riflessioni

Democrazia Futura. Le reazioni estere alla vittoria di Giorgia Meloni

di Giampiero Gramaglia, Giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Bruxelles |

Tre fasi, fra preoccupazioni, demonizzazioni e cautele sul primo governo di destra della Repubblica. Come hanno reagito le Cancellerie e la stampa internazionale alla vittoria della Meloni.

Giampiero Gramaglia analizza per Democrazia futura “Le reazioni estere alla vittoria di Giorgia Meloni” sia delle Cancellerie sia della stampa internazionale distinguendole in “Tre fasi, fra preoccupazioni,  demonizzazioni e cautela sul primo governo [guidato da un esponente della] destra nella storia italiana”.

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Giampiero Gramaglia

Sono state a tre stadi le reazioni dei media e degli interlocutori internazionali dell’Italia ai risultati delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 e alla designazione e all’insediamento del governo Meloni[1], il primo italiano guidato da una donna e il primo repubblicano trainato da un partito che nei simboli e nel linguaggio si richiama al passato fascista.

La prima fase. Le preoccupazioni della vigilia del voto

La prima fase è quella dell’imminenza delle elezioni. I media esprimono timori e preoccupazioni, specie quelli mainstream occidentali, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dalla Francia alla Germania. C’è sentore di novità in Italia: il granitico atlantismo e il certificato europeismo del Governo Draghi costituivano certezze affidabili per i nostri partner, nonostante l’Esecutivo ‘di salvezza nazionale’ fosse sostenuto da una coalizione caravanserraglio, alcune delle cui componenti simulavano atlantismo od europeismo e magari entrambi. Partner e alleati ci avevano fatto ‘la bocca buona’, anche se tutti sapevano che ‘vatti a fidare dell’Italia!’, c’è sempre una sorpresa e un nuovo governo dietro l’angolo.

A livello planetario, la stagione degli imbonitori di menzogne divenuti leader a forza di post verità, Donald Trump e i suoi cloni Boris Johnson e Jair Messias Bolsonaro, pareva al tramonto, anche se per certificare l’uscita di scena del brasiliano c’è voluto un ballottaggio; e anche se c’erano pure segnali discordanti, ad esempio dalla Svezia. Gli italici ‘venditori di fumo’ parevano essere stati ridimensionati e contenuti da ‘Super Mario’ a Palazzo Chigi

Media e partner hanno provato ad arginare l’onda di destra annunciata dai sondaggi con sortite ed interventi prevedibilmente letti come inaccettabili interferenze, anche quando altro non erano che mosse preventive, sostanzialmente inutili e forse addirittura controproducenti.

Quando, in Francia, si profila un rischio Le Pen all’Eliseo, che sia il padre, nel 2002, o la figlia, nel 2017 e di nuovo nel 2022, nessuno si scandalizza se da Washington e da Berlino, da Madrid e da Roma, vengono appelli alla ‘Francia repubblicana’ perché dica no, come puntualmente avviene, alla prospettiva xenofoba e sovranista.

La seconda fase fra ovvietà, dubbi, demonizzazioni (il fascismo è tornato?) e approvazioni (Fox)

La seconda fase è stata quella a caldo dopo il voto, con una constatazione dell’ovvio quasi corale da parte dei media: si va verso il primo governo di destra, o di estrema destra, in Italia, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, ha vinto le elezioni politiche italiane 2022 –

Di solito accade che, in barba alle deprecate ingerenze, che sono tali solo quando le fanno gli altri, durante la campagna elettorale e fino alla vigilia del voto, i nostri partner internazionali, gli Stati Uniti d’America, l’Unione europea, la Nato, i fratelli maggiori Francia e Germania, preoccupati a prescindere dal cambiamento, insistano sui rischi dei populisti, degli euroscettici e magari pure dai putiniani al governo. Poi, quando s’è votato, tutti si convertono, almeno nel breve termine, alla ‘real politik’: l’omaggio ai nuovi potenti, nel rispetto della volontà popolare (e nell’attesa di vederne le prime mosse, se davvero la bestia è brutta come la si dipingeva).

E, così, scrosciano le dichiarazioni di disponibilità a lavorare con il nuovo governo, che, dal canto suo, fa di tutto per mostrare di sé un volto moderato e accettabile nel salotto buono della diplomazia internazionale.

Questa volta, poi, l’Unione europea si è portata avanti, per evitare di ritrovarsi impantanata nelle sabbie mobili: ha sbloccato, alla vigilia del voto, la seconda fetta dei soldi promessici in funzione del Pnrr, sempre che noi facciamo le cose pattuite. Così, ora, può aspettare di vedere dove l’Italia di Meloni uscita dalle urne va a parare, prima che venga il tempo di erogare, o meno, altri fondi.

Lo scenario abituale si sta, in qualche misura, ripetendo.

Ma l’attenzione dei media internazionali e la titolazione quasi concorde di media autorevoli e non succubi di altrui visioni governative dicono che il voto dell’Italia è percepito come una svolta ed è probabilmente capito meglio di quello – all’estero indecifrabile – del 2018, perché, allora, indecifrabile era il Movimento 5 Stelle.

Accanto alla franchezza dei media,  prevale dunque la cautela opportunistica dei governi partner e alleati, che non hanno alternativa al dichiararsi pronti a lavorare con i nuovi leader italiani, nel rispetto dell’esito delle elezioni.

Qui colpisce, piuttosto, la frettolosa e ossequiosa tentazione di molti media italiani a trasformare un “looking forward” di ordinaria routine in una manifestazione di impaziente e fremente desiderio di lavorare insieme.

La notizia sui media nel mondo

Un tratto comune a molti commenti è la diffidenza: verso le conversioni ‘last minute’, che sanno d’opportunismo, all’europeismo più che all’atlantismo, di forze che hanno radici e frequentazioni che nulla hanno di europeista; e verso la deriva populista di un Paese i cui due terzi dei voti hanno quella matrice – e se ci aggiungiamo il qualunquismo delle astensioni arriviamo ai tre quarti -. L’Italia, che era la terza forza dell’asse europeista Francia – Germania, potrebbe cambiare campo e fare comunella, sui temi dell’integrazione, con chi frena

Anche sul fronte della guerra in Ucraina, c’è più cautela a Bruxelles che a Washington: se la tenuta della linea anti-invasione pare garantita, la compattezza europea su sanzioni e energia, già incrinata, potrebbe creparsi.

Il Washington Post scrive:

“l’Italia s’appresta ad avere il primo governo di estrema destra dai tempi di Mussolini … I risultati rendono molto probabile che Giorgia Meloni diventi la prima donna premier in Italia… Il suo partito, Fratelli d’Italia, avrà più seggi che ogni altro partito in un contesto parlamentare frammentato”

Per il New York Times:

“La vittoria del partito di estrema destra proietta Meloni premier, la prima donna in Italia e la prima con radici post-fasciste… Ci vorranno settimane perché il nuovo Parlamento s’installi e il nuovo governo si formi”.

Analisi più articolate si possono leggere su Politico.eu e su molte altre testate. Ma talora le sortite degli amici sono più rivelatorie di quelle degli analisti, per di più tendenzialmente ostili.

Se è vero che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva sbagliato toni e tempi della sua ultima sortita ‘draghiana’, ora stride il ‘chicchirichì’ d’esultanza pro-Meloni, che sarebbe un ‘cocoricò’, visto che viene dalla Francia, del partito di Marine Le Pen:

“Gli italiani hanno dato una lezione di umiltà all’Unione europea che, per voce della signora von der Leyen, ha preteso d’imporre loro il voto. Nessuna minaccia di alcun tipo può fermare la democrazia: i popoli europei alzano la testa e prendono in mano il loro destino!”.

E l’ANSA riferisce che

“esultano in Ungheria, Polonia, Svezia e nella Francia di Marine Le Pen. A Bruxelles regna il silenzio”.

In ogni caso un fatto è certo Dal Washington Post al Guardian, dal New York Times a El Pais, da Le Monde alla Frankfurter Allgemeine Zeitung[2], i titoli parevano con lo stampino: dubitosi, quelli della Cnn; positivi, quelli della Fox. Inevitabile; e fattualmente corretto. Perché stupirsene?

Il senso di molti titoli era. “Ancora gli italiani! Il fascismo è tornato?”. E gli italici pompieri denunciavano gli stereotipi dei media occidentali “duri a morire”.

Una posizione ulteriormente alimentata dal clamore suscitato dall’Economist, che, per farsi gioco dell’Albione del ‘dopo Truss’, non più perfida, ma piuttosto goffa e maldestra– tre premier in due mesi: noi, in 77 anni, non ci siamo mai riusciti! –, la raffigurava come un’Italia con la pizza come scudo e una forchettata di spaghetti come lancia.

Grida di vilipendio sui media nostrani!, invettive in Parlamento!

Eppure, è tutto vero: la caducità e la fragilità dei governi italiani; e il ritorno al potere, cento anni esatti dopo la marcia su Roma – una coincidenza che a me fa venire i brividi -, di un partito che, nelle persone, nelle priorità, nei simboli e nel linguaggio, ha reminiscenze fasciste, anzi si richiama al fascismo.

La terza fase fra dubbi, incertezze e cautele mentre riaffiorano le pulsioni putiniane degli alleati

La terza fase, che stiamo vivendo, è quella del dubbio, dell’incertezza e della cautela.

Media e governi occidentali, di fronte alle dichiarazioni prudenti e misurate della neo-premier, si chiedono se, in fondo, il diavolo non sia così brutto come gliel’avevano dipinto; e si rifugiano nell’equivalente del corner della politica e della diplomazia, “Giudichiamo dagli atti”, “Vediamo come si muoveGiorgia Meloni.

A dire il vero, scricchiolii ce ne sono già stati: il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Antonio Tajani appaiono adamantini nel sostenere l’Ucraina e la linea atlantica (armi e aiuti a Kiev, sanzioni a Mosca, finché il diritto internazionale non sia ristabilito), ma altri leader e alcune forze della coalizione sono meno nitidi in merito – anzi, le pulsioni putiniane di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini riaffiorano talora senza ambiguità -.

Magari, i colleghi stranieri non hanno tutti gli strumenti per cogliere le sottigliezze del linguaggio; e le cancellerie non vogliono dare troppo peso a segnali finora solo interni.

Quel che affiora dalle prime mosse della maggioranza e dai commenti della stampa nostrana e come si riverbera all’estero

Nei discorsi della premier e del suo governo, Nazione ha stabilmente rimpiazzato Stato, Patria s’è sostituita a Paese; e c’è solo il popolo e mai la comunità; inoltre, la qualità dei membri dell’esecutivo è affidata al fatto di essere patrioti più che di essere persone competenti.

Ci sono misure che strizzano l’occhio alle categorie degli evasori e ai ‘no vax’ e ai negazionisti del virus (allentamento delle misure precauzionali e ipotesi di commissioni d’inchiesta sulla gestione della pandemia) e atteggiamenti autoritari e giustizialisti, alla Sapienza come al rave party di Modena o sul fronte della riforma della giustizia.

Tutto condito dall’opportunistica acquiescenza di quei media che riscoprono l’emergenza migranti, quando non ve n’è segno, e producono notiziari televisioni e radiofonici zeppi di cronachetta nera, come se ci fosse un’emergenza sicurezza.

Ma questo a Washington e a Londra, a Parigi e a Berlino, in fondo interessa poco: sono fatti nostri, fatti interni.

Bruxelles, però, ci chiederà presto conto delle riforme del Pnrr; e Parigi e Berlino scruteranno se, nei consessi europei, Giorgia Meloni starà con loro o terrà bordone ai suoi fratelli nel credo ‘Dio, Patria, Famiglia’ polacchi e ungheresi.

Quanto a Madrid, ci vorrà un po’ perché abboni alla premier italiana le sortite ‘Pro Vox’: equiparabili alla solidarietà portata nel 2019 – ma sembra una vita fa – dai leader grillini ai ‘gilets jaunes’ francesi.


[1] Scritto direttamente per Democrazia futura, questo articolo ingloba tuttavia un pezzo “Italia: elezioni, Meloni vince, Ue e Nato cauti, ma Ok a lavorare insieme”, scritto per il blog de Il Fatto quotidiano il 26 settembre 2022. Cfr. https://www.giampierogramaglia.eu/2022/09/26/italia-elezioni-meloni-vince-ue-nato-cauti/.

[2] Secondo il monitoraggio dell’ANSA, la Bbc è stata la prima testata internazionale a dare conto, con una breaking news sul proprio sito e su Twitter, dei risultati delle elezioni in Italia:  “Giorgia Meloni di estrema destra vince le elezioni ed è in procinto di diventare la prima donna premier”.

L’Afp scrive in un bulletin: “Il partito post-fascista di Giorgia Meloni in testa”.

Tra i media internazionali, c’è chi punta sulla figura della leader e chi sul suo partito – definito volta a volta di destra, estrema destra, radicale o post-fascista –; chi parla della coalizione di destra; e chi evoca l’eventuale “governo più a destra dai tempi di Mussolini”.

Lo spagnolo El Pais, progressista, sceglie un titolo neutro, mentre il conservatore El Mundo scrive: “La destra vince le elezioni in Italia”. Le Monde parla di “vittoria storica dell’estrema destra”: invece Le Figaro ha un titolo meno orientato: “L’unione delle destre ampiamente in testa”. The Guardian ha nel titolo “estrema destra” e nel testo “chiara vittoria della coalizione di destra”.

I media tedeschi riportano la vittoria della “destra radicale” in Italia: è il caso sia della Faz, giornale dei moderati, che dello Spiegel, magazine politico di stampo progressista. La Bild enfatizza: “Per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale l’Italia avrà di nuovo un governo di destra nazionale … Meloni diventa la prima presidente del Consiglio donna d’Italia”, mentre “nelle capitali europee ed a Bruxelles c’è preoccupazione diffusa … Meloni viene criticata dai suoi avversari per non avere mai pienamente preso le distanze dal fascismo, pur condannando guerra, leggi razziali e dittatura”.

“L’Italia ha scelto la coalizione di destra guidata da Giorgia Meloni”, scrive il Wall Street Journal, sottolineando che il voto è risultato delle “conseguenze della guerra economica dell’Europa contro la Russia”. Una breaking news della Cnn recita che “Giorgia Meloni diventerà il primo premier italiano di estrema destra dai tempi di Mussolini”.

In Sud America, in Brasile, il sito della Folha de San Paolo apre con “La destra vince in Italia e spiana la strada per Giorgia Meloni”. Il portale del Clarin, principale giornale argentino, titola, senza grande rilievo: “Elezioni in Italia: chi è Giorgia Meloni, l’esponente di estrema destra che sarà la prima donna a diventare premier”.