cultura

Democrazia Futura. Sul lavoro intellettuale: tra opinione pubblica, etica della responsabilità e passione scientifica

di Massimiliano Malvicini, assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale |

A proposito di un recente lavoro del professor Gianfranco Pasquino, un intellettuale praticante.

Massimiliano Malvicini

“Sul lavoro intellettuale: tra opinione pubblica, etica della responsabilità e passione scientifica” è il titolo della recensione di Massimiliano Malvicini “A proposito di un recente lavoro del professor Gianfranco Pasquino, un intellettuale praticante”. Il lavoro intellettuale. Cos’è, come si fa (Torino, UTET, 2023, 192 p.) “non rappresenta una riflessione sugli intellettuali nel senso di indagare se esistono ancora, eventualmente chi sono e cosa fanno (né in senso “descrittivo”, né in termini performativo-prescrittivi). Al contrario, il volume – chiarisce subito Malvicini citando lo stesso Pasquino – approfondisce «le modalità con le quali viene o dovrebbe essere svolto il compito importante di elaborare idee, di comunicarle, di renderle utilizzabili, di riformularle nel tentativo, mai del tutto coronato da successo, ma sempre degno di impegno e di elogio, di impedire a coloro che hanno potere politico, economico, sociale, religioso e culturale, di trarre vantaggio da quel potere a scapito degli altri».

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Gianfranco Pasquino

Nella mia recensione a “Libertà inutile. Profilo ideologico dell’Italia repubblicana” (Torino, UTET, 2021), chiosavo sottolineando come quell’opera avesse alla base un solido intendimento teleologico, di matrice culturale: adoperarsi per formare una classe politica consapevole non solo degli obiettivi da raggiungere ma anche dei mezzi per farlo, attraverso il radicamento di tre virtù essenziali per passione, senso di responsabilità e lungimiranza.

Pur in modo sottointeso, lo stesso orizzonte di senso sembra fare da sfondo a “Il lavoro intellettuale. Cos’è, come si fa, a cosa serve[1], in cui Gianfranco Pasquino si dedica alla figura di questo particolare tipo di politikòn zôon, ai suoi compiti e al suo ruolo nella nostra società.

Si faccia però attenzione.

Come si premura di specificare sin dalle prime righe nell’Introduzione, il volume non rappresenta una riflessione sugli intellettuali nel senso di indagare se esistono ancora, eventualmente chi sono e cosa fanno (né in senso “descrittivo”, né in termini performativo-prescrittivi). Al contrario, il volume approfondisce

«le modalità con le quali viene o dovrebbe essere svolto il compito importante di elaborare idee, di comunicarle, di renderle utilizzabili, di riformularle nel tentativo, mai del tutto coronato da successo, ma sempre degno di impegno e di elogio, di impedire a coloro che hanno potere politico, economico, sociale, religioso e culturale, di trarre vantaggio da quel potere a scapito degli altri» (p. 7/141).

Intellettuali, dunque, come soggetti ai quali spetta essere attivi e reattivi non tanto nell’operazione di sollevare dubbi (come scrisse Norberto Bobbio), o di dire la verità ai potenti (come invece propose Aaron Wildavsky), quanto ad «accrescere le conoscenze, e di diffondere le opportunità» connesse al miglioramento delle chance di vita per il numero più ampio di persone.

Nell’operare in questo senso, secondo Pasquino, il lavoro di studiosi, professori, giornalisti (ma non solo), si rivolge ad almeno due pubblici facilmente identificabili: la comunità (epistemica) di riferimento e i cittadini, sia individualmente, che presso le formazioni sociali.

Detto in altri termini, agli intellettuali spetta un ruolo pienamente “pubblico”, volto a strutturare quell’opinione, anch’essa pubblica, sulla quale si sorregge – sulla scia dell’insegnamento di Giovanni Sartori e Ernst-Wolfgang Böckenfördel’edificio della democrazia costituzionale, e che si radica nell’interlocuzione con la società, in società e per la società, nel quadro del più ampio esercizio del potere pubblico in pubblico(secondo la celebre espressione di Bobbio).

Seppur non immediatamente percepibile, la presenza di questo fil rouge caratterizza l’intero piano dell’opera, in tutti i suoi capitoli, ciascuno dei quali dedicato ad un particolare “momento” del lavoro intellettuale. Così, il momento della lettura consente di rapportarci con gli interlocutori del passato, con la miniera di fatti e interpretazioni proposte nel corso degli anni, mentre quello del recensire rappresenta il primo strumento (il più semplice) per valutare quali di esse sono meritevoli (e non) di essere estratte e organizzate, assodando la loro originalità, efficacia e la visione di insieme; altri momenti “topici” del lavoro intellettuali sono poi le conferenze, i seminari e la partecipazione (come autori, direttori e revisori) presso le riviste (scientifiche e non), alle quali Pasquino dedica pagine ricche di ricordi e aneddoti personali, legati a doppio filo con il radicamento della scienza politica (in primis, quella italiana) nel corso del Novecento, anche attraverso i passaggi generazionali e i mutamenti (apparenti ed effettivi) di paradigmi scientifici susseguitisi nel corso degli anni. In questo quadro, la ricerca e la scrittura ricoprono inevitabilmente un ruolo decisivo: ove opportunamente esercitate, queste pratiche consentono un affinamento delle conoscenze che, a sua volta, è orientato non solo alla spiegazione del reale ma anche ad incidere sul reale, trasformandosi in una risorsa per lo sviluppo della collettività. Secondo Pasquino, più che l’identificazione di un problema da risolvere, la nascita di un libro (ma il discorso potrebbe applicarsi anche alla scrittura di un saggio) deriva da un moto oppositivo nei confronti di quanto è stato sostenuto da altri autori:

«Il “problema”, ovvero la motivazione che ci spinge a scrivere, è che non siamo d’accordo con quanto abbiamo letto, con le spiegazioni e le interpretazioni prevalenti, con le conclusioni che ne vengono tratte».

Lo stesso processo si affina, inoltre, con l’insegnamento e, in termini diversi, con la diffusione al pubblico dei risultati delle proprie ricerche (il predicare).

In effetti, come rileva lo stesso Pasquino, non sono infrequenti i casi in cui la scrittura di un libro può giovare all’insegnamento tanto quanto la discussione in aula con gli studenti (e, più in generale, con qualsiasi uditorio minimamente partecipe) può andare in direzione di un perfezionamento dei passaggi di stesura di un’opera. Ciò posto, anche secondo Pasquino (sulla scia di Weber) l’intellettuale dedito all’insegnamento ha il dovere di non sfruttare la sua posizione per atteggiarsi da profeta e demagogo, eludendo il contraddittorio e la critica (p. 100/141). Coerentemente con questa impostazione, Pasquino dedica una riflessione specifica proprio alla pratica dialogica e di contraddittorio che, anche grazie al principio di falsificazione, consente all’intellettuale di confrontarsi con le contro-argomentazioni alle sue deduzioni e, in teoria, in tal modo, di affinare il suo atteggiamento a vantaggio della società (benché, del pari, come noto, l’attitudine all’ascolto, alla traduzione pratica delle proposte scientifiche e all’autocritica non sia una virtù particolarmente diffusa nell’ambito scientifico).

Anche grazie all’impostazione metodologica fatta propria da Pasquino, il volume offre un affresco di una parte, assai significativa, del mondo culturale italiano e, al contempo, si erge come riferimento pratico per tutti coloro che vorrebbero intraprendere un percorso di ricerca (non necessariamente in università). Nell’operare in questo senso, il libro dimostra tutta la sua originalità ed efficacia, offrendo al lettore sette lectio il cui valore formativo è impreziosito da uno stile e un’eleganza nell’intreccio, preziosa testimonianza di pubblica coerenza oltre che di rigore metodologico del loro autore.

Accanto a questi elementi, il volume si dimostra un’opera di un’estrema attualità, suggerendo itinerari sui quali gli stessi intellettuali (di ogni ordine e grado, per usare un’espressione cara alla Costituzione), dovrebbero orientare parte dei loro sforzi.

Eppure, negli ultimi anni la discussione sul ruolo degli intellettuali nel nostro Paese è emersa solo in rare occasioni, spesso dinanzi a proposte di riforma della legislazione universitaria o alle pratiche di valutazione della qualità della ricerca, limitatamente a specifiche aree disciplinari, senza riuscire ad imporsi al centro di un dibattito più ampio (come ad oggi sembrerebbe testimoniare lo scambio di opinioni verificatosi di recente nell’ambito del diritto costituzionale, nonostante le ottime premesse iniziali).

Ciò non è ammissibile. Il lavoro intellettuale, proprio perché orientato alla massima apertura scientifica, dall’onere di “spiegare costi, vantaggi, e inconvenienti delle scelte possibili”, ha una forte valenza pubblica, oltre che costituzionale, in quanto vettore di impegno scientifico, approfondimento culturale, consapevolezza sociale, e partecipazione politica – come testimonia il ricco percorso umano, scientifico e culturale di Gianfranco Pasquino, anche per questo autentico e coerente accademico repubblicano.

Per le stesse ragioni è però necessario non solo che i singoli intellettuali diventino maggiormente consapevoli del loro pubblico ruolo; ma anche che vengano approfonditi – all’interno del pluralismo istituzionale che informa la nostra comunità, in tutte le sue articolazioni – non solo l’impatto che i principi quali la trasparenza e la pubblicità possono avere nei loro rapporti con le altre comunità di esperti, il mondo produttivo, la politica e i cittadini, ma anche se e, eventualmente, quell’etica della responsabilità ad essi riferibile è suscettibile di orientare i nostri ordinamenti a sorreggerne il lavoro (nella sua proiezione, inevitabilmente, politica), promuovendo, innanzitutto la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


[1] Gianfranco Pasquino, Il lavoro intellettuale. Cos’è, come si fa, Torino, UTET, 2023, 192 p.