Buona politica

Democrazia Futura. La buona politica come immunità di gregge

di Roberto Amen, giornalista, scrittore e conduttore televisivo, già vicedirettore di Rai Parlamento |

Quel neoumanesimo che ci meritiamo dopo i dolori della pandemia: "Se la buona politica si risvegliasse dal torpore, potrebbe riempire gli spazi con un rilancio di sé stessa e dei valori tradizionali della nostra millenaria cultura, finalmente declinati nella modernità"

In primo piano prosegue con Roberto Amen che “dopo i dolori della pandemia” ci invita a riscoprire “Quel neoumanesimo che ci meritiamo” nella fattispecie considerando “La buona politica come immunità di gregge” così recita il titolo del suo pezzo non privo di amara ironia. “Le generazioni postsessantottine sono incappate in un clamoroso errore prospettico: si erano convinte, per entusiasmo giovanile, che il livello di consapevolezza dell’umanità dovesse seguire un percorso di continua e inarrestabile crescita. Eravamo talmente orgogliosi di quella nuova e rivoluzionaria consapevolezza, da escludere che potesse avere fine. Ci poteva essere qualche rallentamento, ma mai pensavamo che potesse subire arresti e men che meno inversioni di tendenza; che potesse venire un tempo in cui l’umanità involvesse […]. Invece sia lo sviluppo economico, che anch’esso ci sembrava senza fine, sia quello civile, da anni stanno ripiegando in una sorta di ritirata apparentemente inspiegabile e per quei giovani diventati nonni, inaccettabile”. Partendo da questa constatazione e dopo aver osservato un abbassamento del quoziente intellettivo dei ragazzi (“Effetto Flynn. Capovolto”) Amen denuncia “i danni politici dell’involuzione”: da un lato “l’inspiegabile affermarsi di politiche difficili da comprendere che fanno pensare ad un arretramento complessivo del livello di maturità di una popolazione come la nostra, che affonda le radici nell’humus culturale forse più nutriente del mondo. […] Dall’altra, la deriva populista innescata da un grillismo apparentemente coerente, ma malfermo sulle fragili gambe di un fondamentalismo che non teneva conto di costanti storiche di buon senso.”. “Una soluzione ce la potrebbe suggerire la lotta alla pandemia, che tutti hanno capito si combatte con la vaccinazione massiccia e capillare, che a sua volta (forse) determina l’immunità di gregge [….]. Se una parte significativa della popolazione sviluppa gli anticorpi contro il populismo e la mediocrità intellettuale che lo sottende, magari il resto della popolazione viene immunizzato in automatico e non rischia di cadere preda delle “tendenze” grillo-leghiste […]. “Se la buona politica si risvegliasse dal torpore – conclude Amen- , potrebbe riempire gli spazi con un rilancio di sé stessa e dei valori tradizionali della nostra millenaria cultura, finalmente declinati nella modernità. Con un processo semplicissimo: accogliere dentro di sé ed elaborare il meglio di ciò che le avanguardie più avanzate di tutte le discipline hanno conquistato, per farne poi una sintesi in programmi politici che sappiano vedere lontano […]. Dal gregge di questi pifferai dobbiamo crearci un’immunità se vogliamo riprendere il cammino verso quel neoumanesimo che ci meritiamo dopo i dolori della pandemia”.

Roberto Amen
Roberto Amen

Coltiviamo l’apota che è in noi, educhiamolo ad essere rigoroso nella scelta di quel che ci “viene dato da bere”, che siano notizie o comportamenti. Che ci faccia inorridire di fronte alle ultime tendenze, nell’attimo in cui, malauguratamente, ci venisse la tentazione di assecondarle.

Le generazioni postsessantottine sono incappate in un clamoroso errore prospettico: si erano convinte, per entusiasmo giovanile, che il livello di consapevolezza dell’umanità dovesse seguire un percorso di continua e inarrestabile crescita. Eravamo talmente orgogliosi di quella nuova e rivoluzionaria consapevolezza, da escludere che potesse avere fine. Ci poteva essere qualche rallentamento, ma mai pensavamo che potesse subire arresti e men che meno inversioni di tendenza; che potesse venire un tempo in cui l’umanità involvesse.  

Qualcuno allora portava ad esempio di quella irreversibilità, l’opera del sociologo tedesco Norbert Elias, secondo cui l’interiorizzazione dei vincoli sociali che gli individui si pongono reciprocamente come un processo psicologico-sociale, comporta un sempre maggiore controllo delle pulsioni canalizzate in comportamenti prevedibili, legittimati dal sistema. Fino ad affermare che “quando tutti i conflitti nel mondo saranno interiorizzati, il rispetto universale che ne deriverà porterà al raggiungimento di un’armonia universale dell’uomo con l’ambiente”.

Magari fosse andata così! Invece sia lo sviluppo economico, che anch’esso ci sembrava senza fine, sia quello civile, da anni stanno ripiegando in una sorta di ritirata apparentemente inspiegabile e per quei giovani diventati nonni, inaccettabile.

Effetto Flynn capovolto

Secondo Wikipedia James Flynn è un professore emerito di filosofia dell’Università di Dunedin, in Nuova Zelanda. Il suo nome è rimasto legato a uno studio pubblicato nel 1987 sul Psychological Bulletin, in cui Flynn metteva a confronto i risultati di alcuni test sull’intelligenza effettuati nel 1972, su un campione di bambini, con altri della fine degli anni Quaranta.

Dal raffronto si ricavava che nei 25 anni trascorsi da un test all’altro, il quoziente intellettivo (QI) dei ragazzi esaminati era aumentato di 8 punti. Flynn aveva scritto a 165 studiosi in tutto il mondo per trovare una conferma a quella che supponeva potesse essere la sua scoperta: e cioè che nelle nazioni sviluppate il QI aumenta da una generazione all’altra in una misura variabile tra i 5 e i 25 punti. Questo fenomeno è stato appunto chiamato l’«effetto Flynn».

Da allora l’interesse per questo genere di studi è cresciuto enormemente, purtroppo però questa euforia si è smorzata nel 2004, quando sulla base di alcune ricerche l’Università di Oslo si accorse che tra il 1970 e il 1993 l’«effetto Flynn» era diminuito. Negli anni successivi questo rallentamento aveva trovato ulteriori conferme, fino alla scoperta che il trend si è ormai pericolosamente rovesciato, e da un anno all’altro il QI diminuisce mediamente dello 0,25-0,50. Insomma, diventiamo sempre più stupidi. E anche a questo fenomeno è stato dato il nome di «effetto Flynn capovolto», così che il professore è doppiamente famoso: per aver fatto una scoperta e successivamente la scoperta del suo contrario.

Certo che a questo punto viene da chiedersi quanto sia indicativo il QI rispetto alle capacità di analizzare la realtà che ci circonda e affrontarla, consapevoli della sua complessità, con un atteggiamento civilmente evoluto, all’altezza dei migliori standard socio-culturali.

Oggi, più che sulle misure, la ricerca si concentra sulla natura dell’intelligenza. Molti psicologi si sono occupati di questo problema e ognuno ha proposto definizioni diverse, riconoscendo per esempio che non c’è un unico modello, omologabile per tutti. L’intelligenza è il risultato di abilità cognitive (logica, ragionamento, memoria) combinate ad altri aspetti della personalità e a capacità come la concentrazione, la tenacia, la capacità di moderare l’ansia. E non è un caso, oggi, che il test dell’IQ sia sempre meno utilizzato.

I danni politici dell’involuzione

Ho preso questa lunga rincorsa per cercare di dare una spiegazione all’inspiegabile affermarsi di politiche difficili da comprendere che fanno pensare ad un arretramento complessivo del livello di maturità di una popolazione come la nostra, che affonda le radici nell’humus culturale forse più nutriente del mondo.

Per non andare troppo indietro nel tempo, citerò due esempi di politiche involutive e maldestre sostenute da una parte non trascurabile dell’opinione pubblica, che stanno provocando gravi danni. Il cedimento al ricatto leghista che portò il governo di Silvio Berlusconi ad assecondare i deliri di Umberto Bossi sulla devoluzione, che in larga parte hanno determinato il caos regionale della sanità con relative liste chilometriche di vittime della pandemia. Una devoluzione che lo stesso Berlusconi non voleva, ma che dovette inghiottire come boccone amaro dell’alleanza leghista, e che dovette anche far digerire alla destra finiana, lontana anni luce da quel regionalismo in canottiera, raffazzonato e velleitario.

Dall’altra, la deriva populista innescata da un grillismo apparentemente coerente, ma malfermo sulle fragili gambe di un fondamentalismo che non teneva conto di costanti storiche di buon senso.

Anche questo cedimento ha comportato conseguenze di cui si pagheranno i conti ancora per anni.

Dal roboante e improbabile annuncio di fine della povertà, con il reddito di cittadinanza, mal concepito e peggio realizzato, che ha creato il paradosso di boss malavitosi assistiti da quello stesso stato che rapinano ogni giorno con meticolosa e scientifica determinazione.

E poi il capolavoro “dell’uno vale uno”, a corollario di una politica fintamente plebiscitaria, gestita dalla Casaleggio & Associati, che adesso il Movimento 5 Stelle cerca di scrollarsi di dosso con non poche difficoltà.

Una concezione che finisce per alimentare e giustificare i negazionismi, i terrapiattismi, i no vaxismi e via elencando gli “ismi” peggiori.  Una degenerazione che in fondo giustifica anche la pratica degli hater, che in virtù di una concezione fintamente egualitaria, si permettono l’espressione ogni violenza verbale, come affermazione di uno pseudo diritto svincolato da qualsiasi regola.

Come vorrebbe scrollarsi il cappio al collo della struttura liquida e aeriforme del non partito che pretende di non avere sedi e di essere comunque in ogni luogo. O il cappio al collo del limite dei due mandati parlamentari. Tutte vie d’uscita non facili da trovare che vengono affidate al talento un po’ “azzeccagarbuglistico” dell’accorto Giuseppe Conte, che non molto tempo fa, sarebbe risultato antropologicamente incompatibile col Movimento. E da cui si aspettano salti mortali per destrutturare un impianto ideologico fallimentare.

Non ci è ancora dato sapere con quale complessa strategia sociale si possa arginare questa deriva antropologica. La soluzione che appare più percorribile ci viene suggerita dal contrasto alla pandemia che quelle degenerazioni ha aggravato nel modo che ho cercato di descrivere.

L’immunità (dal) gregge

Una soluzione ce la potrebbe suggerire la lotta alla pandemia, che tutti hanno capito si combatte con la vaccinazione massiccia e capillare, che a sua volta (forse) determina l’immunità di gregge.

Vediamo come la definisce Wikipedia: “Si tratta di una forma di protezione indiretta che si verifica quando una parte significativa di una popolazione (o di un allevamento) ha sviluppato anticorpi specifici verso un agente infettivo (sia anticorpi sviluppati in seguito al superamento della malattia sia dopo una vaccinazione): la presenza di anticorpi sviluppati direttamente in un’alta parte della popolazione finisce con il fornire una tutela anche agli individui che non hanno sviluppato direttamente l’immunità”.

Se una parte significativa della popolazione sviluppa gli anticorpi contro il populismo e la mediocrità intellettuale che lo sottende, magari il resto della popolazione viene immunizzato in automatico e non rischia di cadere preda delle “tendenze” grillo-leghiste.

Lo stesso comico genovese Beppe Grillo ha rinunciato ad una buona parte del ruolo che si era dato all’inizio. Ma cosa si fa, in attesa che la più avanzata virologia metta a punto un vaccino, a immunizzare la gran parte della popolazione del nostro stivale dalla pandemia “tendenzialista”?

Se la buona politica si risvegliasse dal torpore, potrebbe riempire gli spazi con un rilancio di sé stessa e dei valori tradizionali della nostra millenaria cultura, finalmente declinati nella modernità. Con un processo semplicissimo: accogliere dentro di sé ed elaborare il meglio di ciò che le avanguardie più avanzate di tutte le discipline hanno conquistato, per farne poi una sintesi in programmi politici che sappiano vedere lontano.

Perché poi in fin dei conti per contrastare l’impazzimento di un gregge a cui vengono proposte alternative rudimentali, ma consolatorie, bisogna offrire un’alternativa, quella che la fine delle ideologie gli aveva tolto.

Quella possibilità di scelta che offra soluzioni semplici, ma di una semplicità frutto della migliore sintesi delle tante complessità. Una pluralità di punti di vista anche in conflitto tra di loro, ma sorrette da argomentazioni credibili e lontane da ogni isteria collettiva.

Quando questo paese uscirà dalla pandemia e riprenderà a camminare cosa rimarrà degli ultimi residui dei populismi?

Cosa rimarrà della fragile e inconsistente prosa del Capitano Salvini, sempre uguale a sé stesso, e al suo schema espressivo ormai logoro, fatto di uno schematismo elencatorio orami inascoltabile e irritante?

Cosa rimarrà della parabola del Grillo politico che si autodistrugge in una inverosimile difesa del figlio, in cui il tragicomico sopprime il comico e muta in una rabbiosa invettiva contro sé stesso?

Dal gregge di questi pifferai dobbiamo crearci un’immunità se vogliamo riprendere il cammino verso quel neoumanesimo che ci meritiamo dopo i dolori della pandemia.