi”.

 

Per il 2010, ha sottolineato il presidente della Fieg, non c’è “ancora alcun bilancio di previsione, attendiamo gli esiti dei gruppi editoriali. Non ci facciamo illusioni. Un risultato buono sarebbe non perdere ancora. Considerando il 2009 l ‘anno zero speriamo di non andare sotto zero e che il 2010 sia meno nero del 2009″.

 

Per arginare la crisi, il New York Times ha trovato un’interessante soluzione: pubblicare articoli pagati dai lettori.

Il quotidiano americano ha ‘ospitato’ un articolo sull’accumulo dei rifiuti nell’Oceano Pacifico, nella sua sezione Scienza, avviando un nuovo esperimento di politica editoriale. Un’operazione, quella del New York Times, alla luce del sole. L’articolo del giornalista, ovviamente freelance, si concludeva così: “I costi del viaggio sono stati sostenuti dai lettori di spot.us, un’organizzazione no-profit che appoggia il giornalismo indipendente“.

 

Il sistema è semplice.

 

Strutture come spot.us, ma negli Usa ce ne sono molte altre, organizzano sul web la raccolta dei fondi, una sorta di colletta scaricabile dal fisco, in grado di permettere ai giornalisti di poter scrivere e investigare sui temi più diversi, spesso trascurati dai media tradizionali. L’articolo in questione è costato ai naviganti 6000 dollari. Tra loro il fondatore di Craiglist, un notissimo sito dove si può vendere e comprare di tutto, rigorosamente di seconda mano, e Jimmy Wales, padre di Wikipedia.

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