La denuncia

Democrazia Futura. Il catafalco del diritto internazionale e la morte dell’Occidente

di Salvatore Sechi, docente universitario di storia contemporanea |

Siamo alla probabile crisi del diritto internazionale, secondo Salvatore Sechi, con una nuova fase del conflitto israelo-palestinese che potrebbe rappresentare la prova definitiva dell'inefficacia di qualsiasi dispositivo legislativo di fronte all'uso cieco della violenza armata.

Salvatore Sechi

Salvatore Sechi denuncia “Il catafalco del diritto internazionale e la morte dell’Occidente”. “Ciò che incombe nelle prossime ore offre la misura di quel che significa il silenzio su ogni violazione del diritto internazionale. Il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele sarà affidato a quello che l’esercito israeliano si appresta a compiere addirittura nel sottosuolo di Gaza, vale a dire al massacro di migliaia di bambini, vecchi, malati, donne. Detto diversamente: un’impressionante strage di innocenti. A cominciare dagli ostaggi. Se sarà così, come temo, – conclude Sechi – sarà la fine dell’Occidente”. “Come può essere diversamente – aggiunge lo storico sardo –  se ammette come legittimi quel che macroscopicamente è illegittimo, cioè il blocco dell’alimentazione, la sospensione dell’elettricità, la chiusura forzosa degli ospedali con migliaia di malati e di vittime, l’uso delle bombe al fosforo, le punizioni collettive, i bombardamenti indistinti. Cioè lo sterminio di un popolo (quello palestinese). Poiché non si identifica con le brigate squadriste di Hamas, esso deve essere tutelato come quello israeliano. Perché in un futuro meno remoto si possano avere la convivenza in due Stati diversi”.  

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In questa guerra (apparentemente tra Israele e la soldataglia di tagliagole di Hamas)  c’è al  centro un enorme catafalco. Vi è sepolto, ormai marmorizzato, il diritto internazionale. Quello che contempla, per intenderci, l’esistenza di principi, convenzioni, regole e divieti, nello svolgimento di un conflitto che serva a disciplinarlo. 

In realtà le Nazioni Unite e soprattutto il “braccio” più impotente, l’Unione europea, si limitano a emettere speranze, dare raccomandazioni, far finta di infliggere sanzioni e sentenze. Sono organi nati con gravi automutilazioni, in quanto non dispongono delle forze (gli eserciti o altri apparati di intervento) per farle rispettare. Lo spettacolo, fin troppo inverecondo, è di autorità che gridano nel deserto. Nessuno si incarica di prenderle sul serio.

Con infinita frivolezza la stampa ama riportare tutti i micidiali piani di guerra, gli interventi distruttivi, l’uso di mezzi offensivi di Israele e di Hamas come dei loro alleati. Essi comportano l’eliminazione di migliaia e migliaia di civili innocenti e inermi, ma sono riferiti come se si trattasse della cronaca di una partita di calcio. Nessuno, cioè, denuncia ed esecra il carattere illegale, quando non apertamente criminale, dei provvedimenti adottati o preannunciati. Per esempio di non poter proteggere le centinaia di ostaggi, le migliaia di donne incinte, di non potere garantire corridoi umanitari, di far saltare i depositi di armi nei mille polipi della città clandestina costruita nel sottosuolo di Gaza

Di fronte a questa mancanza di informazioni e al fiume di disinformazioni che scorre sempre durante una guerra, come si fa a lamentarsi del fanatismo e dell’irresponsabilità che si è venuta impadronendo di settori dell’opinione pubblica?

Lo spettacolo è tanto impressionante quanto pericoloso.

Hamas invade il territorio israeliano come la Russia ha fatto con l’Ucraina. Penetra nei kibbutz, nelle celle e nei centri urbani di Gaza sterminando, con ogni mezzo di distruzione, migliaia di bambini, donne, vecchi, famiglie, gruppi comunitari, giovani che ballano. 

E’ l’azione terroristica, con obiettivi di punizione e di intimidazione, di una banda terroristica

Hamas non ha obiettivi politici, ma è mosso solo un odio irrefrenabile verso gli ebrei, in quanto esseri umani.

Ebbene, nessun organo internazionale interviene, dal mare, dal cielo e da terra, per arginare tempestivamente l’ecatombe in corso e punire inesorabilmente i responsabili di questo infinito bagno di sangue. 

Eppure si tratta di un’invasione, di un’aggressione a mano armata che non è diversa da quella scatenata dal sovietico Putin nei confronti dell’Ucraina.

Dunque, un’organizzazione criminale (che ha nei propri statuti la missione di eliminare Israele dalla faccia della terra) può compiere una guerra di sterminio senza che l’Onu, l’Unione europea o gli Stati muniti di apparati di deterrenza sparino un colpo e facciano scattare le manette ai polsi di questi banditi.

Israele decide di reagire all’orripilante carneficina di Hamas. Era, ed è, inevitabile che voglia reprimere con ogni mezzo quanti hanno violato, insieme alla sua sovranità, ogni principio di umanità. Deve anche riparare all’infamia del suo governo che, malgrado fosse stato informato della grande kermesse omicidiaria, ha lasciato singolarmente indifesi i propri cittadini. 

 Come intende reagire, difendersi Israele? Benjamin Netanyahu, con il suo linguaggio di politico mediocre e irresponsabile, ha parlato di vendetta. E’ un lemma corretto dal momento che della questione palestinese non si è mai voluto occupare.

L’esercito ha messo a punto progetti di aggressione, assedio e una vera e propria pulizia etnica.

Il primo atto è indegno di un paese altamente civilizzato e democratico come Israele. Mi riferisco sull’interruzione delle forniture di acqua, elettricità e gas a Gaza.

Com’è facile constatare, si tratta di misure che il diritto internazionale – da quando esiste – ha sempre condannato perché colpiscono i civili innocenti e inermi. Portano al collasso gli ospedali, fanno morire quote rilevanti della popolazione. In quella che sopravviverà a questa decisione folle si alimenterà il fuoco rovente dell’antisemitismo. 

Come mai uno Stato democratico come Israele, oltre a protestare blandamente contro un leader a chilometro zero come Netanyahu, non si ribella, cioè non impone che venga rispettata la sua diversità dalle autocrazie tribali e reazionarie che lo circondano?

Questa domanda inevitabilmente ne richiama altre.

Possiamo dire che la popolazione israeliana tace perché dal 1948, cioè dall’anno della sua esistenza come Stato, i suoi governi hanno fatto strame, non applicandole, delle molte sanzioni comminate dalle Nazioni Unite. Disattendere platealmente, senza l’ombra di una sanzione, tutte le risoluzioni internazionali, non è stata un’eccezione, ma è una prassi, una vera e propria regola del gioco.

Ne è derivata la conseguenza che abbiamo sotto gli occhi: la certezza di un’assoluta impunità.

Infatti leggiamo da qualche giorno che la filiera si è allargata.

Tel Aviv ha bombardato gli aeroporti di Damasco e Aleppo, cioè ha violato (per rispondere ad attacchi criminosi degli Hezbollah) la sovranità della Siria, che è un membro delle Nazioni Unite, e – non è un mistero – sia sostenuta dalla Russia e dalla Cina.

Ciò che incombe nelle prossime ore offre la misura di quel che significa il silenzio su ogni violazione del diritto internazionale. Il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele sarà affidato a quello che l’esercito israeliano si appresta a compiere addirittura nel sottosuolo di Gaza, vale a dire al massacro di migliaia di bambini, vecchi, malati, donne. Detto diversamente: un’impressionante strage di innocenti. A cominciare dagli ostaggi

Se sarà così, come temo, sarà la fine dell’Occidente.

Come può essere diversamente se ammette come legittimi quel che macroscopicamente è illegittimo, cioè il blocco dell’alimentazione, la sospensione dell’elettricità, la chiusura forzosa degli ospedali con migliaia di malati e di vittime, l’uso delle bombe al fosforo, le punizioni collettive, i bombardamenti indistinti. Cioè lo sterminio di un popolo (quello palestinese). Poiché non si identifica con le brigate squadriste di Hamas, esso deve essere tutelato come quello israeliano. Perché in un futuro meno remoto si possano avere la convivenza in due Stati diversi.