L'analisi

Democrazia Futura. Iran, la scelta Imperiale

di Riccardo Cristiano, giornalista, collaboratore di Reset |

Il viaggio del ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian da Beirut a Damasco sino a Baghdad

Riccardo Cristiano

Riccardo Cristiano in un articolo intitolato “Iran, la scelta Imperiale” analizza il perché del “viaggio del ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian da Beirut a Damasco sino a Baghdad” “Siamo alla fine di una farsa politica, l’Iran presenta il Libano, e nei prossimi giorni farà lo stesso con Siria e Iraq, per quello che le ritiene, province del suo risorto impero. E’ la vecchia, profondissima ruggine tra persiani e arabi che riemerge e che mostra il Levante Arabo allargato, da Beirut a Baghdad, ridotto in macerie al termine della guerra di conquista da parte delle milizie khomeiniste disseminate in quei territori dai pasdaran, la forza d’élite del regime di Teheran. Questa ruggine ci riporta ai tempi stessi dell’islamizzazione della Persia da parte degli arabi” – osserva Cristiano prima di concludere: ”  Il viaggio di Hossein Amir-Abdollahian è cominciato con una franchezza imperiale incredibile; in Occidente vi possono aver scorto una disponibilità (condizionata) a non estendere il conflitto, ed è bene che sia, se sarà, così, perché Hezbollah non ha solo la sua nota forza miliziana con cui attaccare Israele da nord, ma anche le moltissime milizie sorelle disseminate in Iraq, Siria, Yemen e altre ancora con cui colpire le stesse basi americane o altri obiettivi ritenuti “sensibili”.

_______________

L’Iran è ancora una Repubblica (islamica)? Seguendo il viaggio del ministro degli esteri iraniano il dubbio che siano tornati i tempi imperiali mi è venuto. Lui è partito da Beirut, terminale Mediterraneo di quello che fu l’impero persiano per poi recarsi a Damasco e Baghdad, che ne furono i più importanti centri urbani del Levante, poi sedi califfali. Oggi queste tre città sono capitali di Stati che gravitano nell’orbita dell’influenza politica e miliziana di Teheran.

Prima di ripartire da Beirut, il ministro iraniano ha parlato del conflitto in atto e di Hezbollah. Ufficialmente si tratta di un partito politico libanese, sebbene tutti sappiano che è una milizia confessionale khomeinista addestrata e finanziata da Teheran, che ne decide le mosse. Dunque era l’occasione buona per smentire questa “illazione” presentata a ogni piè sospinto soprattutto dagli avversari dell’Iran.

E invece è proprio in questi termini che il ministro ne ha parlato: riferendosi alla “possibile propagazione del conflitto nella regione” ha detto che Hezbollah “è in un’eccellente posizione ed è pronta a rispondere alle azioni criminali” di Israele.

Essendo un ministro degli esteri in visita in Paese straniero viene da chiedersi chi lo abbia informato di questo, e a che titolo lo abbia detto. Ma non basta: il capo della diplomazia iraniana ha aggiunto che in merito all’apertura di nuovi fronti militari con israeliani

“sta alla Resistenza (Hezbollah) di definirne le condizioni e annunciarli”.

Sembra quasi “noi decidiamo, loro poi comunicano”: ma questa forse può apparire un’opinione prevenuta. E invece ciò che ha detto Hossein Amir-Abdollahian, con il tono di chi parla del partito che lo ha eletto nel Parlamento iraniano, dice ancora di più. Infatti ha affermato che

“Hezbollah ha preparato diversi scenari per tutti i fronti possibili e deciderà al momento opportuno le sue azioni se i crimini israeliani proseguiranno”.

E perché i dirigenti di Hezbollah ne avrebbero informato il capo della diplomazia di un altro Paese, e perché lui poi ha pure deciso di dirlo?

Dunque siamo alla fine di una farsa politica, l’Iran presenta il Libano, e nei prossimi giorni farà lo stesso con Siria e Iraq, per quello che le ritiene, province del suo risorto impero.

E’ la vecchia, profondissima ruggine tra persiani e arabi che riemerge e che mostra il Levante Arabo allargato, da Beirut a Baghdad, ridotto in macerie al termine della guerra di conquista da parte delle milizie khomeiniste disseminate in quei territori dai pasdaran, la forza d’élite del regime di Teheran.

Questa ruggine ci riporta ai tempi stessi dell’islamizzazione della Persia da parte degli arabi.

La grande civiltà persiana convertita all’Islam dai beduini del deserto… Avvenuta la conversione la vendetta è stata sottile: imporre un Islam tutto nuovo, quello dei dodici imam – sconosciuto all’islam originario- l’ultimo dei quali, il nascosto, tornerà alla fine dei tempi: è una figura decisiva ma nel Corano non c’è, mentre in Iran c’è anche l’autostrada che lo attende. La fece progettare Ahmadinejad, da dove se ne persero le tracce tanti secoli fa. Dicono sia illuminata notte e giorno. 

Rifare l’impero oggi si dice, in linguaggio khomeinista, “esportare la rivoluzione khomeinista”, cioè la rivoluzione teocratica dell’Imam Khomeini e di chi dopo di lui guida la rivoluzione

Questo è un dovere costituzionale, come in essa sancito. Dunque questa esportazione rivoluzionaria intende tornare fino al Mediterraneo, come fu ai tempi di Ciro e così anche vendicarsi di Alessandro Magno, che respinse i persiani al di là della Mesopotamia.

In quel vasto territorio che va da Baghdad a Beirut gli arabi crearono il loro impero, che proseguì la politica anti-persiana dei bizantini, per sciogliersi poi all’interno dell’impero ottomano, anch’esso in continuità con i precedenti nel suo urto con i persiani.

La vendetta si sta consumando?

E’ questa la vendetta che ha prodotto le sanguinose battaglie irachena, siriana, lo stragismo di strada che ha insanguinato Beirut per ucciderne i leader anti khomeinisti?

Quella scia di sangue cominciata con quello di Rafiq Hariri non è mai stata capita, ma probabilmente era indispensabile per stabilizzare nelle mani khomeiniste l’avamposto, la prima linea khomeinista, a Beirut.

A ben vedere c’è anche il fronte meridionale della tenaglia, lo Yemen, dove però la feroce reazione saudita, a costo di massacri, sembra aver prodotto con il recente accordo tra sauditi e iraniani la ricerca di un compromesso.

Se così fosse si capirebbe il temporeggiare di Teheran nello spingere Hezbollah nel conflitto.

Non è devastare i propri effettivi l’obiettivo della forza imperiale. Ma consolidare le conquiste e quindi impedire che ciò che resta dell’impero arabo, incarnato dalla corona saudita, possa fare la pace con Israele che – prevedendo concessioni (molto difficili) ai palestinesi e la possibilità di ricorrere al nucleare (ufficialmente civile) con la supervisione statunitense – pianterebbe una grana di portata epocale alla giugulare di Teheran.

I mullah iraniani hanno contato non solo sulla milizianizzazione delle comunità sciite, cioè della propria confessione islamica, nel mondo arabo, ma soprattutto sull’accusa ai leader arabi di essere inetti e corrotti. Mentre Hezbollah è un’armata che gode di fama mondiale e simboleggia il riscatto che qui popoli inseguono. Riscatto non sociale, civile, come loro vorrebbero, ma almeno militare.

L’accordo tra Riad e Israele potrebbe aprire forme nuove di cooperazione e sviluppo, e questo l’Iran non lo può tollerare. Il suo impero è costruito sulle macerie e sulle frustrazioni che sempre esse provocano e probabilmente mira a controllare tutti i fronti contro Israele.

Il viaggio di Hossein Amir-Abdollahian è cominciato con una franchezza imperiale incredibile; in Occidente vi possono aver scorto una disponibilità (condizionata) a non estendere il conflitto, ed è bene che sia, se sarà, così, perché Hezbollah non ha solo la sua nota forza miliziana con cui attaccare Israele da nord, ma anche le moltissime milizie sorelle disseminate in Iraq, Siria, Yemen e altre ancora con cui colpire le stesse basi americane o altri obiettivi ritenuti “sensibili”.

Ha anche le sue ramificazioni in Africa e in America Latina, oltre a tante cellule.

Quindi è limitativo pensare che il conflitto con loro diverrebbe “regionale”, sebbene già questo sia tantissimo.