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Democrazia futura. Quando Boris Johnson era giornalista a Bruxelles e raccontava “euromiti”

di Giampiero Gramaglia, giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Bruxelles |

Il vizietto di un grande fabbricatore di "euromiti" negli anni in cui era Corrispondente del Telegraph.

Piccoli giornalisti con grande ego crescono; e diventano premier. 

La biografia di Boris Johnson, premier britannico ora dimissionario, è troppo ricca e vasta perché io possa pensare di aggiungerci qualcosa. 

Ma ho fossilizzate nella memoria alcune sue nitide immagini ai ‘rendez-vous de midi’ della Commissione europea verso la fine degli anni Ottanta. Allora il rito quotidiano dell’incontro con i giornalisti non era scialbo e scipito come oggi, che tutti lo seguono ‘da remoto’, nonostante l’avveniristica sala stampa allestita – pensando agli oltre mille giornalisti accreditati – nei sotterranei del Berlaymont, il palazzo a stella di cristallo che ospita il nucleo dell’Esecutivo comunitario.

A quei tempi, il ‘rendez-vous de midi’ era un appuntamento quasi obbligato: se non ci potevi essere, rischiavi di ‘bucare’ la notizia del giorno. Il porte-parole della Commissione e i suoi aggiunti distribuivano il pane azzimo dei loro comunicati stampa, conditi con il sale e il pepe delle risposte alle domande dei giornalisti – e, spesso, la notizia stava nella domanda più che nella risposta -.

Gli incontri, nella spartana sala stampa al primo piano, avevano un loro rituale. Nei banchi di destra guardando il tavolo dei portavoce, che non era su un podio, in prima fila c’erano i tenori di quella sala stampa: Ferdinando Riccardi, direttore dell’Agence Europe, la ‘bibbia’ bruxellese, sempre disteso e sorridente; Philippe Lemaitre, corrispondente di Le Monde; e John Palmer, corrispondente del Guardian. Domande, le loro, informate, precise, anche polemiche, ma spesso un invito a nozze per i portavoce, in particolare per il forbitissimo e diplomatico Manuel Santarelli, cui toccò il posto dopo la gloriosa stagione degli italiani Bino OliviRenato Ruggiero ed Enzo Perlot.

Poi, ecco la raffica delle agenzie, l’Afp con Jean Burner, la Reuters con Phillip Stevens, l’ANSA che io rappresentavo, la Dpa: domande fattuali, risposte più secche, talora con rinvio al pomeriggio perché i portavoce dovevano documentarsi. Ma quando alzava la mano per porre la sua domanda quell’impertinente giovanotto dalla zazzera improponibile che il Telegraph di Londra aveva spedito a Bruxelles, nonostante il Times di Londra lo avesse licenziato su due piedi al primo articolo per la sua inaffidabilità, il portavoce di turno dava segni d’agitazione: domanda imprevedibile, ma certamente malevola ed ‘euroscettica’.

Un tipo senza vergogna, alla Trump, l’allora giovine Boris: nel senso che poteva spararla grossa ed essere platealmente smentito, ma non ammetteva mai d’avere sbagliato e semplicemente la sparava più grossa la volta dopoFortemente critico dell’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors, Johnson s’impose ben presto come il giornalista più ‘eurocritico’ della sala stampa, dove, in realtà, l’europeismo era una specie di uniforme che quasi tutti portavano con convinzione (altrimenti, non andavi a lavorare a Bruxelles).

Il collega Boris, che parlava sempre ad alta voce e che, nelle veglie dei Consigli dei Ministri che finivano all’alba, faceva crocchio al bar con i britannici e gli irlandesi, la pinta di birra in mano, scrisse articoli in serie su storie totalmente inventate, ma destinate a diventare, grazie a lui, o, meglio, per colpa sua, ‘euromiti’raccontò che Bruxelles voleva bandire le patatine ai gamberetti e le salsiccette britanniche; e standardizzare le misure dei preservativi, nonostante gli italiani ‘ce l’abbiano più piccolo’; che la Commissione aveva reclutato ‘odoratori’ professionisti per accertarsi che il letame europeo avesse ovunque lo stesso odore; che gli eurocrati erano pronti ad armonizzare la curvatura delle banane, a limitare la potenza degli aspirapolvere e a imporre alle donne di dare indietro i loro vecchi giocattoli sessuali; che le banconote in euro rendono impotenti e gli spiccioli malati; e che c’era un piano per fare esplodere il Berlaymont, perché era zeppo di amianto e troppo pericoloso da viverci.

Quest’ultima era l’unica cosa vera. Ma il piano non era quello di fare esplodere il palazzo, spargendo letalmente polvere di amianto per tutta Bruxelles, ma di ‘bonificarlo’, come poi puntualmente avvenne, con un’operazione durata anni, ma portata a termine con successo. Quando Johnson non era più a Bruxelles e non faceva più il giornalista: sindaco di Londra, politico o premier, il ‘vizietto’ di raccontare di rado la verità gli è rimasto.