‘Abbiamo fatto la cosa giusta’. Google difende la decisione di censurare il sito cinese

di Alessandra Talarico |

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“Non è stato facile, ma penso che abbiamo fatto la cosa giusta”,così Sergey Brin, co-fondatore di Google, ha tentato di difendere la controversa autocensura decisa dal Gruppo per soddisfare le richieste del governo cinese.

 

Google era considerato, fino a ieri, l’ultimo baluardo della difesa dei diritti degli internauti, dopo la sua strenua opposizione alle richieste del governo americano di fornire i dati relativi ai clienti assidui dei siti pedopornografici.

 

La decisione di creare una nuova versione del sito cinese, che non dà la possibilità di accedere alla ricerca video e audio, ai blog, ai forum e alla posta elettronica, né tanto meno ai termini sgraditi al governo, ha scatenato però mille polemiche, sull’onda della delusione per quello che è stato considerato un vero e proprio tradimento da parte di un’azienda il cui motto è – ironicamente – ‘don’t be evil‘.

 

Google sembrava essere l’unica società a non volersi piegare alle censure imposte dalle autorità di Pechino, che considerano Internet strumento fomentatore di ribellione e dissenso e bloccano l’accesso ai contenuti attraverso quella sorta di Grande Muraglia digitale conosciuto come “great firewall”.

 

Intervistato nel corso del World Economic Forum di Davos, Sergey Brin, ha spiegato che la decisione è stata difficile e per molti versi anche sconfortante, ma resa più serena dai colloqui avuti con le tante associazioni che in Cina si battono per il rispetto dei diritti umani.

 

“Essenzialmente – ha spiegato Brin alla CNN- il Great Firewall è abbastanza sofisticato da bloccare tutte le connessioni basate su richieste ‘sensibili’. Di conseguenza Google non era accessibile alla metà degli utenti.”

Bisogna poi considerare, ha aggiunto, “che molte università non possono permettersi la banda larga e molti studenti, per usare Google sono costretti a pagare un sacco, anche 25 centesimi a megabyte…un prezzo inaccessibile anche per gli standard americani”.

 

Brin ha spiegato poi che anche negli Usa e in alcuni Paesi europei succedono simili cose.

Negli Usa, ad esempio, vengono bloccati i siti pedopornografici o le richieste di accesso a materiali protetti da copyright, in base al Digital Millennium Copyright Act; in Francia e Germania ci sono limitazioni all’accesso ai siti che incitano al nazismo. In questi paesi, in fondo alla pagina dei risultati, compare la dicitura “Local regulations prevent us from showing all the results”, e così avverrà anche in Cina.

 

Questo con la convinzione che “è meglio rendere i nostri servizi più accessibili anche se non al 100% come ci piacerebbe, perché alla fine gli utenti cinesi avranno più informazione, anche se non proprio tutta”.

“La gente ci criticherà”, ha concluso Brin, “ed un punto di vista perfettamente valido”.

 

Non suona proprio consolatorio, per tutti quegli internauti cinesi che devono aver paura di effettuare una ricerca basata su termini quali ‘democrazia’ o ‘diritti umani’ per non rischiare il carcere con l’accusa di incitamento alla sovversione.

Anche perché a scomparire dall’elenco dei servizi non saranno solo i file audio e video, ma anche la posta elettronica e i blog, cosa che nessun governo europeo sognerebbe mai di censurare.

Almeno per ora, Google.cn offrirà solo 4 dei suoi servizi core: ricerca web e immagini, Google news e ricerca locale.

 

Il mercato Internet cinese, secondo al mondo per numero di utenti e con una penetrazione ancora molto bassa rispetto alla popolazione, è troppo appetibile e non sottostare ai dettami di Pechino vorrebbe dire abbandonarlo alla concorrenza.

 

Ma, come dire, il passo è molto breve tra la censura di qualche parola e la richiesta da parte delle Autorità dei nomi di chi le ha digitate.

 

Come ha spiegato anche il direttore di Human Rights Watch, Ken Roth, questo dilemma però riguarda tutte le web company che lavorano in Cina e ci sarebbe bisogno che tutti i motori di ricerca si riunissero per stabilire “nessuno di noi lo farà”, perché, ora più che mai, il paese ha bisogno dei motori di ricerca.

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