Il voto

Democrazia Futura. Quando la storia anziché tragedia diventa farsa. Un secondo Quarantotto a settembre 2022

di Bruno Somalvico, storico dei media, direttore editoriale di Democrazia futura |

Il centrosinistra a trazione Letta mira a far diventare il PD il principale partito dell’opposizione, volendo fare delle elezioni del 25 settembre un secondo Quarantotto. La riflessione di Bruno Somalvico per Democrazia Futura sulla vicina sfida elettorale.

Cosa significa puntare alla polarizzazione del voto

O noi o loro. Tertium non datur.

Bruno Somalvico

Con questa impostazione, seguendo all’italiana la vecchia regola “pas d’ennemis à gauche”, quel che rimane del centrosinistra e del PD, invita gli italiani a scegliere fra il proprio candidato Enrico Letta e la Presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che secondo i sondaggi dovrebbe uscire dal voto come leader indiscussa del centrodestra.

Una polarizzazione a loro parere ridimensionerebbe infatti il risultato dei “traditori” Carlo Calenda e Matteo Renzi oltre quello degli ex compagni di strada (prima con la Lega poi con il PD) grillini. Riaprirebbe altresì i giochi favorendo l’ipotesi dopo il voto di un’intesa e forse di un tandem fra Fratelli d’Italia e Partito Democratico per ridisegnare le regole del gioco, considerando le forze politiche rimanenti non solo i partitini ma anche Lega Forza Italia, Movimento 5Stelle e naturalmente il Terzo Polo fra Azione e Italia Viva, come pericolosi quanto inutili cespugli, che andrebbero sanzionati dagli elettori.

Obiettivo di questo reciproco riconoscimento dell’altro come principale avversario potrebbe essere quello di dar vita ad una nuova Costituente per riscrivere finalmente la Costituzione, gli equilibri fra i poteri, e persino la legge elettorale.

Meglio dunque ricercare nel frattempo – pensano in molti a destra ma anche a sinistra – un’intesa sulle regole fra quello che certamente sarà il primo partito nel nuovo governo, ovvero Fratelli d’Italia (poco importa che sia stato la principale forza di opposizione al governo di Mario Draghi) e un Partito Democratico, destinato a diventare, a sua volta, la principale forza di opposizione al nuovo governo di Giorgia Meloni. Dopo tutto, a Giorgia Meloni, dopo averlo tanto criticato, potrebbe tornare utile disporre a sua volta molto plausibilmente di una figura autorevole e rassicurante come il presidente del Consiglio uscente, nelle difficili trattative che potrebbe essere chiamata ad affrontare – qualora venisse nominata premier –  con l’Unione Europea in materia di PNRR, sanzioni alla Russia, politiche energetiche e di riarmo, in un quadro geopolitico globale multipolare in cui si vanno peraltro ridisegnando due blocchi contrapposti. E su questo terreno trovare l’indispensabile convergenza con il leader della nuova opposizione Enrico Letta.

Un secondo Quarantotto alla rovescia

Il centrosinistra a trazione Letta, sin dal giorno della rottura fra Carlo Calenda ed Enrico Letta facente seguito all’apertura da parte di quest’ultimo ad una parte dei cespugli post comunisti e verdi ostili al governo Draghi, anziché puntare davvero ad un campo largo con forze moderate centriste ed europeiste intorno all’agenda Draghi per mantenere in sella l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, mira, come fece il Partito Comunista nei lunghi anni della guerra fredda, ad assicurare al PD di diventare il principale partito dell’opposizione, volendo fare delle elezioni del 25 settembre un secondo Quarantotto.

Con l’obiettivo di tornare dopo i tre poli dominanti nell’ultima legislatura ad uno scontro classico bipolare fra due coalizioni di centro destra e di centrosinistra.

Ragione per la quale taluni all’interno del PD avrebbero voluto imbarcare in extremis non solo Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, ma anche i grillini – il che non era praticabile dopo quanto avvenuto il 14 luglio il giorno in cui viene meno de facto il sostegno pentastellato a Draghi.

Certo è che il successivo divorzio di Azione e di Carlo Calenda malgrado il permanere di Emma Bonino e di + Europa nella coalizione di centrosinistra, sembrerebbe segnare un grave ostacolo sulla strada di questa convergenza sotto il segno della fair competition e significare con questa legge elettorale la vittoria quasi assoluta della coalizione avversaria di centrodestra in tutti i collegi o quasi. Insomma una vera e propria débacle come fu quel voto per la coalizione fra il PCI e il PSI di allora, che potrebbe raccogliere meno della metà dei seggi conquistati dalla coalizione di centro destra.

Le convergenze parallele fra Meloni e Letta

Con questi rapporti di forza dunque la polarizzazione voluta da Enrico Letta e non certo disdegnata da Giorgia Meloni, se sono veri i sondaggi e i rapporti di forza ivi disegnati, significherebbe solo per il centrosinistra una ripetizione della secca, sonora sconfitta del Fronte Popolare, impedendo la formazione intorno all’Agenda Draghi di una seconda e probabilmente più credibile alternativa alle destre populiste e sovraniste, senza ostacolare peraltro la possibile ed auspicabile svolta di Giorgia Meloni – se ne sarà capace dando prova al contempo di coraggio e di spregiudicatezza – al fine di traghettare definitivamente la sua area di provenienza (quella missina ovvero di un partito postfascista) nell’alveo delle grandi forze democratiche moderate e conservatrici del Dopoguerra che hanno avuto in figure come Alcide De GasperiKonrad Adenauer, Robert Schuman e Paul-Henri Spaak, gli alfieri della riconciliazione fra la Francia e la Germania, premessa per dar vita alla costruzione difficile dell’Europa.

Ma Giorgia Meloni non ha la forza e la credibilità di Alcide De Gasperi cosi come Enrico Letta – democristiano di formazione – non ricorda in nulla né Palmiro Togliatti né Pietro Nenni. Né i terzisti come Carlo Calenda e Matteo Renzi sono investiti dell’autorità rivestita allora da personaggi come Luigi EinaudiGiuseppe SaragatUgo La Malfa, Piero Calamandrei o Ferruccio Parri.

Sebbene viviamo una nuova guerra alle porte dell’Europa, il contesto è naturalmente completamente diverso e il paragone fra 25 settembre 2022 e 18 aprile 1948 finisce qui.

Mi limito pertanto a dire che la sconfitta del centrosinistra senza combattere in questo secondo Quarantotto è semplicemente una farsa. Non certo una tragedia come fu il sorgere cent’anni fa del fascismo che – piaccia o non piaccia a Umberto Eco – non è eterno: è durato infatti solo un ventennio. Legata a miopia politica e all’incapacità di superare il tabù sopramenzionato

L’astensionismo questa volta colpirà molto più pesantemente il centro sinistra dato ormai da tutti come sconfitto

Mentre in altre elezioni anche recenti come le amministrative un alto tasso di astensionisti ha favorito il centrosinistra, in questo caso dato l’ampio margine percentuale di distacco che secondo i sondaggi potrebbe essere anche di venti punti percentuali fra centrodestra e centrosinistra, è molto probabile che assisteremo ad un forte astensionismo fra l’elettorato di sinistra e l’en plein dei voti invece fra quello degli elettori della coalizione di centrodestra.

Ma complessivamente rischiamo di conoscere il 25 settembre il tasso più elevato di astensionismo alle elezioni politiche della storia repubblicana

Spero di essere smentito e che, nonostante la polarizzazione a favore di Fratelli d’Italia e forse anche del PD, anche le formazioni minori dentro le coalizioni (Moderati e Forza Italia, + Europa e centristi) riescano a mobilitare i propri potenziali  elettori alla stregua di quanto tenteranno di fare i grillini, il terzo polo e le altre liste minori. Invertendo la pericolosa curva di crescita dell’assenteismo.

Perché un forte astensionismo, addirittura un record, costituirebbe un vulnus per la democrazia. Rendendo comunque meno forte un parlamento che con la riduzione del numero dei propri eletti subirà anche – complice l’attuale elettorale chiamata Rosatellum – una riduzione della rappresentatività del paese e del volere degli elettori. E non costituirebbe certo il miglior biglietto da visita per continuare a pesare in seno all’Unione europea. Tanto più se questa nuova legislatura avesse una funzione anche Costituente di un nuovo edificio istituzionale.

Post scriptum rivolto a politologi e costituzionalisti. Incoraggiare la partecipazione e anche la scheda bianca attraverso un buon uso delle tecnologie digitali

Ancora due osservazioni come post scriptum.

In primo luogo inviterei il centrosinistra a confrontarsi con la proposta del semipresidenzialismo alla francese sostenuta in questi giorni dalla Meloni e a studiare attentamente il sistema maggioritario a doppio turno di collegio utilizzato per il rinnovo dell’Assemblée Nationale.

In secondo luogo inviterei la scienza politica a studiare meccanismi per combattere l’astensionismo e incentivare da un lato la partecipazione al voto. Dall’altro a favorire una maggiore interazione fra gli elettori e i propri rappresentanti in Parlamento ricorrendo magari all’intelligenza artificiale nella raccolta delle proposte e la formulazione relativa di nuovi disegni di legge su tematiche proposte dai cittadini – elettori

A cominciare dalle modalità che possono essere introdotte ricorrendo ad un buon uso delle tecnologie digitali. Anche per rendere molto più facile ad agevole l’esercizio del voto indipendentemente da dove ci si trovi al momento della consultazione.

Penso da un lato a misure per accrescere o diminuire il numero degli eletti in una determinata area in base al tasso di partecipazione espresso durante la consultazione elettorale.

Dall’altro ad incentivare i delusi e chi non è soddisfatto delle offerte politiche presenti in questa campagna elettorale,  ad andare in ogni caso a votare e semmai a votare scheda bianca. Meglio infatti votare scheda bianca che astenersi.

Studiare insomma meccanismi per far contare le schede bianche rappresentandole magari nell’aula parlamentare con uno scranno vuoto. Dando magari maggiore peso e anche risalto a chi vota scheda bianca. Prendendo ad esempio in esame modalità che consentano all’elettore che vota scheda bianca di poter comunque presentare idee,  suggerire proposte come fanno regolarmente alcuni cittadini con il deputato eletto nel proprio collegio.

Si potrebbe forse arrivare a pensare a strumenti tesi a punire le regioni meno virtuose conferendo incentivi (e un numero maggiore di seggi???) a quelle più virtuose sotto il profilo della partecipazione. Ma tutto questo prima andrebbe naturalmente studiato seriamente da politologi e costituzionalisti.