Direttiva Tv senza Frontiere: davanti alla convergenza, come le tlc si potranno considerare separatamente dalla radiodiffusione Tv?

di di Roberto Barzanti (Docente di Istituzioni e politiche audiovisive nella Ue - Università di Siena) |

Italia


Roberto Barzanti

 
Il discorso tenuto il 10 ottobre a Roma, in sede di audizione parlamentare, da Viviane Reding offre l’occasione per proseguire e approfondire un discorso avviato da tempo e non destinato a concludersi con formule rigide e schematiche. La vicenda della regolamentazione europea, in ogni suo aspetto, è una vicenda aperta e spesso vale per gli impulsi che immette nei vari contesti nazionali più che per le soluzioni formalmente adottate.

 

Se già per l’inizio 2007 si pensa di presentare una revisione organica del quadro regolamentare sulle telecomunicazioni, che ha appena cinque anni, vuol dire che il metodo della verifica continua, con gli inconvenienti e i vantaggi che può determinare, sta prevalendo. Tra i punti toccati dalla Reding non è inutile riflettere su quelli che potranno avare conseguenze rilevanti per lo svolgimento delle attività radiotelevisive. Ma una questione è riemersa ancora e merita un commento. La commissaria lussemburghese sta facendo una vera e propria campagna per l’istituzione di un’Autorità europea nel campo delle telecomunicazioni, riprendendo uno spunto che già era contenuto nel Rapporto Bangemann e variamente rilanciato.

La necessità di superare la dimensione del coordinamento, ora svolto dall’ERG, il gruppo che riunisce rappresentanti delle Autorità nazionali, è indubbia. Ma – se ci sarà accordo nel costituirla – si dovrà fare molta attenzione. Anzitutto dovrebbe essergli assicurata una reale indipendenza dalla stessa Commissione europea e dovrebbe avere una missione ben circostanziata.

 

È da presupporre che il corpus di regole del quale controllare l’applicazione e da avere a riferimento per eventuali raccomandazioni o sanzioni non potrebbe non essere l’insieme delle norme sovranazionali vigente.

Ma, stante la convergenza sempre più avvertibile, in che misura le telecomunicazioni si potranno considerare del tutto separatamente dalla radiodiffusione televisiva o dai problemi che generalmente discendono dalla fornitura dei servizi e si riflettono di necessità sulla stessa possibilità di accesso ai contenuti? Insomma l’Autorità europea, se si farà, non potrà guardare solo agli aspetti economici e di compatibilità tecnologica investiti da un crescente processo di liberalizzazione. Il collegamento – entro certi limiti – con i criteri adottati in sede di antitrust è evidente e i temi del pluralismo o della tutela della diversità, come oggi si preferisce dire, non potranno essere ignorati. Non a caso nell’audizione romana la Reding ha concluso il suo intervento parlando della revisione della direttiva “Televisione senza frontiere“, precisando l’estensione del nuovo ambito per il quale si vuol renderla applicabile: non più ai soli servizi lineari, ma anche a quelli non-lineari, dunque fruibili su richiesta individuale. Si è precisato che, comunque, si tratta di servizi riconducibili ad una responsabilità editoriale, e che sostanzialmente siano “di tipo televisivo”.

  

Questa non è una restrizione dei propositi iniziali, ma un chiarimento doveroso e realistico. Rimane il fatto che nell’intervento della commissaria non si fa cenno ad uno dei nodi cruciali del testo in gestazione. Il quale, nella proposta dell’esecutivo brussellese, prevedeva – all’art. 3 septies – che “gli Stati membri assicurano che i fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione promuovono, ove possibile e con i mezzi adeguati, la produzione di opere europee e l’accesso alle stesse“. Della direttiva da rinnovare questo è il punto centrale, il più controverso e attaccato.

  

Si riuscirà a difenderlo e migliorarlo rendendolo più incisivo?

Se ai fornitori di servizi sarà possibile imporre obblighi di sostegno alla produzione cinematografica e audiovisiva si farà un bel passo avanti. Se tutto si ridurrà ad aumentare la quantità di pubblicità ammissibile in forme più o meno occulte e subdole, non si potrà dire di aver migliorato le cose né dal punto di vista della competitività né da quello del pluralismo. È sintomatico che la parte finale del testo Reding sia tutta dedicata alla “comunicazione commerciale” sia per dimostrare che comunque non si devono superare i dodici minuti ogni ora – il che non è vero già sulla base delle disposizioni attuali e soprattutto nella loro lassistica applicazione – o che si devono tenere indenni dalla pubblicità certi programmi, tra i quali i telegiornali. Se la volontà dell’Unione europea è davvero quella – ribadita solennemente – di concorrere, anche con la direttiva varata nel 1989, all'”attuazione armonizzata del diritto fondamentale della libertà di espressione“, l’enfasi smodata accordata alla babele dei messaggi pubblicitari né è la più palese smentita.

 

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