Questioni

Democrazia Futura. Le lentezze dell’Unione europea

di Pier Virgilio Dastoli, presidente Movimento Europeo Italia |

Le miopie dei governi nazionali e le accelerazioni internazionali. Le questioni di rilievo non più rimandabili (e al momento non affrontate) individuate da Pier Virgilio Dastoli.

Pier Virgilio Dastoli

Prendendo spunto dall’ennesimo compromesso raggiunto dal Consiglio europeo del 20-21 ottobre  in materia di approvvigionamento energetico che definisce solo orientamenti di carattere temporaneo rinviando ogni decisioni effettiva al prossimo Consiglio europei dei ministri responsabili della materia, Pier Virgilio Dastoli denuncia “Le lentezze dell’Unione europea, le miopie dei governi nazionali e le accelerazioni internazionali”, evidenziando cinque questioni importanti per il futuro dell’Unione  “naturalmente ignorate nelle conclusioni del Consiglio europeo”.

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È difficile spiegare alle opinioni pubbliche nazionali l’annuncio del Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre su un pacchetto di nove misure in materia energetica.

Esse vanno dall’acquisto “congiunto volontario di gas per un volume equivalente al 15 per cento delle esigenze in termini di approvvigionamento” fino ad un “corridoio dinamico di prezzo di carattere temporaneo per le transazioni di gas naturale allo scopo di limitare immediatamente episodi di prezzi eccessivi del gas” (il cosiddetto price cap).

Ciascun leader ha potuto spiegare ai propri elettori tornando a casa che la lunga maratona aveva consentito di raggiungere un accordo a Ventisette soddisfacendo le esigenze messe sul tavolo del Vertice – e precedentemente nelle riunioni tecniche dei ministri – da ciascun governo per sé e da coalizioni di governi a geometria variabile a cominciare dai Quindici guidati dalla Francia e dall’Italia che costituivano una maggioranza qualificata ma che hanno pagato non il prezzo dell’energia ma l’ignavia della Commissione europea la cui presidente Ursula von der Leyen subisce sempre di più il fascino di Berlino e il meccanismo di decisione confederale che ignora o annulla le regole del Trattato.

Non vogliamo qui avventurarci in una disamina dettagliata delle nove, teoriche misure scritte nero su bianco nelle conclusioni del Consiglio europeo partorite in parte dalle discussioni fra i leader ma principalmente dal negoziato fra i loro sherpa che hanno lavorato su una bozza di conclusioni preparata già prima del Vertice.

Chi vuole avventurarsi in questa non esaltante lettura può farlo a suo rischio e pericolo trovando il testo delle conclusioni sul sito del Consiglio europeo e sapendo che esse contengono un lungo capitolo sulla guerra provocata dall’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina e gli orientamenti dei Ventisette nelle relazioni con la Cina come rivale sistemico mentre si svolgeva a Pechino il congresso del Partito Comunista Cinese che ha confermato la leadership di Xi Jiping.

Vorremmo tuttavia attirare l’attenzione di chi ci legge su alcune questioni che a noi paiono importanti e che vengono naturalmente ignorate nelle conclusioni del Consiglio europeo:

  1. La prima questione concerne il funzionamento distonico dei due pistoni dell’originario motore franco-tedesco che – considerando il ruolo storico del loro direttorio nel processo di integrazione europea – pone seri problemi non solo fra Parigi e Berlino ma alla stessa Unione europea. Il segnale più evidente della distonia risiede nel rinvio sine die del Consiglio dei ministri franco-tedesco previsto per il 26 ottobre a Fontainebleau. Di fronte alla distonia franco-tedesca appare in tutta la sua evidente importanza strategica il rafforzamento delle relazioni franco-italiane a partire dal Trattato del Quirinale a cui associare innanzitutto il governo spagnolo troppo spesso attratto da relazioni speciali con i Paesi Bassi evitando la via suicida per gli interessi italiani della “alleanza dell’Europa delle patrie” con i governi sovranisti di Polonia, Ungheria, Svezia, Repubblica Ceca e Lettonia.
  • La seconda questione riguarda il fatto che il Consiglio europeo non ha “deciso” sulle misure in materia energetica ma ha adottato solo degli orientamenti (art. 15 TUE) che lasciano aperte molte varianti e la definizione legislativa di dettagli essenziali, che spetta ora alla Commissione europea usare finalmente il suo potere (= diritto) di iniziativa per proporre al Consiglio dei ministri dell’energia e al Parlamento europeo le misure necessarie a dare un seguito concreto agli orientamenti del Consiglio europeo da adottare laddove è previsto dal Trattato secondo la procedura legislativa ordinaria “al fine di garantire l’unicità del mercato” e, vale la pena di ricordarlo a chi lo dimentica troppo spesso, il rispetto dei principi della cooperazione leale e della solidarietà. 
  • La terza questione riguarda il fatto che tutti gli orientamenti definiti dal Consiglio europeo da trasformare in misure legislative hanno un carattere temporaneo e che la loro provvisorietà non è legata solo alla situazione di emergenza provocata dalla guerra in Ucraina ma ai dissensi fra gli Stati sull’obiettivo di creare una vera e propria “unione europea dell’energia” come parte essenziale della sua autonomia strategica, di una progressiva politica industriale e di una politica di investimenti europei nella ricerca applicata all’energia, di un partenariato con quelle aree del mondo (Africa e America Latina in primo luogo) da cui dipendiamo per l’acquisto di materie prime nello sviluppo delle energie rinnovabili e alternative. Tutto ciò fa parte del dibattito sul futuro dell’Europa frettolosamente accantonato dai governi travolti dalle emergenze.
  • La quarta questione è in qualche modo un primo corollario di quel che abbiamo appena scritto. Per usare l’espressione di Jacques Delors, l’ingranaggio europeo è bloccato perché la dimensione confederale prevale su quella comunitaria e quella comunitaria ha mostrato da tempo la sua debolezza strutturale legata al suo peccato originale del gradualismo monnettiano che ha funzionato fino a quando si sono dovuti realizzare gli obiettivi dei trattati di Roma ma che non ha più funzionato quando l’Unione europea nata dalle ceneri delle Comunità europee ha dovuto affrontare sfide inimmaginabili negli anni Sessanta. Miopi di fronte all’esperienza delle reazioni sorprendentemente rapide per far fronte alla pandemia ed ai suoi effetti sulle economie europee, i governi sono stati incapaci di prevedere le conseguenze interne della guerra, di gettare le basi di un diverso ruolo dell’Unione europea nel mondo per garantite la sua autonomia strategica e di usare i meccanismi dei trattati per consentire alla Commissione europea di proporre e alle istituzioni comuni (Consiglio e Parlamento) di disporre. Il Consiglio europeo ha arrogato a sé il potere confederale bloccando sé stesso e l’Unione europea in lentezze inaccettabili di fronte alle conseguenze della guerra arrivando al punto di affermare il 20 e 21 ottobre che, se non ci sarà accordo nel Consiglio dei ministri dell’energia, il dossier tornerà sul tavolo dei capi di Stato e di governo.
  • Last but not least, la quinta questione è il secondo ma più importante corollario di quel che abbiamo scritto. Come nel 2007-2008 quando il Consiglio europeo non fu capace di prevedere (e prevenire) lo tsunami della crisi finanziaria, così negli ultimi venti anni i governi europei sono stati miopi dinanzi al fatto che Vladimir Putin stava preparando all’interno della Federazione Russa e nelle relazioni con i BRICs e con i paesi dell’OPEC-Plus una economia di guerra, che la vendita delle fonti di energia (petrolio, gas, carbone, combustibile nucleare) era uno strumento per preparare il paese alla guerra e che le scelte scellerate degli europei nel rafforzare la dipendenza dalle esportazioni russe sono state un potente aiuto prima alla invasione della Crimea e poi alla guerra iniziata il  24 febbraio 2022.

Conclusioni

L’Europa – diceva Jean Monnetsi farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni apportate alle crisi”.

Ci chiediamo quali leader e quali forze innovatrici saranno capaci di dare un seguito a questa previsione di Jean Monnet.

In tempo di guerra vale la pena di ricordare l’ultimo appello di François Mitterrand al Parlamento europeo il 17 gennaio 1995:

Il nazionalismo è la guerra: la guerra non è solamente il nostro passato ma può anche essere il nostro futuro e siamo, siete voi parlamentari europei i guardiani della nostra pace, della nostra sicurezza e del nostro futuro”.