La riflessione

Democrazia Futura. Non solo vaccini ma anche sicurezza, appunti per un governo della pandemia dopo l’emergenza

di Michele Mezza, docente di culture digitali all’Università Federico II di Napoli |

Ragionamenti con il professor Andrea Crisanti su come prepararsi a convivere con una lunga transizione.

Michele Mezza
Michele Mezza

Anticipando alcune tesi di un libro-conversazioni in uscita nel giugno 2021, scritto avvalendosi di alcuni suoi “Ragionamenti con il Professor Andrea Crisanti su come prepararsi a convivere con una lunga transizione” (così recita l’occhiello), Michele Mezza presenta una serie molto dettagliata di “Appunti per un governo della pandemia dopo l’emergenza” che richiede “Non solo vaccini ma anche sicurezza”. In primis i suggerimenti prudentemente rivolti “a qualche collaboratore del Presidente del Consiglio” propongono “una strategia della prevenzione del contagio connessa a una visione sociale del territorio“. Mezza sottolinea poi come “La nuova bussola di questa opzione è il legame fra vaccini e sorveglianza. I primi sono centrali ed essenziali per estendere i margini di sicurezza e di immunità. Ma non sufficienti. La dinamica del virus, la sua interattività con le diversità del nostro organismo, e la spiccata attitudine ad un’accentuata mobilità che inevitabilmente conserviamo nelle nostre abitudini con un incessante spostarci da un punto all’altro del pianeta, ci impone di prolungare la fase di cautela e di controllo, introducendo in maniera sistematica un sistema organico sia di testing sia di tracing di massa”. Dopo aver descritto “gli errori compiuti verso gli asintomatici”, denunciato “una sequenza, reiterata e nominativa identificabile, di strategie sbagliate, decisioni intempestive, interessi opachi, e speculazioni elettorali che non possono rimanere solo materia per un generico sdegno” Mezza invita il nuovo governo ad avere il coraggio di cambiare completamente i comportamenti delle istituzioni”. 


Ci sono decenni in cui non accade niente e settimane in cui accadono decenni, diceva uno che se ne intendeva di accelerazioni della storia come Lenin.
In questi mesi di pandemia ogni giorno ha scandito la storia di molti anni, proiettandoci costantemente oltre ogni nostra capacità di previsione. Seguire gli eventi è diventato più  difficile, quasi impossibile prevederli.
L’invito che leggete nell’articolo qui di seguito, è stata pensato all’indomani della controversa decisione del governo del 26 aprile 2021, con la quale si contava di liberalizzare gradualmente le attività commerciali ed economiche. Una decisione che molti scienziati, fra cui Andrea Crisanti, con cui abbiamo a lungo ragionato nell’ambito di un libro conversazione che uscirà ai primi di giugno, hanno considerato frettolosa e intempestiva.
Proprio sulla base delle valutazioni di Crisanti, avevo pensato di rivolgere a “qualche collaboratore” del presidente del Consiglio Draghi una richiesta di attenzione e di considerazione per queste cautele che venivano richiamate da chi già nell’estate scorsa aveva ammonito il governo di allora a non muoversi con leggerezza o furbizia.
Ma proprio nelle scorse ore Draghi in prima persona ha mostrato forse di non avere bisogno dei miei appunti, frenando le pulsioni di chi, per opportunismo o speculazione, voleva forzare la mano al governo, e rimuovere ogni limite al ripristino della normale circolazione.
Rispetto al silenzio della politica, e dei partiti che dovrebbero presidiare questa frontiera del rigore, il premier si è assunto direttamente la responsabilità di tenere dritta la barra e di leggere con attenzione i dati reali che affiorano da un processo contagioso ancora complesso e imprevedibile.
 A questo  premer non posso certo io suggerire nulla, se non aggiungere alle sue naturali e accorte prudenze, alcuni spunti tecnici, mutuati dalla scienza e dalla coscienza di un virologo in prima linea, solo per dare più forza e sostegno alla sua testimonianza civile.

Mi sia concesso di aggiungermi alla lunga fila di esperti e consulenti che ormai si aggirano nei diversi spazi, reali e virtuali, del nuovo governo, reclamando l’attenzione di qualche collaboratore di Mario Draghi, non certo per la presunzione di potergli presentare soluzioni ai molti problemi che si parano dinanzi alla sua opera.

Piuttosto mi spinge un qual certo senso civico che sollecita un cittadino a concorrere, come recita la nostra Costituzione, al governo complessivo del paese, con contributi che ritenga utili e necessari. La nostra carta fondamentale in realtà indica i partiti come snodi di questa partecipazione che invera la nostra democrazia. Ma come si sa bene, per esserne non so quanto consapevole e compiaciuta conseguenza, che di questi tempi il sistema dell’organizzazione autonoma dell’attività politica vive un momento congiunturalmente negativo che dovremmo tutti insieme, costi quel che costi mi verrebbe da dire, riattivare aggiornandone forme e linguaggi.

Nell’attesa, e trovandoci in una emergenza pressante quale la pandemia, che non vedo certo declinare, mi anticipo cercando un modo per far arrivare al nostro governo il senso di un lavoro che vede come protagonista il professor Andrea Crisanti, microbiologo, direttore del relativo istituto dell’università di Padova, nonché responsabile dell’analogo settore dell’ospedale che nella primissima fase del Covid-19 intervenne felicemente, e non furono molti, recintando la diffusione del contagio nella comunità di Vo’.

Con lui sto completando un testo che Le invierò nelle prossime settimane – un libro edito da Donzelli dal titolo Caccia al Virus, soluzioni e strategie per evitare gli orrori che si ripetono – di cui qui anticipo i passaggi che ritengo possano integrare e supportare la strategia del governo nei confronti di un tema, la pandemia, che non dovrebbe mai essere affrontato, come invece mi pare accada, con la sbrigativa e militaresca frenesia di chiudere una crisi momentanea.

La clamorosa posizione assunta dal presidente americano Biden a proposito di una possibile sospensione dei vincoli imposti alla produzione di vaccini  dai brevetti privati , ci comunica che aspetti non secondari  di un nuovo mondo in cui ci sta sospingendo il virus sono evidenti. A partire proprio dal superamento di compatibilità economiche, etiche e statuali che fino ad ora sembravano invalicabili.

Con il professor Crisanti siamo infatti partiti dalla constatazione che abbiamo a che fare non con una crisi, che per quanto grave si risolverebbe restituendoci alla fase precedente l’emergenza, ma con una transizione, di lunga lena, che ci sta accompagnando verso un eco sistema radicalmente diverso da quello che abbiamo alle spalle.

Un mondo di cui l’assistenza sanitaria  si annuncia come un driver, una bussola, dell’intero sistema di nuova cittadinanza, inesorabilmente incardinato sulla centralità di uno stato come impresario di relazioni e servizi volti alla sicurezza di tutti, in cui la proprietà stessa può apparire una ragione del tutto contingente, se non proprio ostile, come recentemente ha sollecitato anche Papa Francesco.

Per una strategia della prevenzione del contagio connessa a una visione sociale del territorio

Proprio sui riflessi sociali più generali che la pandemia sta generando e che questo paese, attraverso i diversi governi, sta subendo senza reagire c’è quella che il direttore di Lancet Richard Horton ha chiamato la sindemia, ossia una epidemia che si alimenta dalle diseguaglianze sociali prima ancora che dagli effetti patologici di un virus. Su questo Crisanti sostiene che “Io penso che così come rimarrà l’epidemia come pericolo e minaccia costante che costringe la società a rivedere norme e valori della sua coesistenza, anche in maniera profonda, così dobbiamo costruire in maniera sistematica e permanenti reti e modelli di comportamento in grado di limitare gli effetti paralizzanti della paura. I vaccini sono rimedi che al momento sappiamo essere momentanei. Da rinnovare annualmente, con un’efficacia che temporalmente dovremo ancora studiare, soprattutto per quanto riguarda la reazione alle varianti continue del virus. In queste more non possiamo far consolidare un istinto di timore e di diffidenza per ogni contatto sociale. La cultura del Noli me tangere, la separazione in caste socio immunizzanti in cui quelli che possono si barricano nei propri privilegi, che abbiamo  richiamato anche nel libro precedente[1] rischia di lasciare solchi profondi in una struttura sociale già troppo differenziata e segmentata per identità censuarie e proprietarie. Se dovessero sovrapporsi e identificarsi  le categorie di immunizzazione con quelle di reddito ci troveremo in una società di stampo feudale, a caste, che sarebbe forse la peggiore eredità di questa pandemia.

Per questo penso che la strategia di una territorializzazione della prevenzione del contagio, mediante una fitta rete sociale in grado di generare attività di testing e tracciamento in maniera pulviscolare, bonificando subito gli ambiti di insorgenza di una possibile nuova forma di infezione, non risponde solo ad una logica sanitaria ma è strettamente connessa ad una visione sociale di una convivenza attiva e mobile sul territorio.

Su questo bisogna concentrare competenze e risorse. Bisognava farlo da subito. Ne avevamo le esperienze e ci era stato indicato con chiarezza dalla comunità internazionale. Invece abbiamo sprecato ingenti capitali, circa 400 milioni per i test rapidi, che si rivelano ormai sempre più approssimativi e limitati nella loro azione di identificare le forme reali di positività, invece di costruire gradualmente queste reti di controllo e di presidio terapeutico. Dobbiamo dire con forza e senza volerlo usare strumentalmente per attaccare questo o quello, ma non aver imboccato questa strada è stata un errore, grave, gravissimo. Aver continuato a declamare il modello Italia basato su una strategia di contact tracing. Per altro illusoria e inefficacie, escludendo altre opzioni, anche dinanzi all’evidenza, ci ha estenuato in una corsa ad un virus che non era mai dove lo cercavamo”.

Sono considerazioni che proprio alla luce da quanto è stato innescano dall’annuncio della Casa Bianca che richiamavamo, assumono uno spessore e una concretezza che credo non siano facilmente archiviabili, come invece fino ad oggi è accaduto.

***

Questa banale considerazione – transizione, e non crisi, verso una società immunizzante – ci pare che non sia stata sufficientemente soppesata dall’insieme dei collaboratori di Mario Draghi, così come, dobbiamo rassicurarlo, era del tutto assente nell’orizzonte del suo predecessore Giuseppe Conte. Sgombriamo così il campo da qualsiasi misera ombra di polemica politica. Non siamo qui a vendere tappeti propagandistici, ma solo a offrire, se ritenuto utile, un contributo concreto. Il contesto che ospita questi nostri appunti, ce ne fa fede.

Una tale impostazione di riformulazione di un sistema diverso di statualità, dovrebbe guidare anche la strategia economica, dove non rintracciamo invece i segni di investimenti che possano orientare realmente la nuova società che il virus ci impone.

La riorganizzazione della sicurezza: vaccini e sorveglianza

In alcuni passaggi del nostro testo che qui anticipiamo, così Andrea Crisanti ci indica le caratteristiche di questa organizzazione di sicurezza: “Ci dobbiamo abituare a pensarci come su una bilancia. Su un piatto avremo il virus che cerca implacabilmente di riprodursi, sfruttando ogni opzione e possibilità che la nostra vita gli offre, la scuola, le vacanze, gli ambienti affollati, i contatti sociali. Sull’altro piatto metteremo tutte le accortezze e le soluzioni farmacologiche, tecnologiche e sociali che attiveremo per stroncare questa sua aggressione.

Esattamente come su una bilancia in equilibrio: se tu togli un elemento da un piatto per ricostituire il bilanciamento devi pareggiare dall’altra parte. Se tu apri le scuole, o autorizzi attività commerciali o sociali, dovrai inevitabilmente compensare con soluzioni di monitoraggio, controllo e tracciamento che permettano di soffocare ogni possibile ripresa dell’infezione. Questo sarà il criterio anche per i prossimi anni. Dovremo aggiornare costantemente questo equilibrio, rivedendo le proporzioni e l’efficacia di ogni soluzione alla luce del nuovo quadro epidemiologico.

Questo significa  concretamente che non torneremo come prima. Ce lo siamo detti, forse non tutti hanno compreso o condiviso la drasticità di questa realtà. Con la pandemia il welfare, la socialità, la nostra vita si carica di una nuova regola, di un codice comportamentale che deve diventare indissolubile con ogni nostra scelta”.

La nuova bussola di questa opzione è il legame fra vaccini e sorveglianza. I primi sono centrali ed essenziali per estendere i margini di sicurezza e di immunità. Ma non sufficienti. La dinamica del virus, la sua interattività con le diversità del nostro organismo, e la spiccata attitudine ad un’accentuata mobilità che inevitabilmente conserviamo nelle nostre abitudini con un incessante spostarci da un punto all’altro del pianeta, ci impone di prolungare la fase di cautela e di controllo, introducendo in maniera sistematica un sistema organico sia di testing sia di tracing di massa. Una concatenazione che va gestita con la serietà e l’onestà intellettuale che ci deve far riconoscere due altre conclusioni:

in primo luogo per test consideriamo esclusivamente i tamponi molecolari e non i cosiddetti tamponi veloci che non assicurano né la necessaria precisione nella determinazione del virus né la capacità di coglierne le varianti. Produciamo confusione se continuiamo a mischiare i due esami; la seconda conclusione riguarda il legame fra test e sequenziamenti che nel nostro paese mancano completamente nella catena  epidemiologica. L’esempio inglese ci mostra che senza innestare un network che connetta test a esami di sequenziamento non avremo mai il quadro reale delle attività del virus e continueremo a combattere un nemico mobile al buio.

Gli errori compiuti verso gli asintomatici

Ad unire le diverse fasi della pandemia è innanzitutto un errore concettuale che vediamo ancora reiterarsi: ignorare ogni strategia per neutralizzare gli asintomatici come portatori principali del virus. Proprio la sua esperienza vincente a Vò permette al professor Crisanti di affermare che :

Gli Asintomatici sono stati inizialmente ignorati, diciamo fino a tutto marzo, e poi marginalizzati come oggetti da ricercare e recintare. In questo buco nero siamo caduti e stiamo ancora oggi pagando la difficoltà di adattare i nostri strumenti di contrasto al contagio con una dinamica che appunto procede attraverso la relazione con una gamma vasta di portatori sani. Più o meno abbiamo calcolato che circa il 45 percento della massa del trasferimento del virus da un soggetto all’altro è prodotto dagli asintomatici. Questa falla va tappata se vogliamo smettere di imbarcare acqua a bordo per poi svuotarla con un secchiello. Guardiamo cosa è accaduto nei paesi dove si è combattuto meglio l’epidemia, da Singapore alla Corea del Sud alla Nuova Zelanda o Taiwan: un’azione di testing a tappeto proprio per mappare e circoscrivere i portatori inconsapevoli di Covid-19“.

Per riuscire a tappare la falla non ci vuole una bacchetta magica ma una politica che investa il territorio e mobiliti collaborazioni e persuasioni sociali. A cominciare dalla convinzione che si tratta di un fenomeno che si prolungherà nel tempo , oltre ogni emergenza.

Questo è il nodo che ci pare del tutto esorcizzato: i vaccini sono un potentissimo motore, ma il volante per guidare il convoglio rimane la capacità di estendere sul territorio, in una logica di welfare della sicurezza e non certo di controllo poliziesco, una griglia permanete di testing che isoli rapidamente ogni ulteriore soggetto positivo, soffocandone la contagiosità. La Speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Il primo per riconoscere la realtà delle cose, il secondo per cambiarle. Lo diceva sant’Agostino, forse il più complesso e valente degli antesignani delle figure di tecnico che affianca un decisore, in questo caso il supremo decisore. Nella sua opera intellettuale, densa e sempre intessuta di saperi complessi, Sant’Agostino aggiungeva una passione umana che lo rendeva  vicino ad ogni suo interlocutore, anche il più umile. Forse era questa passione che gli permise di integrare lo sdegno, che non manca quasi mai negli sguardi alteri di esperti e sapienti dinanzi agli orrori terreni, con il coraggio per compromettersi nelle cose umane, per cambiare la realtà che fa orrore.

L’effetto pandemia e il coraggio di cambiare i comportamenti delle istituzioni

La pandemia ci sta proponendo una gamma infinita di orrori ed errori, ci permettiamo di aggiungere, che non ci pare volga al termine .Insieme ad opportunità e speranze che vogliamo valorizzare e dobbiamo cogliere. Se non altro per l’alto prezzo che abbiamo pagato e per l’ambizione che abbiamo nel non rendere inutili quelle sofferenze.

I numeri delle vittime, dei contaminati, degli intubati nelle terapie intensive, che sembrano ballare così capricciosamente, facendo impennare da un mese all’altro le curve che vengono disegnate dai molteplici esperti, non ci parlano di un destino cinico e baro, ma documentano una sequenza, reiterata e nominativa identificabile, di strategie sbagliate, decisioni intempestive, interessi opachi, e speculazioni elettorali che non possono rimanere solo materia per un generico sdegno, devono reclamare il coraggio di cambiare completamente i comportamenti delle istituzioni.

Per questo con questi nostri appunti ci rivolgiamo direttamente al Governo di Mario Draghi. I codici cromatici, la gerarchia dei colori, che sono ancora in queste settimane  esibite dal Presidente Draghi, come dal precedente, per comunicare  una sorta di termometro di severità nell’organizzazione della nostra vita, ci sembrano il segno visibile della futilità del pensiero che le produce. Sappiamo bene gli sforzi quotidiani, più volte in uno stesso giorno, per rendere convergenti le parallele delle politiche regionali. Così come comprendiamo l’affanno nell’inseguire una realtà come quella più generale del virus nelle sue mutazioni, che produce nell’’Unione Europea sussulti scomposti e a volti inspiegabili, dove si smarrisce ormai ogni senso di una certa solennità che la scienza deve sempre conservare, anche nei momenti più critici.

Ma non possiamo non constatare che, a più di anno dalla esplosione di questa tragedia globale, si  continui a pensare che siamo alle prese con un terremoto o un evento bellico, una catastrofe che si realizza nel momento in cui accade e che richiede poi interventi di ripristino, e di messa in sicurezza dei superstiti, una volta per tutte, in uno stato di quiete. Non è così.

Una pandemia, ce lo hanno detto fino alla nausea gli osservatori di ogni cultura e tradizione che si sono cimentati, come  letterati, medici, matematici, ricercatori, statistici, è una deformazione delle nostre relazioni. Un fenomeno sociale che rimane in divenire, che non può essere ingabbiato se non se ne individuano, decodificano e governano due essenziali fattori: i dati, per prevenirne la dinamica; i comportamenti umani per evolvere secondo le necessità terapeutiche.

In entrambi i casi ci stiamo muovendo largamente al di sotto delle necessità, e i risultati sono implacabilmente coerenti. Questa volta Georg Wilhelm Friedrich Hegel trova una conferma spietata: il reale è razionale. Nel male, perché ci mostra gli effetti degli errori, nel bene, perché  la tenacia dei numeri ci aiuta a risalire alle cause.

L’esplosione del marzo 2020 in Lombardia e Veneto con la scandalosa vicenda delle RSA, la mattanza in aprile nelle valli bresciane e bergamasche, la momentanea mitigazione del contagio a giugno, dopo due mesi di lockdown, con l’immediata ripresa del virus da agosto, e la concatenazione fra seconda e terza ondata a Natale non potrebbero spiegarci meglio  cosa abbiamo sbagliato, dove e chi ha sbagliato, e anche ci dicono in cosa continuiamo però a perseverare.

Che cosa non ha funzionato: errori e orrori in questi ultimi quattordici mesi

Potremmo dire che abbiamo usato, continuiamo ad usare, il lockdown come una clava, un’arma finale, come sostitutivo di una politica attiva che incalzasse e restringesse gli spazi di movimento del virus. E’ evidente che bloccando tutto, anche se nel governo Draghi continua a esserci chi ritiene ancora che siamo dinanzi ad una influenza solo più esasperata, si abbassano le curve. Ma poi? riaprendo come tocca ogni volta, che accade se nel frattempo non siamo riusciti ad usare l’attenuazione del contagio per introdurre cambiamenti reali che mutano la nostra capacità di reazione?

Certo oggi abbiamo i vaccini. Ma quale logica temporanea ci indicano: provvisorietà della copertura, imprevedibilità delle varianti, difficolta nelle somministrazioni, concatenazioni di contagi? Sono tutti elementi che rendono i vaccini una strategia indispensabile ma non esaustiva. Dobbiamo governare una transizione abbiamo detto, con strumenti che si rivelino adatta a processi sociali spalmati nella storia e non concentrati nella cronaca. Pensiamo solo al fatto che dopo un anno ancora ci interroghiamo sul perché il nostro debba essere un paese senza un sistema di tracciamento efficacie e funzionale? perché? perché Immuni deve languire sui nostri telefonini come una lapide? Una app inerte, a volte persino irritante quando si sveglia per darci informazioni inutili e indecifrabili. Abbiamo inventato la prima app omertosa, che non parla, non ti dice dove hai incrociato il positivo. Non ti permette di localizzarne il luogo e l’ora.

Non alzi il sopracciglio per segnalarci inevitabili questioni di privacy. Come capo di un governo il presidente Draghi sa meglio di me che ogni giorno gestisce infinite eccezioni alla privacy dei cittadini: uno Stato, ci direbbe Carl Schmitt inizia proprio in continue emergenze, delimitando le mille eccezioni alla libertà individuale. Tanto più se poi arriviamo ad affidare queste delicatissime eccezioni alla nostra privacy, che neghiamo alla sanità pubblica, in outsourcing, a Google, Amazon e Facebook che si sono arrogati il diritto per esercitare autonomamente l’arbitrato nella nostra vita con i loro algoritmi per tracciarci a fini commerciali.

La domanda che rivolgiamo rispettosamente al Presidente del Consiglio è: quanti morti ancora ci vogliono per far fare alle autorità sanitarie del governo che presiede quello che un qualsiasi programmatore dei monopoli privati di rete fanno da anni?

I due fattori che caratterizzano una pandemia

Veniamo qui al primo dei due fattori che costituiscono una pandemia. Ci ricorda il professor Crisanti che già nella devastante epidemia dell’Influenza Spagnola, a cavallo della prima guerra mondiale, Ronald Ross, il padre dell’epidemiologia moderna, ci avvertiva che “un’epidemia è innanzitutto un fenomeno matematico che va aggredito a partire dalle tecnicalità del calcolo“. Vogliamo farlo? Vogliamo porci finalmente il tema dei dati da acquisire, elaborare e usare per prevenire il virus e non inseguirlo? Si tratta – questa dei dati di sistema – di una tipica forma di efficienza deterministica che dovrebbe essere più famigliare a questo governo delle fumisterie ideologiche. Senza dati di rete si muore, ci ammonisce Crisanti. E fino ad ora è andata così.

Vogliamo chiederli a Google e Apple questi maledetti dati o invece, come sosteneva uno dei ministri del governo precedente “non vogliamo disturbarli“? Siamo arrivati, come accade spesso, dopo il danno alla beffa. A metà aprile Google è arrivato a diffondere un mobility report (2)in cui scannerizza dettagliatamente i movimenti di qualsiasi essere umano sul pianeta comunque si sposti: a piedi, con un mezzo pubblico, o privato, urbano o extra urbano, riuscendo a dedurne anche destinazione e origine. Una cartografia perfetta che permetterebbe ad ogni autorità sanitaria di ricavare quelle mappe per l’immunizzazione che l’app Immuni non riesce nemmeno a evocare. Questi dati, annuncia con protervia il grande motore di ricerca, sono stati “anonimizzati”. Dal ché si deduce che in origine non lo erano, e dunque Google, tramite la convergenza dei suoi sistemi di telefonia mobile (il suo sistema operativo Android controlla il 78 percento del mercato planetaria) più altre soluzioni come Gmail o Google Maps, è in grado di geo-referenziare singolarmente o in gruppo ogni utente. Esattamente quello che era stato vagheggiato dagli epidemiologi che affermano che senza questi dati si muore.

Come spiegare ai nostri lettori dinanzi a questa arroganza che nulla si muove? Che, ad esempio, il nostro governo continua a non sapere quante delle app Immuni scaricate dagli italiani siano state attivate e dove, informazione non banale se integrata ad un grafo complessivo dei comportamenti immunizzanti nelle diverse regioni? e questo accade perché Apple, uno dei due monopolisti dei sistemi operativi che dominano il mercato delle comunicazioni mobili, ritiene di non fornire questa informazione ad uno Stato sovrano in emergenza pandemica? Ma c’è qualcosa di più strutturato che il ministro Roberto Cingolani potrebbe spiegare meglio di quanto non possiamo fare noi.

I dati epidemiologici fotografano situazioni pregresse, mentre il virus si muove in tempo reale. Dobbiamo avere indizi più precisi per mappare i focolai di infezione che si annunciano, non quelli che sono già esplosi. Esattamente come fanno  Google, Amazon e Facebook che mappano desideri e comportamenti che guidano future decisioni degli utenti, non constatano le decisioni precedenti. Abbiamo strumenti per dotare la sanità di questi accorgimenti che guidano i mercati da alcuni decenni.

Ci spiega Alessandro Vespignani, uno dei più prestigiosi matematici che ci sta raccontando la pandemia più e meglio dei medici o dei virologi non a caso, che “il comportamento dei virus informatici  non appare diverso e separato per la sua mobilità dai virus biologici: sono entrambi famiglie di particelle che si muovono seguendo le leggi della fisica, e gli scambi infettivi sia tra persone che fra computer, sono grafi che congiungono i nodi di una rete, per questo dobbiamo vederli come entità che seguono dinamiche sovrapponibili le une alle altre” (3).

Il coronavirus si muove in sostanza come uno dei più temuti, ma largamente noti ormai, malaware che infestano i sistemi digitali più sofisticati e specificatamente rispondono a modelli concettuali propri delle forme di intelligenza artificiale, che non a caso stanno supportando, affiancando, e in larga parte persino sostituendo le procedure diagnostiche ed epidemiologiche mediche. Lo stesso accade per i comportamenti umani: noi ci muoviamo secondo le regole delle particelle fisiche ed è questo che ancora ci sfugge: come prevedere i movimenti dei positivi e degli asintomatici. Non possiamo rimanere a mani nude in questa guerra dei dati: uno Stato deve essere padrone dei propri numeri, delle informazioni che determinano le decisioni. Al momento non è così.

Qui incappiamo nel secondo punto che caratterizza una pandemia: i portatori del virus e le loro relazioni sociali. Abbiamo alle spalle un’esperienza che non sarà ricordata come esemplare. Migliaia di persone sono morte senza sapere nemmeno perché. Perché sono state trattenute a casa senza ragione, perché non si sono riconosciuti i sintomi, perché si sono introdotti soggetti risultati positivi in ambienti fragili, perché non si sono mappati gli asintomatici, che andavano e vanno ancora braccati  sul territorio.

La vaccinazione ci ha dato un esempio di come in alcune regioni si possa procedere in maniera efficiente e efficacie. Allungando sul territorio reti sociali che integrino la sanità come driver dicevamo. Ma dobbiamo attrezzarci ad una guerra di trincea, per mantenere un linguaggio aderente al clima instaurato  attualmente. Una guerra di posizione dove bisogna organizzare la convivenza con forme nuove di contagio.

Per farlo spero che il governo Draghi voglia riesaminare gli errori del passato recente, e considerare le attuali perseveranze. Nel nostro libro con Crisanti analizziamo dettagliatamente quanto è accaduto e arriviamo ad una conclusione che così sintetizza il professore dell’università di Padova partendo proprio dalle responsabilità che non possiamo offuscare: “erano chiare anche allora, così come sono chiare oggi le diverse responsabilità. Se andiamo a rivedere le cronache del tempo rintracciamo tutti gli avvertimenti, le indicazioni, gli ammonimenti che avrebbero potuto limitare gli effetti di quella sciagurata orgia liberatoria. E questo senza nemmeno limitare monasticamente le vacanze. Bastava accompagnare ogni rimozione dei divieti, ogni autorizzazione a movimenti e a contatti con altrettante misure di controllo: bisognava fare molti più tamponi, molti più test, molti più controlli negli spazi pubblici per almeno recintare il contagio conseguente. Invece ci siamo limitati a dare segnali contraddittori, senza neanche suffragarli con misure passive, come sono i tamponi: ricordiamoci che nel momento di massima promiscuità ne facevamo 75 mila al giorno, mentre ne servivano almeno 400 mila

A modestal Proposal. Per un Welfare della sicurezza

Consentiteci di illustrare sia pure a sommi capi questa nostra proposta: un welfare della sicurezza che accompagni le 500 mila vaccinazioni al giorno, come fissato dal generale Francesco Polo Figliuolo con 400 mila test che quotidianamente ingabbino i contagi che sopravvivono. E’ questo l’indice di civiltà di un paese che deve esportare questo modello. Non basta realizzarlo in Italia e nemmeno in Europa, lo dobbiamo sapere quando parliamo di negoziare i vaccini: dobbiamo negoziare la sicurezza per tutti per assicurarci l’immunità per noi.

Io spero che qualcosa di quello che abbiamo messo a fuoco, soprattutto per quanto la testimonianza del professor Crisanti possa rappresentare, risulti utile all’impegno del Governo Draghi che non manca certo. Ma spero di più: mi auguro che queste proposte possano incontrare decisori che sappiano bene come misurare e analizzare, oltre i numeri, anche il dolore che ormai attraversa la nostra comunità. Non possiamo pensare di governare un corpo sociale dilaniato da una molteplicità di storie senza che queste arrivino a parlare al potere tramite il dolore che producono nella società. In molti casi abbiamo visto orrori ed errori prodotti proprio dall’incapacità delle istituzioni a interpretare e condividere il linguaggio del dolore.

Come ci dice il pensiero di un grande filosofo contemporaneo, di cultura tedesca ma di origine sud coreana come Byung-chul Han, che nel suo ultimo saggio La società senza dolore (4) ci ricorda che  “solo la vita che è capace di provare dolore riesce a pensare”. E dobbiamo ancora pensare tanto per essere immuni.

Mi auguro che il governo Draghi a cui rivolgiamo questa nostra modesta proposta, sappia davvero tradurla in decisioni tempestive quanto improrogabili. Per governare al meglio la lunga transizione che ci attende.

Note a fine testo

(1) Michele Mezza, Il contagio dell’algoritmo. Le Idi di marzo della pandemia. Con un saggio di Andrea Crisanti, Roma, Donzelli, 2020, 188 p. 

(2) Google, Covid-19. Rapporti sugli spostamenti della comunità. “Google Maps utilizza dati aggregati e anonimi per mostrare quanto sono affollati determinati luoghi, così da identificare per esempio gli orari di punta di un negozio: le autorità sanitarie ci hanno detto che questo stesso tipo di dati aggregati e anonimizzati potrebbe essere utile per prendere decisioni critiche nella lotta a COVID-19. Nel rispondere alla pandemia di COVID-19 in ogni parte del mondo, è cresciuta sempre di più l’attenzione verso le strategie di salute pubblica, come le misure di distanziamento sociale, al fine di rallentare la velocità di trasmissione o programmare la riapertura nelle aree soggette a restrizioni sugli spostamenti”. https://www.google.com/covid19/mobility/

(3) Uscito nel quotidiano on line The Post Internazionale. Cfr. www.tpi.it

(4) Byung-chul Han, Palliativgesellschaft. Schmerz heute, Berlin, Matthes & Seitz, 2020, 87 p. Traduzione italiana di Simone Aglan-Buttazzi: La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, Torino, Einaudi, 2021, 80 p.


[1]Michele Mezza, Il contagio dell’algoritmo. Le Idi di marzo della pandemia. Con un saggio di Andrea Crisanti, Roma, Donzelli, 2020, 188 p.