analisi storica

Democrazia futura. L’8 settembre e il fascismo che non abbiamo capito

di Salvatore Sechi, docente universitario di storia contemporanea |

Non avendo capito tempestivamente (ma anche nel lungo periodo) che il fascismo non era riducibile al manganello e al fuoco acceso nelle sedi dell'Avanti!, a ridosso delle case del popolo, delle cooperative, eccetera, non c'è da stupirsi che del governo Meloni si faccia la rappresentazione di decrepitezza e inettitudine redatta nelle gigantografie quotidiane del FattoQuotidiano. I Cinque Stelle avevano bisogno di sfornare, a mesto ricordo di Giuseppe Conte, un loro Paese Sera. 

Con un articolo dello storico sardo Salvatore Sechi dedicato a “L’8 settembre e il fascismo che non abbiamo capito” si apre l’undicesimo fascicolo di Democrazia futura ormai approdata al quarto anno di pubblicazioni. Per Sechi l’ottantesimo anniversario della firma dell’armistizio con gli Alleati rappresenta – come recita l’occhiello – “un’occasione preziosa per rileggere il passato”. Fra i temi affrontati nell’articolo le ragioni de “La fuga di Vittorio Emanuele III a Brindisi, l’inettitudine del governo Badoglio e l’inizio dell’occupazione tedesca”, “La difficile ricerca di una nuova idea di patria dopo la morte di quella fascista e le controversie in seno al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN)”,  gli “Effetti dell’affievolirsi del sentimento di appartenenza nazionale nel corso della Prima Repubblica” e l’interrogativo finale su “Che cosa fu davvero il fascismo, con quale immagine è stato vissuto dagli italiani, a cominciare dagli anti-fascisti?”

I partiti sovranisti (Fratelli d’Italia, Lega, Cinque Stelle) amano rivendicare, nella loro proclamata cura dell’identità nazionale, i valori di nazione e di patria. La sinistra, invece, insiste nell’accusarli di essere i servi più o meno sciocchi degli Stati Uniti e, comunque, che invece di avere il culto della nazione italiana, della sua indipendenza, siano dei pericolosi nazionalisti.

Il dibattito ha preso per diversi decenni la foggia di una querelle.

Col tempo è diventato chiaro che invece di essere ridotto a schermaglia tra partiti è opportuno diventi un’occasione preziosa per rileggere il passato.

Direi che tutto comincia con l’8 settembre 1943

La data indica la fine dell’Italia unita, l’Italia del Risorgimento.

Non era per niente vero (neanche quando vi si dedicò, dall’alto della presidenza della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi) che la Resistenza, attraverso le culture politiche dei grandi partiti, ne aveva creato un secondo. In realtà alcuni, cioè una minoranza assoluta (il partito italiano d’azione, il partito repubblicano, quello liberale, e una parte di quello socialista), erano legati a tradizioni liberal-democratiche di origine risorgimentale, mentre altri (la Dc e il Pci) provenivano dall’opposizione cattolica allo Sta to liberale o dal legame di ferro con uno Stato straniero e col bolscevismo di Lenin e Stalin

La fuga di Vittorio Emanuele III a Brindisi, l’inettitudine del governo Badoglio e l’inizio dell’occupazione tedesca

In fretta e furia il re (massima autorità dello Stato) e i suoi parenti ed eredi, insieme ai principali comandanti militari e a ciò che restava dell’ultimo governo Mussolini (dimissionario e fatto arrestare da Vittorio Emanuele III subito dopo l’incontro in cui gli comunicava la fine della sua ventennale dittatura) erano fuggiti da Roma.

La capitale era occupata da reparti della Germania nazista che il generale Giacomo Carboni e le divisioni italiane presenti a Roma, agli ordini del gen. Mario Roatta, per provvedere alla sua difesa, non vollero molestare la Wehrmacht. Attestati sulla stessa linea i governanti scelsero di rifugiarsi nel Sud, cioè sotto la protezione dei nuovi prossimi alleati anglo-americani appena sbarcati in Sicilia.

Dunque, l’Italia di CavourMazzini e Garibaldi era stata platealmente tradita e fatta estinguere.
Il nuovo governo formato dal gen. Pietro Badoglio fu una pietosa continuazione di quelli mussoliniani con in più l’artificio più infimo, il doppio gioco. Volle vivere nell’ambiguità, tenendo (malissimo peraltro i piedi in due staffe.

Badoglio mentre rassicurava i corpi militari italiani sparsi lungo l’Italia, l’Europa e l’Africa che erano ancora schierati con i tedeschi, aveva cominciato un giro di valzer con gli anglo-americani offrendo loro quel che chiesero, una resa senza condizioni. Ma, nel vortice dell’intrigo, fece di tutto per impedire che le forze armate statunitensi si saldassero alle nostre per contenere l’occupazione del Terzo Reich che era cominciata a luglio. Hitler aveva capito che degli italiani c’era poco da fidarsi.

L’inettitudine dal nuovo premier, che visse concentrato in una nefasta doppia fedeltà a Berlino e a Londra-Washington, ebbe l’effetto di prolungare la guerra di un anno e di esporre la popolazione civile e le città alla massiccia devastazione dei vecchi e dei nuovi alleati. Per i primi la carneficina di Cefalonia e di Corfù, studiata esemplarmente da Elena Aga Rossi, resta un esempio della mancanza di ogni umanità e, anzi del trionfo assoluto della bestialità. A questo estremo ha potuto portare la mistica nazista dell’obbedienza agli ordini superiori (quello impartito da Hitler di non lasciare vivo nessuno degli undicimila soldati italiani presenti nelle isole greche).

La difficile ricerca di una nuova idea di patria dopo la morte di quella fascista e le controversie in seno al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN)

Muore l’idea fascista di patria e non viene sostituita da quella vaga, imprecisa del fronte dei partiti antifascisti (il CLN). Hanno avuto un’idea del futuro dell’Italia profondamente diversa. 

E’ noto come al proprio interno si siano fiorite le radici ideologiche che si manifesteranno con la guerra fredda.

Poiché la guerra di liberazione fu opera di una minoranza, le differenze in seno ai suoi componenti sull’idea di patria lasciarono delle tracce profonde. A lungo questo termine non venne usato dai partiti. Questa omissione affondava nella loro cultura civica illiberale col risultato di fare in modo che nella maggioranza degli stessi combattenti a prevalere fosse l’idea di patria elaborata dai fascisti. Gli studi che ha in corso uno studioso apprezzato come il prof. Giuseppe Conti (dell’università di Roma) forniranno una risposta decisiva. Ci si limitò, il più delle volte, a mitigare questa immagine del periodo di governo di Mussolini facendogli carico della partecipazione alla guerra, dell’alleanza con i tedeschi, e dell’impreparazione militare.

Effetti dell’affievolirsi del sentimento di appartenenza nazionale nel corso della Prima Repubblica

Ma nei partiti il sentimento di appartenenza nazionale, come dice Alessandra Tarquini, scemò sensibilmente. Durò in maniera passiva prolungandosi fino alla Prima Repubblica.

Non prese più la foggia di un’idea forte della patria che implicava il sacrificio della vita, il rispetto della parola data, l’odio per i traditori. Fu, questo, uno spartito che continuò a intenerire i cuori dei militari e di nuclei di condannati a morte, cioè di pochi combattenti anche nel collasso del regime dittatoriale. E’ quanto emerge dai saggi di Elena Aga Rossi e Giuseppe Conti.

Che cosa fu davvero il fascismo?

Non ci fu, però, solo l’indebolirsi fino al venir meno del sentimento nazionale. Direi che questo fenomeno ci riporta a quello che è ancora una questione aperta. Che cosa fu davvero il fascismo, con quale immagine è stato vissuto dagli italiani, a cominciare dagli anti-fascisti? 

Sono domande che sono alla base dell’atteggiamento nei confronti di questo governo che vede tutte le destre raccolte (ma ancora divise) e governanti

Anche la storiografia ha vissuto momenti diversi. Fino a 10-20 anni fa ha prevalso il giudizio ereditato dalle prime analisi di Gaetano SalveminiPiero Calamandrei, Angelo Tasca, Ernesto Rossi, cioè di un regime esclusivamente di pura intolleranza e violenza. 

Già questa immagine non dava ragione dello spostamento repentino, all’inizio degli anni Venti, della massa dei lavoratori sindacalizzati dalla Cgil nelle organizzazioni fasciste.

Ma Gramsci già qualche anno dopo, nel 1924 mi pare, parlò dell’ascesa al governo di Mussolini e del carattere minoritario avuto dalla scissione del Psi (cioè della nascita scheletrica del Partito Comunista d’Italia) come di una duplice sconfitta operaia. Preferirono schierarsi con chi aveva redatto il programma di San Sepolcro a Milano piuttosto che seguire l’indicazione di Lenin e confluire nelle file dei comunisti.

Quando, a metà degli anni Trenta, cominciarono a circolare le analisi di Palmiro Togliatti sul fascismo come regime reazionario di massa siamo e quelle da Antonio Gramsci affidate ai Quaderni dal carcere (letti da Togliatti e Piero Sraffa) il discorso si spostò su una certa modernità del fascismo, anche se restarono un obbrobrio la legislazione antisemita, il razzismo e il colonialismo. Detto diversamente, ci fu la presa in considerazione del Welfare fascista, dalle bonifiche all’assistenza della maternità e dell’infanzia. Direi, in generale dell’adozione di politiche economiche che avevano come epicentro non più il mercato, ma lo Stato

Di qui l’idea di totalitarismo che in Gramsci congloba lo Stato fascista e quello sovietico, dando al termine impiegato un carattere non esecratorio. Semmai Gramsci lo usò nei confronti dell’Urss, definendolo non più “Stato operaio” ma costruzione statale di tipo neo-bonapartista. Uno spunto notevole per poter ragionare sulle basi dell’anti-comunismo del politico e pensatore sardo ben prima, molto prima della caduta del muro di Berlino nel 1989, da cui presero le mosse per l’avvio incompleto di un ripensamento sia Togliatti ai Enrico Berlinguer.

Dell’Iri non si può ripetere la vecchia litania che socializzava le perdite e privatizzava i profitti. Dopo l’analisi di Guido Melis sui criteri con cui veniva assunto il personale, addirittura facendo in modo da non rendere accessibili le posizioni apicali alle camicie nere, la cultura, se non proprio l’etica, della competenza nelle riesumazioni storiografiche antifasciste diventa una poco apprezzata e anzi svilita virtù gestionale. Eppure da allora l’imprenditoria pubblica del regime mussoliniano sarà una sfida aperta per chi come la DC ne sarà un erede tenace e longevo.

Non avendo capito tempestivamente (ma anche nel lungo periodo) che il fascismo non era riducibile al manganello e al fuoco acceso nelle sedi dell’Avanti!, a ridosso delle case del popolo, delle cooperative, eccetera, non c’è da stupirsi che del governo Meloni si faccia la rappresentazione di decrepitezza e inettitudine redatta nelle gigantografie quotidiane del FattoQuotidiano. I Cinque Stelle avevano bisogno di sfornare, a mesto ricordo di Giuseppe Conte, un loro Paese Sera