Campagne

Democrazia Futura. Uffa che noia. Niente di nuovo sul fronte elettorale

di Guido Barlozzetti, conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore |

Il rumore inquietante di una campagna elettorale aggressiva. Una retorica populista, lontana dall’Europa , dove "ognuno ha parlato degli altri invece che di sé". L'analisi di Guido Barlozzetti.

Potrei partire dall’immagine del Presidente della Lazio Claudio Lotito che nel corso della campagna elettorale piroetta in un locale del Molise, mentre un coro di ragazzi intona al massimo della goduria “Lotito is on fire”.

Guido Barlozzetti
Guido Barlozzetti

Non è un’eccezione questa scena che dovrebbe propiziare un’elezione, i candidati  nel loro tour hanno fatto di tutto pur di entrare in contatto con chi può decidere dell’approdo al Parlamento, musica, frizzi, lazzi e cotillon possibilmente sparando sugli avversari più che spiegare quello che avrebbero voluto fare una volta arrivati a Montecitorio e di lì, via Quirinale, a Palazzo Chigi.

E però nella performance di Lotito c’è un’aria di Strapaese che mixa con la global music in un’improvvisazione festosa e casinara che batte la concorrenza che pure si è data da fare, perché non c’è campagna che non abbia la sua intro musicale

Così, Enrico Letta  si è affidato a Life is life degli austriaci Opus, anni Ottanta, irresistibile tormentone fatto apposta per coinvolgere, magari con il passaggio augurale “When we all give the power, We all give the best”.

Giorgia Meloni dal canto suo è rimasta in Italia e ha fatto suo Ma il cielo è sempre più di Rino Gaetano, già sentita ai Festival dell’Unità e nelle riunioni canore di vicinato durante il lockdown. Nonostante i familiari del cantautore abbiano più volte espresso rimostranze per l’uso indebito delle sue canzoni da parte della politica, in particolare con la Lega, Giorgia non ha mollato.

Fallito invece il tentativo di Matteo Salvini di intestarsi Ciao, ciao de La Rappresentante di Lista che non ha gradito e ha spedito una maledizione al “becero abusatore di hit”.

E Giuseppe Conte? Ha svestito il blazer con pochette tricornuta, è rimasto in maniche di camicia – non è il primo, si potrebbe fare la storia delle campagne elettorali a cominciare dai descamisados di Juan Peròn per arrivare a Matteo Renzi – e si è affidato a Funkymania, remix di Omri Smadar e orchestra.

Carlo Calenda ha scelto il rock duro degli AC/DC (che non sta per Democrazia Cristiana, ma poi questi acrobati del centro, un po’ qua la mattina un po’ la di sera,  finiscono per stare tutti lì …) con Thunderstruck (1990) che vuol dire “fulminato”, cosa che dalla sua sinistra in tanti gli augurerebbero.

Quanto ai Verdi, hanno preso un rap di Marracash e Cosmo Greta Thurnberg – Lo stomaco, che esibisce il nume tutelare degli ambientalisti.

L’incipit musicale mi è venuto forse perché questa campagna elettorale ha fatto di tutto per non appassionarmi e dunque le analisi e le osservazioni, quelle che farò, risentiranno inevitabilmente dell’insofferenza, financo della repulsione, come quando, andando in macchina, mi è capitato di imbattermi nelle tribune elettorali radiofoniche, interventi prossimi al soffocamento perché i partecipanti sono costretti a infilare niente più che una sequel di slogan nei pochi secondi a disposizione, nemmeno minuti, con repliche e controrepliche che apri la bocca e già la devi chiudere, ma a che serve questa melassa in difetto di ossigeno in cui non riconosci nessuno e non ti rimane un’idea che sia una e se ti rimanesse non sapresti di chi.

E allora veniamo alla contesa che ha segnato queste poche settimane di confronto, quella accesa dal Partito Democratico su Giorgia Meloni e il fascismo: è fascista? Sì è fascista, ma ha detto basta con questa storia, no, fa finta ma sotto sotto è fascista, e poi l’avete vista urlare a squarciagola al congresso di quegli ipercamerati di Vox? O abbracciare quell’anima di Viktor Orban, così sensibile ai diritti umani? Il paese è in pericolo, lei con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini vogliono cambiare la Costituzione e poi non ci credo, questi ci portano nelle mani di Vladimir Putin. Macché Putin, replica Giorgia Meloni, lei ha giurato sulla sua fedeltà all’America e dice basta con la sicumera di chi sente che nei sondaggi vola, lei non tira fuori i comunisti più comunisti già gulaghisti, per dare addosso a Enrico Letta, e sbuffa, non ne può più, promette e garantisce per gli alleati, mena fendenti sull’aborto e grida con gli alleati – ma quanto non si sa, anche se il cemento che sembra a portata di mano del potere è potente…

Siamo pronti” è lo slogan di Piazza del Popolo gremita e lei annuncia che le riforme si faranno, anche senza la sinistra, che in altre parole vuol dire il presidenzialismo con annessi e connessi che non devono essere tanto rassicuranti se Ursula von der Leyen fa sapere a stretto giro che “se le cose andranno male, come in Polonia e Ungheria, abbiamo gli strumenti”.

Giorgia ha il riflesso condizionato anti-Bruxelles e grida all’ingerenza indebita e intanto stufa di chi viene ai suoi comizi per dire che non è d’accordo, telefona alla ministra dell’interno Luciana Lamorgese perché blindi gli accessi alla piazza su cui va a esibirsi, che non è proprio il massimo del confronto (non le molotov o la gazzarra, è chiaro) che dovrebbe far parte della democrazia.

Si ricorderà che all’inizio, proprio l’inizio, di questa stucchevole parata al PD si erano dati un imperativo, no, non faremo una campagna volta solo a smascherare il fascismo di Giorgia, già e poi vedi come è andata a finire, Enrico Letta non perde occasione e tutto diventa un gioco a rimpiattino fascista! – no, comunista! – inutile, tanto lo sappiamo chi sei, tu la fiamma che hai ereditato da Giorgio Almirante… Roba alla fine dal talk show televisivo che ormai ha risucchiato e frullato la politica – con effetto omogeneizzante al ribasso di tutti – e è diventato il modello di una campagna elettorale presa nel corto circuito mediatico.

Le forme stravolte del discorso – anche al di là delle intenzioni dei protagonisti diventano più forti dei contenuti.

Naturalmente, il fascismo è una cosa seria e non è così che l’affronti, semplicemente demonizzando lei, Giorgia, ultima reincarnazione del Male e che tutti i sondaggi, tutti ma proprio tutti, danno vincente, al punto che – se fossi in lei – un gesto apotropaico lo farei. Il problema non è il Ventennio con la coda di Salò, ma è adesso, la pulsione diffusa nel Paese a dargli giù con l’accetta, a semplificare e a rintanarsi nel particulare tanto c’è qualcuno che ci pensa … Ci sarà pure un motivo che dovrebbe anche  ispirare qualche autoanalisi…

Comunque Giorgia Meloni non perde occasione per dire della fedeltà atlantica e della riprovazione nei confronti della Russia, cosa che non fa certo entusiasmare né Matteo (Salvini) né forse il Cavaliere Silvio che all’ospitale Porta a Porta  parla della guerra come se avrebbe dovuto essere una gita settimanale dei russi nel Donbass, decisa da Vladimir Putin per l’insistenza di tutti quelli che aveva intorno. Ma certo, mandi una schiera di carri armati non solo nel Donbass maltrattato da Kiev e poi scopri che gli Ucraini e Volodymir Zelensky, che pure non sarà una specchiata coscienza democratica, si difendono e prolungano la gita che deve risolversi in un weekend! Intanto, Silvio si diverte da par suo.

Ecco, un’altra pessima esibizione che può fare il paio con quella di Lotito, anche se qui c’è la consumata e scafatissima abilità dell’incantatore di serpenti che si affaccia sul social che non ti aspetteresti, Tik Tok… e Tak, aggiunge, spiegando che quel Tak è lui, Silvio Berlusconi, euforico per i milioni di contatti che arridono alle sue gag-spot. 

Ma sì ridiamo, nel Paese del tragicomico, ridiamo… Mezzobusto, giacca e camicia catrame, il sorriso furbo e ammaliante, Silvio è simpatico che più simpatico non si può e infila una serie quotidiana di video sempre sull’orlo di una delle due o tre cose che gli sono irresistibili, e cioè  la battuta:

“In quanto donne avrete tutto l’interesse a dare il voto  Forza Italia, a noi e a me che non solo sono più bello di Letta ma per tutta la vita sono andato a cacci del vostro amore”, “Se anche tu pensi che si debbano investire più risorse per la sicurezza il 25 settembre devi andare a votare il Partito Comunista… – un singulto di sorpresa. – ho sbagliato, devi votare per noi, per Forza Italia”.

E poi c’è Giuseppe Conte, che i sondaggi, che non si possono più pubblicare, dicono sia in crescita grazie al grimaldello del reddito di cittadinanza che difende solo lui e che gli sta consegnando un bel pezzo di Sud, come fece Giuseppe Garibaldi con Vittorio Emanuele II e Achille Lauro con i Napoletani gratificati con il dono di una scarpa, salvo ricevere l’altra dopo il voto.

Un nervo scoperto per il presidente dei Pentastellati, Supermario che lo ha estromesso d Palazzo Chigi e che non c’è verso non gli sta simpatico e ha sbagliato tutto, all’estero e nella Penisola, al punto che quando Myrta Merlino a L’aria che tira gli chiede se per caso abbia il dente avvelenato con lui, si risente e l rovesci addosso che, tutto quello che ha fatto, l’aveva già fatto lui, e che la Merlino è fuorviata dai giornali. Ma l’ha fatto cadere lei – – gli dice Myrta –  ma scherza ! Risponde lui …

Scheletri nell’armadio anche per Matteo Salvini che vorrebbe parlare delle bollette, della flat tax, della legge Fornero e dei migranti da cacciare via e invece si ritrova sempre a dover spiegare che in Russia c’è andato da ministro, che la Lega non ha preso una lira dalla Russia – semmai i comunisti… – e che dopo l’assalto all’Ucraina Putin è diventato cattivo e basta con lui.

E una campagna contro, con il dito alzato tra grillo parlante e Padre Cristoforo, è stata quella di Carlo Calenda che non perde occasione per bacchettare gli altri:

“È stata la campagna elettorale più stupida della storia, Giorgia Merloni e Enrico Letta hanno sbagliato tutto creando una divisione nel Paese , ma bisogna capire che non esistono solo due poli, ma stavolta ce ne sono quattro. I cittadini sono stanchi, è ora di cambiare”. 

Così è se vi pare. E si potrebbe continuare …

L’impressione è di una campagna in cui ognuno ha parlato degli altri invece che di sé, oppure è stato costretto in un confessionale che vorrebbe costringerlo ad ammettere e appunto confessare …

Insomma, una campagna elettorale strabica e sfasata, inevitabilmente confusa, anche perché infilata, strizzata e amplificata nella televisione che pure tra social, tweet e hashtag finisce per farla ancora da padrona, con il rischio del qualunquismo becero che mette tutto e tutti sullo stesso piano e così si lava la coscienza.

No, non sono tutti uguali e il discrimine sta in valori di fondo e visioni della società  e del mondo, solo che il combinato disposto mediatico-politico finisce per condensare tutte le voci in una bolla rumorosa e… indifferente. Mentre intorno un temporale autoreplicante spazza via i borghi delle Marche, muore la Regina Elisabetta II e Vladimir Putin va a svolgere il referendum per l’annessione del Donbass, Donetsk e Lugansk e agita lo spettro della Bomba.

E allora lo sforzo analogico che resta si trova di fronte a un’alternativa scissa tra la ricerca di ragioni che fondino valori e visioni della vita e del mondo e  non cedano alle passioni, e proprio loro, gli umori, i sentimenti le in/sofferenze che vedono come un lusso benpensante guardare al di là del proprio recinto quotidiano con le difficoltà che premono.

Due estremi che ognuno ritrova in sé e che dal micro individuale e personale trapassano nel macro di una società che fatica ancora ad avere un senso dello Stato e al tempo stesso è arrivata a 5 milioni di poveri e alle bollette che strangolano.

Non sorprende che Mario Draghi sia stato trangugiato da questa forbice, così ampia da preoccupare per la fibrillazione scomposta a cui sottopone tutto il sistema,  l’impianto delle istituzioni e la sostanza stessa della democrazia che rispetta, deve rispettare tutte le opinioni. E dunque, è la sua strutturale contraddizione, anche quelle opinioni che possono metterla in discussione. La Storia non fa sconti e il presente è già futuro.