Scenari

Democrazia Futura. Italia del futuro: istruzioni per l’uso

di Bruno Somavico, Direttore editoriale di Democrazia futura |

Il Bel Paese di fronte ai primi passi falsi del primo governo di destra della storia repubblica.

Bruno Somalvico

A chiusura del settimo fascicolo di Democrazia futura, Bruno Somalvico, nella sua veste di Direttore editoriale della rivista, nel suo editoriale “Italia futura: istruzioni per l’uso”, partendo dal quadro politico emerso il 25 settembre u.s., osserva come  “le elezioni per la XIX Legislatura potrebbero segnare malgrado tutto uno spartiacque e l’avvio di un processo Costituente teso a definire nuove regole a 75 anni dall’approvazione della nostra Costituzione” e ciò al fine soprattutto di realizzare davvero una democrazia dell’alternanza nel quadro di una nuova stagione dell’Italia repubblicana. 

_____________

L’editoriale del settimo fascicolo   

Nate da un colpo di mano di palazzo con l’incauto comportamento grillino che ha consentito al centrodestra di governo di scaricare Draghi molti mesi prima della scadenza naturale della legislatura, le elezioni politiche del 25 settembre 2022 sono passate molto plausibilmente alla storia come quelle da un lato con il record delle astensioni dall’altro come quelle con un risultato estremamente netto a favore della coalizione vincente di centrodestra unita e che ha beneficiato dell’effetto traino del Rosatellum, castigando un centrosinistra diviso in tre tronconi pur raccogliendo complessivamente un numero simile se non addirittura superiore di suffragi. Con questa situazione assolutamente anomala fra centrodestra e centrosinistra, il risultato finale sembrava sin dall’inizio scontato: massiccia vittoria della coalizione di centrodestra con al suo interno una grande affermazione di Fratelli d’Italia un ridimensionamento della Lega e una netta sconfitta della coalizione di centrosinistra soprattutto dopo la decisione di Carlo Calenda di correre separato dalla coalizione costruita intornio al Partito Democratico dando vita al Terzo Polo insieme a Matteo Renzi, e al sensibile ridimensionamento ma non certo la scomparsa del Movimento 5Stelle. E così è stato.

Queste elezioni – come avevamo preannunciato su queste colonne in piena campagna elettorale – sono state forse le più noiose della storia dell’Italia repubblicana essendo prive di autentici confronti diretti televisivi fra i leader delle principali forze politiche e/o delle coalizioni in nome dell’applicazione delle norme ingessate previste in televisione dalla par condicio risalenti a tre decenni fa, quando ormai i rischi di inquinamento della campagna elettorale passano quasi tutti attraverso i social network. La tendenza alla polarizzazione del voto ha riguardato solo la coalizione di centrodestra favorendo l’affermazione di Fratelli d’Italia e la nomina senza nessuna ombra di dubbio a Palazzo Chigi della sua leader Giorgia Meloni, la prima donna nella storia d’Italia a guidare il nostro Paese da Palazzo Chigi. La frammentazione in tre blocchi del centrosinistra non ha creato quel nuovo bipolarismo auspicato dal PD con la polarizzazione del voto fra due coalizioni tradizionali di centrodestra e di centro sinistra, ma ha penalizzato il PD che subisce un’erosione di voti da un lato a favore del Terzo Polo di Calenda e di Renzi, dall’altro assicurando un’insperata ripresa dei consensi ai pentastellati sotto la guida dell’ex premier Giuseppe Conte, che nonostante varie scissioni e migrazioni di suoi parlamentari riesce a mantenere un proprio peso oltre lo zoccolo duro dei propri militanti, e a insidiare il Partito Democratico sul suo fianco sinistro, soprattutto tra gli ex elettori del Partito Democratico di Sinistra (PDS) e prima ancora di quelli del Partito Comunista Italiano (PCI).

Con queste premesse, pur in assenza di programmi politici chiari, e soprattutto di quantificazioni dei costi delle misure annunciate dai leader della coalizione vincente, le elezioni per la XIX Legislatura potrebbero segnare malgrado tutto uno spartiacque e l’avvio di un processo Costituente teso a definire nuove regole a 75 anni dall’approvazione della nostra Costituzione. La coalizione di centrodestra, ma sarebbe meglio definirla fra il centro moderato – uscito piuttosto malconcio nonostante la sopravvivenza di Forza Italia – e le due destre radicali – l’una quella leghista anch’essa uscita malconcia in forte calo, l’altra quella nazional sovranista di Fratelli d’Italia uscita invece come la grande vincitrice di questo turno elettorale e con il vento in poppa che spinge i Fratelli d’Italia verso la costruzione forse di quel Partito della Nazione a vocazione maggioritaria al quale aspirava Renzi quand’era a capo del Partito Democratico. 

Al momento in cui chiudiamo questo numero doppio, nato in questa primavera del 2022 con tutta l’attenzione puntata sulla guerra e sulla creazione di nuovo ordine mondiale bipolare, fra un Occidente sotto guida statunitense e un composito mondo Orientale intorno al quale la Cina cerca lentamente di esercitare la propria leadership, non necessariamente volendola interpretare nel senso di voler aggredire l’altro blocco, quanto di spingerlo progressivamente verso l’area del Pacifico continuando a garantire al gigante asiatico i benefici della globalizzazione, alcuni segnali sembrano spingere verso una soluzione se non di pace perlomeno di tregua nel conflitto nato in seguito all’occupazione russa dell’Ucraina. Una soluzione forse dovuta non tanto alla debolezza militare della Russia e alla capacità di resistenza dell’esercito ucraino grazie al supporto in armi dell’Occidente e in particolare dei cosiddetti Five Eyes, quanto  alla capacità dissuasiva che la Cina e la sua azione diplomatica potrebbe esercitare nei confronti della sua “alleata” Russia e direttamente su Vladimir Putin. In questo quadro la ribadita solidarietà Atlantica fra Europa continentale, Regno Unito e Stati Uniti, la rinascita della Nato e le nuove richieste di adesione di Finlandia e Svezia,  non sembrano altrettanto determinanti su piano politico e diplomatico.

Solo ora dopo l’affermazione alle elezioni di Medio Termine potrà forse  esplicarsi la diplomazia del Presidente statunitense Joe Biden, ma sarà certamente condizionata dall’impegno interno nella campagna elettorale per la sua riconferma con un secondo mandato nel 2024. Potrà contare sul suo fedele alleato britannico – indebolito dalle proprie vicende politiche interne – e su quella parte che rimane del Commonwealth rimasta saldamente nell’alveo delle democrazie occidentali, ma dovrà fare i conti con un’Europa altrettanto divisa al proprio interno. Il che potrebbe ulteriormente penalizzare l’Italia oltre che indebolirla.

L’Unione europea – apparsa compatta nella fase iniziale del conflitto nel sostenere – in primis la Polonia – la sorella Ucraina, ingiustamente aggredita da una Russia che torna ad apparire come il nemico ai tempi della guerra fredda e della cortina di ferro – sembra oggi fortemente divisa non solo sulle prospettive di sviluppo di una politica europea comune in materia di difesa a 70 anni dal fallimento della Comunità Europea di Difesa (progetto bocciato definitivamente dal Parlamento francese nel 1954) e più in generale di crescita della difficile costruzione di un’Europa politica, ma soprattutto in due campi tanto diversi quanto differenti come quello energetico e ambientale, da un lato, e quello delle misure per far fronte ai fenomeni migratori nel rispetto dei diritti umani e dei doveri di assistenza e di concessione dell’asilo politico in determinati casi. Due  questioni spinose con impatti diretti sugli umori dell’opinione pubblica e degli elettori, quelli sul costo delle bollette e sulle misure da prendere per contenere l’inflazione quanto su come organizzare i flussi di ingresso in Europa di centinaia di migliaia se non di milioni di persone provenienti dal continente africano. Sull’energia è chiara la spaccatura fra Francia favorevole alle misure caldeggiate da Mario Draghi per istituire un tetto ai prezzi del gas e la Germania e i Paesi Bassi, contrari quanto ostili a nuove misure di scostamento di bilancio.

Sulle politiche migratorie, anziché cercare un compromesso con altri paesi altrettanto fortemente indebitati come la Francia, incalzato dal leghista Matteo Salvini, già accusato di comportamenti ostili all’articolo 2 dei Trattati di Roma in occasione di altri sbarchi a Lampedusa, il nuovo governo italiano di Giorgia Meloni alza la voce contro le ONG difese dalla Germania ottenendo il consenso dei Paesi sovranisti ostili a cominciare da Polonia e Ungheria, entrando brutalmente in rotta di collisione con quel Paese, la Francia, con cui l’Italia stava costruendo una grande alleanza grazie all’abile tessitura di Mario Draghi riconquistando grande prestigio e un ruolo che la stavano proiettando nella nuova cabina di regia dell’Unione. 

L’auspicio è che – complice Sergio Mattarella. questo passo falso del nostro esecutivo sia ricomposto chiudendo rapidamente le tensioni con la Francia. Altrimenti Giorgia Meloni, pur con il vento in poppa, rischia di uscirne con le ossa rotte, il che non è di interesse né per l’attuale rissosa maggioranza salvo che per gli “sfascisti” come Matteo Salvini, ma non lo è nemmeno per l’opposizione, che ha interesse, al contrario, a favorire in Italia riforme che portino ad una democrazia dell’alternanza con una destra non ostile all’Unione europea ma al contrario favorevole alla sua crescita politica.

Insomma sarebbe auspicabile una politica europea e una politica estera in perfetta continuità con quella di Draghi così come sembra disegnarsi la manovra interna della Legge di bilancio sotto l’accorta guida del leghista governista Giancarlo Giorgetti che sembra davvero ispirata dall’ex inquilino di Palazzo Chigi e aver rinunciato a larga parte delle proposte della coalizione in campagna elettorale. Come confermato da un sondaggio, gli italiani nella loro stragrande maggioranza non ne vogliono sapere di flat tax e provvedimenti simili. Giorgia Meloni sembra averlo perfettamente capito, mantenendo un profilo istituzionale. Non vuole ripetere gli errori al Papeete di Matteo Salvini.