La situazione

Democrazia Futura. Ucraina: l’escalation di Putin, la cautela della Cina e la fermezza dell’Occidente

di Giampiero Gramaglia, giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, presidente uscente di Infocivica |

Dopo il dibattito al Consiglio di Sicurezza e la sfilata dei leader al Palazzo di Vetro, Putin mette l’Occidente e il suo popolo davanti a fatti compiuti. Il richiamo a Gorbaciov di Draghi per la cooperazione nell’articolo di Giampiero Gramaglia.

Con i referendum farlocchi in quattro regioni ucraine occupate, e la loro conseguente annessione alla Russia, Vladimir Putin crea le condizioni per un’ulteriore drammatica escalation dell’invasione: il ricorso al nucleare in caso di controffensiva ucraina in quei territori per sottrarli al gioco russo, perché si tratterebbe di difendere “il patrio suolo”.

Giampiero Gramaglia

Di fronte all’efficacia della controffensiva ucraina, che in breve tempo ha ripreso, nel Nord-Est, nella regione di Kharkiv, oltre 8 mila chilometri quadrati di territorio, un’area grande quanto l’Umbria, Putin mette l’Occidente e il suo popolo davanti a fatti compiuti: i referendum nelle auto-proclamate repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk e nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia, conclusisi il 26 settembre 2022; e una mobilitazione parziale, con il richiamo di 300 mila riservisti. In più, evoca il ricorso al nucleare, in funzione difensiva.

A giudizio degli analisti, le mosse del Cremlino sono un’ammissione che la situazione in Ucraina s’è deteriorata.

L’effetto: un coro di reazioni negative, in Occidente e pure da parte della Cina, che pareva acquisita alla causa russa; e un susseguirsi di proteste in Russia, con manifestazioni e almeno 2.350 arresti in molte città – la cifra è della Cnn, che cita fonti indipendenti – e code alle frontiere con la Finlandia e i Paesi dell’Asia centrale (uomini che vogliono sottrarsi alla chiamata alle armi). Il regime inasprisce le pene per chi si sottrare alla leva e per chi rifiuta di combattere e/o si arrende al nemico.

E, mentre la controffensiva ucraina segna il passo, dopo due settimane a ritmo incalzante, i russi conducono ogni giorno raid aerei e attacchi missilistici sulle città ucraine e attaccano con i droni dell’Iran il porto di Odessa, provocando esplosioni e distruzioni. E’ un’altra forma di allargamento di un conflitto che vede sempre più Paesi fornire sostegno militare a uno dei due belligeranti,

L’Occidente resta relativamente scettico, di fronte alla minaccia nucleare, Ma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in un’intervista alla Cbs, avverte che l’incubo “potrebbe divenire realtà”: “Non credo che Putin bluffi”, dice.

Il duello tra l’Occidente e la Russia al Palazzo di Vetro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite

All’inizio di autunno 2022, il duello sull’Ucraina tra l’Occidente e la Russia s’è svolto all’Onu: in parte, nel Consiglio di Sicurezza, riunitosi il 22 settembre proprio per discutere gli sviluppi della guerra e le mosse di Putin; e, da martedì 20 a sabato 24 settembre, nella sessione plenaria della 77essima Assemblea generale tenutasi al Palazzo di Vetro. Per Mosca, l’Occidente è “parte del conflitto”, perché “dà aiuti e armi al regime di Kiev e ne copre i crimini”.

“Inaccettabile” e “Irresponsabile”: sono gli aggettivi più ricorrenti nelle reazioni occidentali ai passi di Putin. L’escalation era nell’aria; la replica dell’Occidente è sostanzialmente compatta e largamente prevedibile; la Cina e l’Iran, invece, mettono accenti diversi nei loro commenti: Pechino non avalla le mosse di Mosca; Teheran, invece, azzarda lezioni di diritti umani, dopo essere finita sotto accusa per la morte di Masha Amini, 22 anni, deceduta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava il velo nel modo giusto – decine le vittime, nelle proteste che ne sono seguite -.

La cautela della Cina e il processo di pace proposto dal Messico

Le novità sono la cautela della Cina, che si smarca dall’Occidente, ma non asseconda la Russia: e un piano di pace dall’esito incerto del Messico, che chiama in causa l’Onu e il Vaticano.

Nei corridoi del Palazzo di Vetro, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi tesse una tela di contatti fitta. Al ministro ucraino Dmytro Kuleba dice, parafrasando parole di Xi Jinping, che “sovranità e integrità territoriale di tutti i Paesi vanno rispettate e scopi e principi della Carta dell’Onu vanno pienamente osservati”. Salvo rilevare che “le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi – leggasi Russia, ndr – devono essere prese sul serio”. La Cina “è sempre dalla parte della pace e continuerà a svolgere un ruolo costruttivo”, conclude Wang, che incontra pure il collega russo Sergey Lavrov.

Ma il ministro cinese avverte anche gli Usa che, “se non cambiano rotta su Taiwan, il confronto diventerà inevitabilmente conflitto”. Per Wang, la politica dell’ “Unica Cina” è la base su cui poggiano le relazioni tra Pechino e Washington: “la questione di Taiwan, se non gestita bene, è molto probabile che provochi conseguenze devastanti”.

Da Pechino, giunge l’esortazione a Russia e Ucraina al cessate il fuoco e ad impegnarsi per trovare una soluzione pacifica con il dialogo e le consultazioni, cercando “di soddisfare le preoccupazioni sulla sicurezza reciproche”. Non è affatto un ‘endorsement’ dell’escalation di Putin: per la Cina, l’invasione e le sanzioni sono freni alla crescita e ostacoli ai commerci.

Cina e Russia si erano impegnate, negli ultimi tempi, a una partnership “senza limiti” contrapposta “al dominio globale” degli Stati Uniti. A metà settembre Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping erano a Samarcanda, al Vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), dove leader asiatici hanno lavorato a un nuovo “ordine internazionale”, sfidando l’influenza occidentale.

Il processo di pace proposto dal Messico per fare cessare la guerra in Ucraina prevede la creazione di un comitato per il dialogo e la pace, con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e capi di Stato e di governo, fra cui Papa Francesco e il premier indiano Narendra Modi. L’intento è offrire “un canale diplomatico complementare a quelli esistenti”, visto che il Consiglio di Sicurezza non ha modo di agire per fermare il conflitto. L’Ucraina l’ha accolto con freddezza, la Russia l’ha respinto.

Il dibattito nel Consiglio di Sicurezza e la “profonda preoccupazione” per i referendum

Fra i protagonisti della riunione del Consiglio di Sicurezza al Palazzo di Vetro, il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, oltre al cinese Wang Yi e all’ucraino Dmytro Kuleba, per cui “non c’è spazio per la neutralità in questa guerra creata dalla Russia”.

Aprendo i lavori, il segretario generale Guterres è categorico:

“Qualsiasi annessione del territorio d’uno Stato da parte d’un altro Stato risultante dalla minaccia o dall’uso della forza è una violazione della Carta dell’Onu e del diritto internazionale”.

C’è “profonda preoccupazione” per i referendum nei territori ucraini sotto controllo russo.

Antony Blinken invita l’Onu a bocciare i referendum e giudica “inaccettabile” che Putin “continui a minare l’ordina del Mondo” e faccia “spericolate minacce nucleari”. La citazione irrita Mosca: la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ritiene “indecente” la “manipolazione” di frasi di Putin sul nucleare.

Lavrov ribatte a Blinken punto su punto, seguendo il copione del suo boss. L’”operazione militare” russa in Ucraina era “inevitabile” per le numerose “attività anti-russe e criminali” di Kiev che minacciavano la sicurezza della Russia. Lavrov bolla più volte come “neo-nazista” quello che chiama ”il regime di Kiev”, denunciando il sostegno dell’Occidente all’Ucraina, che “sta diventando uno Stato totalitario di tipo nazista e  sta intensificando le persecuzioni di dissidenti e giornalisti”.

Per Lavrov, “l’obiettivo dell’Occidente è ovvio: prolungare il più possibile le ostilità, nonostante vittime e distruzioni, per esaurire e indebolire la Russia…”. Ciò rende Usa e alleati “partecipi, li coinvolge in modo diretto”.

A margine del Consiglio e dell’Assemblea, l’intreccio di bilaterali è fittissimo: Lavrov vede Wang, anche Blinken vede il cinese e gli dice che gli Usa vogliono “mantenere aperte le linee di dialogo”; e Lavrov incontra pure il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin – fra i due, una stretta di mano -.

Di spegnere i focolai di guerra e riprendere i colloqui di pace parla Wang a Lavrov. La Cina intende “promuovere la pace e il dialogo” tra le parti, perché l’ampliamento e il prolungamento del conflitto “non è nell’interesse di nessuno”: Pechino

“è sempre stata favorevole all’istituzione d’un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile che fornisca una garanzia di pace duratura”: “Non staremo a guardare né getteremo benzina sul fuoco”.

Lavrov replica che “la sicurezza è indivisibile”, ma adatta il linguaggio all’interlocutore: la Russia “è ancora disposta a risolvere il problema con il dialogo e il negoziato”.

Pechino, del resto, non ha parole dolci neppure per gli Stati Uniti: auspica che Washington collabori per “trovare un modo affinché le due grandi potenze con sistemi sociali, storie e culture diversi, coesistano pacificamente e cooperino per risultati vantaggiosi per tutti”. Senza intralciare, soprattutto, la crescita cinese.

La sfilata dei leader alla tribuna del Palazzo di Vetro. L’irritazione europea verso l’Ungheria

Nelle giornate d’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, c’era stata la sfilata dei leader più attesi – solo Cina e Russia s’erano riservati posizioni più defilate -.

“Inaccettabile”, dice, alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, il presidente Joe Biden: afferma che la guerra è colpa “d’un solo uomo”, cioè Vladimir Putin; e accusa la Russia di volere “cancellare il diritto all’esistenza dell’Ucraina” e di violare “in modo estremamente significativo” la carta dell’Onu.

Inaccettabile” ripetono, dalla tribuna dell’Onu o nelle rispettive capitali, i leader di Nato e Unione europea, Gran Bretagna, Francia, Germania e molti altri Paesi. Aggiungendo che le decisioni di Putin sono, sì, “estremamente pericolose”, ma sono pure “un segnale di debolezza”, un’ammissione di difficoltà e di fallimento, in una guerra che fin dall’inizio non è andata come i generali russi avrebbero voluto.

“Se una nazione può perseguire le proprie ambizioni imperiali senza subirne le conseguenze – va avanti Biden -, allora l’ordine internazionale costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale crolla… Noi saremo uniti e solidali contro l’aggressione russa…”.

Gli interventi di Joe Biden e del presidente ucraino Volodymyr Zelensky – un messaggio registrato – sono fra i punti forti della kermesse Onu. Zelensky dubita che Putin userà l’atomica, anche se ammette che “ci sono dei rischi”, ma ricorre lo stesso ad immagini forti: “Putin vorrebbe che l’Ucraina annegasse nel sangue, ma sarà il sangue dei suoi soldati”. Il leader ucraino ringrazia per l’appoggio, ma chiede più aiuti e più armi.

Dalla tribuna del Palazzo di Vetro, il presidente iraniano Ebrahim Raisi, un reduce da Samarcanda, accusa l’Occidente di “doppi standard” sui diritti umani – e snocciola esempi -, nega che Teheran voglia dotarsi della ‘bomba’, definisce “criminali” le sanzioni applicate dagli Stati Uniti che “non tollerano i Paesi  indipendenti e chiede che l’ex presidente Usa Donald Trump sia processato per l’uccisione con un drone a Baghdad del generale dei Pasdaran Qasem Soleimani.

Riunitosi a margine dell’Assemblea generale, il G7 “condanna fermamente i referendum farsa che la Russia cerca di usare … per cambiare lo statuto della sovranità territoriale ucraina”. In una nota, si legge che “queste azioni violano chiaramente la Carta dell’Onu e il diritto internazionale”: i Sette sono pronti a imporre nuove sanzioni.

Frizioni sull’Ucraina fra Paesi dell’Unione europea, dopo che il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, parlando dalla tribuna del Palazzo di Vetro, ha definito la guerra

“un’aggressione non provocata, illegale e ingiustificata, che mira a cambiare con la forza i confini internazionalmente riconosciuti … Poiché dobbiamo fermare la macchina da guerra del Cremlino, le massicce sanzioni economiche contro Mosca sono inevitabili”.

Creando irritazione fra i partner dell’Unione europea, il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto dice alla Tass:

“L’Ungheria non vede motivo di un nuovo pacchetto di sanzioni anti-russe, specie sull’energia … L’energia è una chiara linea rossa per noi: non siamo pronti a imporre al popolo ungherese di pagare il prezzo di una guerra di cui non è assolutamente responsabile“.

Szijjarto, che è recentemente stato a Mosca a negoziare forniture d’energia addizionali, mentre l’Unione cerca di ridurre la dipendenza dalla Russia, ha discusso con il russo Lavrov “l’ulteriore sviluppo della cooperazione energetica, data la sfavorevole situazione globale.

Draghi al passo dell’addio. L’invito alla fermezza e alla coesione della comunità internazionale

Al passo dell’addio internazionale come presidente del Consiglio dalla tribuna del Palazzo di Vetro, Mario Draghi parla pochi giorni prima delle elezioni politiche e invita all’unità e alla fermezza verso la Russia che, invasa l’Ucraina, organizza l’annessione del Donbass e richiama i riservisti; e sciorina fiducia sulla collocazione dell’Italia, europea ed atlantica, dopo il voto di domenica 25 settembre. Draghi dice che l’aggressione all’Ucraina mina “i valori” e “gli ideali” della comunità mondiale, che deve restare unita e ferma nella risposta all’arroganza di Mosca.

Il premier partecipa per la seconda e ultima volta nel ruolo all’Assemblea generale dell’Onu: invita la comunità internazionale a non dividersi tra Nord e Sud, a restare coesa davanti alle provocazioni di Vladimir Putin, perché ne va del futuro di tutti.

L’Italia – assicura – “anche nei prossimi anni continuerà a essere protagonista della vita europea, vicina agli alleati della Nato”: un messaggio a futura memoria, un auspicio più che una promessa, perché quello che accadrà dopo le elezioni non dipenderà da lui.

Il presidente francese Emmanuel Macron denuncia “i nuovi imperialismi”; il cancelliere tedesco Olaf Scholz giudica “una farsa” e respinge come “inaccettabili” i referendum – lo stesso linguaggio usano l’Alleanza atlantica e l’Occidente allargato ai suoi partner nel Pacifico -.

Il discorso di Mario Draghi è tutto centrato sulla crisi ucraina: il presidente del Consiglio aveva avuto, poche ore prima di parlare, un incontro con il premier ucraino Denys Shmyhal.

Chi si aspettava quasi un testamento spirituale a largo raggio resta un po’ deluso; ma, del resto, il dopo voto è imperscrutabile e le dichiarazioni fatte in campagna elettorale possono rivelarsi cortine fumogene.

Dopo l’invasione, stare con Kiev, afferma il premier, era l’unica scelta possibile. E ora che l’Ucraina ha conquistato sul terreno un “vantaggio strategico importante”, anche se l’esito del conflitto resta “imprevedibile”, non bisogna desistere dalla ricerca delle condizioni per la pace. E di intese parziali, come quella sul grano, che portino ad esempio a una “demilitarizzazione” dell’area di Zaporizhzhia, per scongiurare una “catastrofe nucleare”.

L’avanzata di Kiev, rivendica Draghi, è stata possibile “anche grazie alla nostra assistenza militare”. D’altronde, un’invasione “pianificata per mesi e su più fronti” non si può fermare “solo a parole”: va contrastata con il sostegno economico, umanitario e militare al Paese aggredito; e con le sanzioni all’aggressore.

Le misure, dice il premier, hanno avuto “un effetto dirompente sulla macchina bellica russa” e hanno fiaccato l’azione di Mosca, che “con un’economia più debole” farà più fatica ora a “reagire alle sconfitte che si accumulano sul campo di battaglia”.

La guerra e le sanzioni, hanno però effetti negativi sempre più ingenti anche sui Paesi schierati contro la Russia. Mantenere la “coesione sociale” dev’essere la stella polare delle scelte dei governi e delle organizzazioni internazionali, che devono continuare a perseguire la “cooperazione” come accaduto con la pandemia Covid e nello spirito dell’ultimo G20 sotto presidenza di turno italiana, che ha consentito di “intensificare” la lotta al cambiamento climatico.

Il richiamo di Draghi al discorso di Gorbaciov sulla necessità di una cooperazione sui problemi globali e l’invito a riformare il Consiglio di Sicurezza

Il messaggio di Draghi all’Onu si chiude richiamando il discorso del 1988 di Michail Gorbaciov sulla necessità della cooperazione per affrontare i problemi globali. Le crisi innescate dalla guerra, “alimentare, energetica, economica”, richiedono di “riscoprire il valore del multilateralismo” e impongono di ribadire che la violenza gratuita non può avere spazio nel XXI Secolo.

Il premier spende qualche parola anche su una battaglia inutilmente combattuta da oltre un quarto di secolo dall’Italia al Palazzo di Vetro:

“Sosteniamo con forza la necessità di riformare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per renderlo più rappresentativo, efficiente, trasparente”. “La guerra in Ucraina e le crisi che ne derivano – spiega Draghi – hanno messo a dura prova la nostra coesione. Ma proprio in questo contesto è necessario ritrovare lo spirito di cooperazione che ci ha permesso negli scorsi anni di affrontare insieme altre sfide non meno dure. Le nostre istituzioni comuni devono rinnovarsi”.

E già spostando lo sguardo al Consiglio europeo di Bruxelles del 20 e 21 ottobre 2022, dove sarà ancora lui, probabilmente, a rappresentare l’Italia, in attesa della formazione del nuovo Governo, Draghi,  nello spirito di proteggere i cittadini, chiede all’Unione europea di “fare di più” e di imporre quel tetto al prezzo del gas su cui ancora si stenta a definire una intesa. L’Unione “deve sostenere gli Stati membri mentre questi sostengono Kiev”.