analisi

Ucraina, 6 mesi di guerra. Un conflitto per l’energia

di Giampiero Gramaglia, giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, presidente uscente di Infocivica |

L’approvvigionamento energetico al centro di un conflitto destinato a persistere ancora a lungo.

È ormai divenuta una guerra dell’energia (e per l’energia): delle vite perdute, sembra che ormai importi solo a Papa Francesco. Ucraini e russi imbastiscono l’ultimo intreccio di false notizie accusandosi a vicenda dei rischi di una catastrofe nucleare a Zaporizhzhia, l’impianto atomico più grande d’Europa, occupato dai russi all’inizio del conflitto e trasformato in una base (per questo, è sotto tiro ucraino). Una missione dell’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, è imminente.

L’Unione europea s’interroga su sé e come razionare il gas; Mosca invece lo brucia; mentre il prezzo del metano sul listino di Amsterdam tocca quote record un giorno dopo l’altro. Le preoccupazioni per l’autunno aumentano in Italia come nel resto dell’Europa, ma in Italia i timori sono ingigantiti con toni parossistici dalla campagna elettorale. Il premier ceco Petr Fiala, in questo semestre presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, indice una riunione dei ministri dell’Energia dei 27 a metà settembre: si discuterà di un tetto al prezzo del gas e dei rapporti con la Russia nel loro insieme; ma non è detto che in due settimane maturino decisioni.

Mosca, che taglia le forniture ai Paesi europei, magari adducendo di volta in volta scuse tecniche, starebbe bruciando grandi quantità di gas in un impianto collegato al gasdotto Nord Stream. La BBC è stata la prima a pubblicare immagini che mostrano le fiamme levarsi sopra la struttura al confine con la Finlandia, sul Mare Artico. Secondo gli esperti, Mosca è costretta a sprecare il metano che non esporta verso l’Europa perché non ha le infrastrutture per spedirlo altrove: l’alternativa sarebbe fermare l’estrazione.

Combattimenti, bombardamenti, energia. L’unico fronte ucraino non aperto è quello del negoziato, malgrado le speranze create dalla pace del grano sancita il 22 luglio 2022 dall’accordo siglato a Istanbul da Russia e Ucraina, con la mediazione e l’avallo di Turchia e Onu. L’intesa, che funziona – sono già decine le navi salpate dai porti ucraini con carichi di cereali -, non è stato foriera di progressi nelle trattative per un cessate-il-fuoco, che semplicemente non ci sono. Né c’è molto da sperare nella diplomazia vaticana: gli ucraini non hanno gradito la preghiera del Papa per Darya Dugina, figlia dell’ideologo del nazionalismo russo Aleksander Dugin, uccisa in un attentato la cui matrice non è chiara la notte tra il 20 e 21 agosto; e l’incontro tra Francesco e Kiril, il patriarca russo, previsto a settembre in Kazakhstan, non ci sarà (Kiril diserterà l’evento).

In Occidente, i fermenti di pace sono sporadici. In Italia, la guerra diventa un’opportunità da usare per farsi campagna elettorale: è il caso della visita a Kiev del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. L’ala pacifista dei socialdemocratici tedeschi chiede di avviare trattative e di fare tacere le armi, ma il cancelliere Olaf Scholz non deflette dalla solidarietà occidentale. Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato Usa, l’artefice della ‘diplomazia del ping-pong’ e del dialogo tra Usa e Cina, scrive commenti e dà interviste prospettando una via negoziale che eviti possibili escalation. Ma il guru della politica estera degli Stati Uniti, che ha 99 anni, non trova ascolto.

Guerra al sesto mese, più rischi di recrudescenza che speranze di pace


Giunta al mese sesto, la guerra in Ucraina è forse a una svolta: ma verso l’inasprimento del conflitto, non verso la pace. L’attentato che è costato la vita alla Dugina potrebbe innescare una recrudescenza dell’invasione. Mosca accusa una cittadina ucraina ritenuta parte del battaglione Azov e assoldata dai servizi; l’intelligence occidentale ha dubbi ed è cauta; Kiev nega e addossa la responsabilità dell’assassinio al Cremlino, che lo vorrebbe usare per giustificare una mobilitazione generale.

Con un decreto, il presidente russo Vladimir Putin ha aumentato gli effettivi delle forze armate, portandoli da 1.1013.628 a 1.150.628, 137 mila unità, oltre il 12 per cento. Invariato invece il numero dei civili che lavorano per le forze armate, 889.130. La misura, però, non ha effetto immediato: entrerà in vigore il primo gennaio 2023.

Nel giorno della Festa dell’Indipendenza dell’Ucraina, il 24 agosto, il ministro della difesa ucraino Oleksiy Reznikov ha detto alla Cnn: “Siamo vicini a una nuova fase” della guerra, iniziata all’alba del 24 febbraio, quando Putin annunciò l’avvio “dell’operazione militare speciale” in Ucraina, cioè dell’aggressione del Paese. L’esercito russo passava i confini e i missili cominciavano a colpire Kiev e decine di altre città: quasi 200 giorni dopo, bombe e missili continuano a cadere, uomini e donne e bambini, militari e civili, continuano a morire.

Sei mesi dopo, gli Stati Uniti hanno invitato i loro cittadini a lasciare l’Ucraina “immediatamente”, perché i russi stavano per intensificare i loro attacchi su obiettivi civili ed edifici governativi. C’è una sorta di esodo da Kiev: la gente scappa, ha paura che gli attacchi russi si moltiplichino: fuochi d’artificio tragici per la Festa dell’Indipendenza e segnale di recrudescenza dell’invasione. Ci sono aree in cui ogni forma di assembramento è stata proibita.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky afferma che 

“E’ necessario ottenere la vittoria nella lotta contro l’aggressione russa… È necessario liberare la Crimea… Questo segnerà il ritorno del diritto e dell’ordine mondiale… “. 

Gli fanno eco i leader occidentali: Scholz, Macron, Draghi, von der Leyen dicono all’unisono che “l’annessione imperialista della Crimea da parte della Russia – nel 2014, ndr – non sarà mai accettata”.

Le fasi di una guerra d’aggressione

Scene e proclami che ci riportano a inizio conflitto: sei mesi sono passati dall’invasione, ma le cose, diplomaticamente parlando, sono al punto di partenza. Anzi peggio: perché per un mese ci fu la percezione dell’urgenza di giungere a un cessate-il-fuoco, che creasse uno spazio negoziale e risparmiasse vite umane, decine di migliaia di vite andate perdute nella guerra – decine di migliaia di militari su entrambi i fronti e anche migliaia di civili -.

Poi, alla fine di marzo, l’Occidente accettò la prospettiva di una guerra lunga, da cui la Russia deve uscire non retribuita in alcun modo per la sua aggressione, ma indebolita e fiaccata dalle sanzioni.

“L’inverno si avvicina e sarà duro, ci troviamo davanti a una guerra di attrito, le cui chiavi saranno la forza di volontà e la logistica: dobbiamo sostenere l’Ucraina perché un’Ucraina forte e sovrana è garanzia di sicurezza”, 

ha ieri ribadito il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, parlando alla conferenza per la Crimea. Il presidente russo Vladimir Putin

“pensava di poter abbattere l’Ucraina e le sue forze armate e di dividere la comunità internazionale, ma si sbagliava. L’Ucraina ha patito sei mesi di dura guerra, ma ha resistito all’aggressione, ha riconquistato territori e imposto seri costi alla Russia”.

Dall’invasione iniziale a tutto campo – fallita -, Mosca è passata a un’azione localizzata nel sud-est del Paese, in particolare nel Donbass e per creare continuità territoriale tra il Donbass e la Crimea. Ma l’avanzata russa non è mai stata travolgente e la resistenza ucraina sempre accanita. Da mesi, c’è sostanzialmente uno stallo sul terreno, nonostante Mosca abbia consolidato il controllo sul Lugansk e –meno– sul Donetsk.

Da settimane, l’attenzione è tutta sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia: russi e ucraini s’accusano a vicenda di mettere a repentaglio la sicurezza dell’impianto.

Negli ultimi giorni, le forze armate di Kiev sono però riuscite a colpire il territorio russo più volte e, in particolare, la Crimea.

Le analisi dell’Occidente

La guerra ha dominato a lungo l’informazione internazionale e ha interrotto alcune catene dell’approvvigionamento mondiale, almeno fino alla pace del grano siglata il 22 luglio, che ha almeno consentito la ripresa dell’export di cereali dall’Ucraina. L’Occidente in senso lato, Nato e Unione Europea, ma pure Giappone e Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, hanno trovato un’unità di parole e di azioni per molti versi sorprendente, considerata la differenza d’interessi in gioco, in quello che molti giudicano “un punto di svolta nella Storia” – parole del cancelliere tedesco Olaf Scholz -.

A parlare di pace, e a tentare mediazioni, sono rimasti Papa Francesco, che rinnova gli appelli, inascoltati dalle stesse Chiese ortodosse russa e ucraina, e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che è almeno riuscito a concludere, con l’avallo dell’Onu, la pace del grano, che consente, da oltre un mese, l’export di cereali dall’Ucraina.

La dimensione morale di questo conflitto, con un Paese che invade e un altro che si difende, ha prevalso sulle riserve di quanti, specie in Europa, pensavano, e tuttora pensano, che bisognava evitare il conflitto mostrandosi meno tetragoni alle preoccupazioni di sicurezza della Russia.

Jeremy Cliffe, su The New Stateman’s, scrive che andiamo verso “qualcosa di nuovo” nelle relazioni internazionali, i cui contorni sono però “ancora nebbiosi”. 

A rendere maggiore l’incertezza, c’è l’ostinazione degli Usa a mantenere alta la tensione con la Cina su Taiwan: delusa, forse, dall’indisponibilità di Pechino a mediare nel conflitto o, almeno, a moderare Mosca, Washington alimenta le frizioni nel Pacifico.

La nebbia della guerra – scrive il Washington Post – grava anche sull’Ucraina”, dove, al di là dei fronti di battaglia e dei bombardamenti su decine di città, “è in atto uno scontro di ideologie e di visioni della storia”. “Rifiutando di piegarsi alle ambizioni neo-imperialiste” di Putin, “gli ucraini si vedono come la prima linea di una guerra globale fra democrazia e autocrazia”, anche se la loro democrazia non era (e non è) perfetta e se le democrazie non si peritano di arruolare come alleati dittatori senza rispetto per i diritti umani e despoti giunti al potere rovesciando presidente legittimamente eletti.

“Questa visione – prosegue il Washington Post – è condivisa dall’Occidente, dallo stesso presidente Joe Biden”, per cui l’Ucraina sta conducendo “una grande battaglia tra libertà e repressione, tra un ordine basato sulla legge e uno basato sulla forza bruta”. 

Il che non impedisce poi a Biden di negoziare con Putin, su un tavolo alternativo, la liberazione della cestista Usa Brittney Griner, e di un altro cittadino Usa, Paul Whelan, in cambio di un mercante d’ami russo, Viktor Bout.

Putin vede le cose in altro modo: l’Ucraina è una pedina dell’Occidente e l’invasione è un riscatto “dalla tragedia della dissoluzione dell’Urss”, che “sconvolse l’equilibrio di forze nel Mondo”.