Riforma

Democrazia Futura. Un’elezione per soddisfare gli istinti populisti indebolendo i contrappesi istituzionali

di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna |

I due punti cruciali del disegno di legge costituzionale presentato dal governo, secondo Gianfranco Pasquino: “da contrastare tramite referendum oppositivo”.

Gianfranco Pasquino

Nell’editoriale scritto per l’undicesimo fascicolo in chiusura di Democrazia futura, Gianfranco Pasquino commenta il disegno di legge costituzionale[1]  presentato dal governo evidenziandone i due punti cruciali. Secondo il noto scienziato politico “L’elezione popolare diretta del Primo ministro” presenta numerosi rischi di incostituzionalità e sarebbe – così recita il titolo dell’articolo – “Un’elezione per soddisfare gli istinti populistiindebolendo i contrappesi istituzionali, da contrastare tramite referendum oppositivo”. 

Secondo Pasquino “Da rimarcare e da criticare sono i due punti cruciali dell’elezione popolare diretta concernenti proprio le modalità dell’elezione: primo, per vincere non è necessaria la maggioranza assoluta dei voti/votanti; secondo, non è neppure specificato se esiste una soglia minima per l’attribuzione al (la coalizione del) vincitore/trice il 55 per cento dei seggi”. L’Accademico rileva da un lato l’assenza di un ballottaggio, giustificato per impedire ammucchiate nel fronte avverso di centrosinistra, dall’altro “L’espediente per evitare in caso di crisi il ricorso a governi tecnici o ribaltoni”. Ne uscirebbe un Presidente della Repubblica privo non solo del potere di nomina del Premier ma anche di quello di scioglimento del Parlamento “ridotto a figura cerimoniale dai contorni vaghi e sbiaditi”. 

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Elezione popolare diretta del Primo ministro è il titolo del disegno di legge costituzionale del governo che cambierebbe in maniera profonda e “originale” il modello di governo parlamentare delineato nella Costituzione italiana. Sappiamo della esistenza di molti giuristi favorevoli che già consigliarono Matteo Renzi quando formulò le sue riforme, poi sonoramente bocciate dal referendum (quindi, non confermativo!) e la sua legge elettorale Italicum che mezza Europa avrebbe apprezzato e imitato, ma che fu smantellata dalla Corte Costituzionale.

Il richiamo è doppiamente opportuno perché, primo, il disegno di legge innegabilmente si ispira al modello “sindaco d’Italia”; secondo, ha immediatamente ricevuto il sostegno di Renzi e di Maria Elena Boschi, la sua ex-ministra delle Riforme Istituzionali. L’obiettivo è garantire la stabilità del Primo Ministro nella carica in modo da migliorare l’efficienza/efficacia della sua azione.

Non solo stabilità nella durata nel tempo ma capacità politiche e solidità della coalizione. Da cosa dipende l’efficacia operativa di un capo di governo in una democrazia parlamentare

A proposito della stabilità alcune osservazioni comparate sulla durata in carica dei capi di governo e di Presidenti “presidenzialisti” e “semipresidenzialisti” possono essere utili. Il recordman assoluto di durata in carica come capo di un governo parlamentare è il socialdemocratico svedese Tage Erlander, 23 anni (1946-1969). Al secondo posto il Cancelliere democristiano tedesco Helmut Kohl, 16 anni (1982-1998), seguito, con una differenza di un paio di settimane, dalla democristiana Angela Merkel (2005-2021). Quarto il socialista spagnolo Felipe Gonzalez, 14 anni (1982-1996). Quinto, il socialista francese François Mitterrand, 14 anni (1981-1995), semipresidenzialista. Da ultimo, va collocato il più duraturo dei presidenti presidenzialisti, il Democratico statunitense Franklin Delano Roosevelt, 12 anni (1933-1945). Dunque, è possibile che nelle democrazie parlamentari i capi di governo siano significativamente stabili nella loro carica. La stabilità politica è una importante precondizione per l’efficacia operativa, ma questa efficacia dipende non dalla durata nel tempo, ma soprattutto dalle capacità politiche e personali del capo di governo e dalla solidità della coalizione.

I due punti controversi su cui sono probabili le obiezioni della Corte Costituzionale

Da rimarcare e da criticare sono i due punti cruciali dell’elezione popolare diretta concernenti proprio le modalità dell’elezione:

  • primo, per vincere non è necessaria la maggioranza assoluta dei voti/votanti;
  • secondo, non è neppure specificato se esiste una soglia minima per l’attribuzione al (la coalizione del) vincitore/trice il 55 per cento dei seggi.

Le probabilità che la Corte Costituzionale, sulla base della sua stessa giurisprudenza, obietti mi paiono elevatissime.

L’assenza di un ballottaggio per evitare ammucchiate

Praticamente, ovunque laddove il titolare della più alta carica viene eletto dai cittadini, in assenza di una maggioranza assoluta, è prevista la procedura del ballottaggio attraverso il quale il candidato vittorioso risulterà eletto dalla maggioranza assoluta dei votanti. Avrà, dunque, maggiore legittimazione politica, democratica. Il centro-destra teme e vuole scongiurare la formazione di schieramenti a lui contrari di tipo occasionale, opportunistico, eterogenei, puramente negativi. Tuttavia, è evidente che, in assenza di ballottaggio, quegli schieramenti, elegantemente le “ammucchiate” del centro-sinistra sarebbero costrette a formarsi prima delle elezioni. Invece, il ballottaggio renderebbe più trasparente il procedimento della loro formazione e consentirebbe all’elettorato di giudicare a maggior ragion veduta.

L’espediente per evitare in caso di crisi il ricorso a governi tecnici o ribaltoni

Anche se eletto dal popolo, il Primo ministro può essere sostituito senza nessun ritorno al popolo, ma in Parlamento purché la sua sostituzione venga effettuata dalla e nella sua maggioranza e con un parlamentare già appartenente a quella stessa maggioranza. L’espediente mira a rendere impossibile sia l’assunzione/ascensione di un “tecnico” al vertice del governo sia un cambio di maggioranza, cosiddetto ribaltone, fenomeni entrambi tanto rari quanto possibili in tutte le democrazie parlamentari et pour case: non demandare all’elettorato con il ritorno anticipato alle urne, quindi logorandolo, la soluzione di problemi prodotti dai politici. Qualora il sostituto prescelto non ne ottenesse la fiducia il Presidente della Repubblica ha l’obbligo di sciogliere il Parlamento.

Un Presidente della Repubblica ridotto a figura cerimoniale dai contorni vaghi e sbiaditi

Mi pare evidente che questo esito può essere procurato ad arte dalla maggioranza anche qualora sia in corso la sua disgregazione. Comunque, in questo modo relativamente soffice, avendo già perso il potere di nomina del Primo ministro, il Presidente della Repubblica si vede sottrarre anche il potere di scioglimento del Parlamento. Poiché il disegno di legge abolisce i senatori a vita per meriti sociali, artistici, scientifici e culturali, il Presidente della Repubblica italiana, da protagonista nel complesso intreccio di freni e contrappesi istituzionali e democratici, diventa figura cerimoniale dai contorni vaghi e sbiaditi, finendo confinato fra i passacarte irrilevanti

Dell’abolizione dei Senatori a vita non scrivo nulla poiché mi trovo in lampante conflitto d’interessi avendo presentato nel 1987 un disegno di legge intitolato “Soppressione dei senatori a vita art. 59” includendovi, dunque, anche gli ex-Presidenti della Repubblica. Costoro potrebbero giustamente continuare a fregiarsi del titolo di Presidente Emerito. I cittadini che hanno eccelso mei campi sociale, artistico, scientifico e letterario dovrebbero essere opportunamente onorati in altro modo.

La strada del referendum oppositivo in caso di approvazione della riforma

La valutazione complessiva del disegno di legge costituzionale del governo di centro-destra è senza esitazioni negativa. Il modello di governo parlamentare viene scombussolato non da un nuovo, coerente modello, ma da un’elezione che può soddisfare gli appetiti populisti indebolendo, se non sostanzialmente sconvolgendo i freni e i contrappesi istituzionali e democratici. Ciò detto, dando per scontato che il centro-destra ha i numeri e l’intenzione di approvare la sua riforma, rimane aperta e praticabile la strada del referendum costituzionale, ovviamente non confermativo, ma oppositivo.


[1] Le sue idee e proposte in materia sono esposte nel libro Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate, Milano, Università Bocconi Editore-Egea, 2015, 204 p.