Memorie

Democrazia Futura. Jacques Julliard, uno storico inclassificabile

di Christophe Prochasson, storico delle idee e della cultura contemporanea già Presidente dell’EHESS a Parigi, e Anne Rasmussen, studioso di scienza della politica al King’s College di Londra e all’Università di Copenhagen |

Ricordo di uno storico engagé ma non sciavo delle logiche di partito, di Christophe Prochasson e Anne Rasmussen.

Christophe Prochasson

Christophe Prochasson e Anne Rasmussen, rispettivamente storico delle idee e della cultura contemporanea, già presidente dell’École des hautes études en sciences sociales (EHESS) a Parigi, e studioso della scienza della politica al King’s College di Londra e all’università di Copenaghen, aprono la rubrica Memorie nostre con il ricordo di “Jacques Julliard: uno storico inclassificabile[1] ” introducendolo con un’immagine che ne è perfetta sintesi: «Si dice spesso che Jacques Julliard sia un giornalista e uno storico.

Anne Rasmussen

A volte aggiungiamo la qualità del saggista. Eccelleva davvero in questi tre registri. Ma sia che analizzasse il presente o il passato, era sempre la profondità di campo storica a guidare il suo sguardo. Gli piaceva ricordare la formula di Benedetto Croce: “non c’è storia se non il contemporaneo”». Julliard era inoltre «uno storico impegnato ma che non era uno storico militante schiavo delle logiche di partito, di gruppo o di interessi di qualsiasi natura» e il suo impegno storico «fu governato da tutto un insieme di convinzioni personali, a cominciare dal rifiuto del conforto delle certezze».

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Jacques Julliard

Si dice spesso che Jacques Julliard sia un giornalista e uno storico. A volte aggiungiamo la qualità del saggista. Eccelleva davvero in questi tre registri. Ma sia che analizzasse il presente o il passato, era sempre la profondità di campo storica a guidare il suo sguardo. Gli piaceva ricordare la formula di Benedetto Croce:

“Non c’è storia se non il contemporaneo”

una formula dal duplice significato, poiché la storia ha informato la luminosa comprensione che Jacques Julliard ha dato del contemporaneo.

Dobbiamo qui ricordare quanto egli sia stato un grande storico, capace di coniugare con la sua penna un’immensa conoscenza con eccezionali esigenze riflessive e talento. Fu innanzitutto il grande storico della sinistra, campo nel quale entrò attraverso la storia del movimento operaio. Gli ha dedicato diversi libri importanti: Fernand Pelloutier et les origines du syndicalisme d’action directe (1971) e Autonomie ouvrière (1988) che è senza dubbio il suo libro più grande, anche se lui stesso preferiva il suo Pelloutier, e domina ancora la storiografia delle culture operaie. Lì osserva vite, temperamenti e idee, che confluiscono nell’aspirazione all’autonomia e all’emancipazione della classe operaia. Il sindacalista che era lo guidò in indagini dove si mescolano storia sociale e storia delle idee, ritratti individuali e dipinti di gruppo.

Sapeva che questa storia era intrecciata da avventure singolari scritte in regole con cui tutti avevano a che fare. Al di là della sola escatologia rivoluzionaria, è la storia di tutte le sinistre a costituire un filo conduttore del suo lavoro di storico, che ha nutrito a lungo termine nel suo seminario presso l’École des hautes études en sciences sociales (EHESS) dove ha formato un certo numero di studenti. Ciò si riflette nel sommario che ha pubblicato alla fine di questo viaggio, Les gauches françaises, 1762-2012. Histoire, politique et imaginaire (2012), accompagnato da una ricca raccolta di testi canonici.

L’eco incontrato da quest’opera monumentale si spiega con il carattere personalissimo del progetto che l’ha realizzata: lo sguardo di un uomo solo, non tanto una sintesi di un grande affresco erudito, quanto piuttosto un viaggio nella storia della sinistra di un ex attivista già sotto l’influenza della malinconia che gli suscitava lo spettacolo di alcune sue “case in rovina”.

È con la stessa sensibilità che Jacques Julliard è stato, più in generale, uno storico politico, distinguendosi da tutte le scuole. La gamma del suo spettro di intervento è ampia. Nella collana che il suo amico Pierre Nora aveva lanciato alle edizioni Julliard, “Archives”, pubblicò un indimenticabile Clemenceau briseur de grèves (1965), prima di offrire, a suo modo, una Histoire de la IVe République (1968) che conservava tutto la sua acutezza critica.

Come storico si interessò in numerosi saggi alla “democrazia dell’opinione”, alle forme della sovranità, alla dialettica politica dei popoli e delle élite, ii repertori del progressismo.

Ritornava spesso al confronto fra le opere politiche, in particolare con Rousseau e Marx,

“i due grandi giudici di pace del pensiero politico, piantati come colonne gemelle sulla soglia della nostra modernità”.

Storico inimitabile, inclassificabile in questo campo come in tanti altri, alla maniera di quei pensatori che gli furono tanto cari, da Georges Sorel a Charles Péguy, da Paul Claudel a Georges Bernanos, passando per Simone Weil, non fu né il “ritorno del la storia politica” proclamata negli anni Ottanta, né la storia concettuale che i suoi più stretti colleghi dell’EHESS come François Furet o Pierre Rosanvallon stavano sviluppando.

Non può più passare per un compagno di viaggio delle Annales, rivista alla quale ha comunque contribuito con uno dei suoi più importanti testi di storico politico («Sur un fascisme imaginaire. À propos d’un livre de Zeev Sternhell », 1984). Questa vivace polemica contro la tentazione autoritaria francese lo portò a forgiare in questa “nota critica” una delle formule cesellate di cui aveva il segreto:

“Les idées ne se promènent pas toutes nues dans la rue», ovvero «Le idee non vanno in giro nude per la strada».

Se c’è una materia prima che ha attirato la sua attenzione di storico, sono proprio le “idee” o, se si preferisce, le produzioni della mente. La storia, per Jacques Julliard, si intreccia tra la letteratura, di cui è un fervente praticante, e la filosofia che, rinunciando all’aridità e aiutando a svelare e comprendere le sorgenti dell’agire umano, prende il posto del viatico. Jacques Julliard si riconosce nel programma scientifico di Mil Neuf Cent, la rivista di “storia intellettuale” che aveva fondato con alcuni amici studiosi nel 1983.

Estensione di un grande convegno internazionale dedicato alla controversa figura di Georges Sorel, di cui fu uno degli esperti affettuosi e lucidi, la rivista prese dapprima il titolo di Cahiers Georges Sorel. Si trattava, lontano da ogni “amicizia soreliana”, di pubblicare studi che arricchissero la conoscenza dell’autore delle Considerazioni sulla violenza. Poi, molto rapidamente, Julliard le ha dato una dimensione molto più ampia. Ha voluto che la rivista ospitasse ricerche in cui si cercasse di studiare il mondo delle idee a cavallo tra Ottocento e Novecento, periodo così cruciale, per comprendere come la materia intellettuale veniva prodotta, circolava, si trasformava, si imponeva sulla scena o scompariva nel nulla.

Storico collettivo quindi (fa parte anche della prima équipe della rivista Le Mouvement social alla quale aderisce nel 1963 e che non abbandonerà mai) tanto allergico a qualsiasi irreggimentazione, intellettuale o politica, Julliard è stato, con Michel Winock, un editore di libri di storia, animando la collana L’Univers Historique fondata nel 1974, presso le Editions du Seuil, o dirigendo con quest’ultimo presso lo stesso editore un Dictionnaire des intellectuels (1996). In linea con il suo questionario politico, ha coordinato il volume L’État et les conflits (1990), nell’Histoire de la France a cura di André Burguière e Jacques Revel, o si è dilettato nell’etnografia politica comparata orchestrando una ricerca collettiva dedicata alla “morte del re”, incentrata sui singolarissimi doppi funerali di Francois Mitterrand che lo avevano sfidato, testando in epoca contemporanea la celebre tesi di Ernst Kantorowicz su I due corpi del re.

Storico impegnato? Senza dubbio. Da ogni fibra del suo corpo. Lo dimostrano, se necessario, i due libri contro le falsificazioni storiche che ha dedicato alla guerra di Bosnia durante il conflitto stesso, convinto dopo Emmanuel Mounier che per un intellettuale, che è per di più uno storico,

“l’evento sarà il nostro maestro interiore”.

Uno storico impegnato ma che non era uno storico militante schiavo delle logiche di partito, di gruppo o di interessi di qualsiasi natura.

L’impegno dello storico Jacques Julliard fu governato da tutto un insieme di convinzioni personali, a cominciare dal rifiuto del conforto delle certezze.


[1]Testo pubblicato sul sito de L’Histoire all’indomani dalla scomparsa dello studioso sopraggiunta l’8 settembre 2023 all’età di 90 anni. Era nato a Brénod nel Diprtimento dell’Ain il 4 marzo 1933.