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Democrazia Futura. Giorgio Napolitano e Antonio Giolitti: due modi diversi di stare in un partito

di Salvatore Sechi, docente universitario di storia contemporanea |

Il sostegno all’intervento dell’Armata Rossa per sedare la rivolta di Budapest nel 1956

Salvatore Sechi

Salvatore Sechi torna sulla figura di Giorgio Napolitano “incensato” in occasione delle esequie mettendo in evidenza il suo trascorso quando da giovane comunista diede il proprio “sostegno all’intervento dell’Armata Rossa per sedare la rivolta di Budapest nel 1956”.  Nel suo pezzo per Democrazia futura “Giorgio Napolitano e Antonio Giolitti: due modi diversi di stare in un partito” lo storico sardo osserva: “Giorgio Napolitano si schierò con gli aggressori e bollò come ingiustificata la rivolta del popolo ungherese. Antonio Giolitti, invece, la condannò apertamente, Addirittura lo fece dalla tribuna congressuale del Pci, e piuttosto che allinearsi ad un’azione “fraterna” violenta, preferì uscire dal Pci e schierarsi con i socialisti. Qual’è il valore della giustificazione di Napolitano che intese stare nel partito per impedire una lacerazione che avrebbe diminuito la sua forza?”.

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L’intervista di Giuliano Amato ne La Repubblica del 1 ottobre nel passaggio in cui sembra condividere una testimonianza di Giorgio Napolitano suscita qualche inquietudine.

Mi pare opportuno aprire una riflessione a più voci, cioè allargata.

Di fronte ad un paese che manda l’Armata rossa per sedare militarmente la rivolta dei cittadini contro il dispotismo di Budapest e di Mosca, che cosa avrebbe dovuto fare un partito che come il Pci era un sodale degli aderenti al Cominform?

Giorgio Napolitano si schierò con gli aggressori e bollò come ingiustificata la rivolta del popolo ungherese. Antonio Giolitti, invece, la condannò apertamente, Addirittura lo fece dalla tribuna congressuale del Pci, e piuttosto che allinearsi ad un’azione  “fraterna” violenta, preferì uscire dal Pci e schierarsi con i socialisti.

Qual’è il valore della giustificazione di Napolitano che intese stare nel partito per impedire una lacerazione che avrebbe diminuito la sua forza?

Dunque le ragioni del partito hanno prevalso sull’etica della responsabilità, cioè di stare da parte della verità, costi quel che costi.

Ma se questa deve sempre pre valere, allora ha ragione Matteo Salvini. Ha portato la Lega da oltre il 30 per cento al 9 per cento dei consensi.

Non solo non si è dimesso da segretario, ma ogni giorno promette il ponte sullo Stretto ai siciliani, la riduzione delle imposte agli elettori, l’assoluzione di chi fa piccoli abusi edilizi ed evasioni fiscali, eccetera.

Tutto questo massacrare la legalità in nome del recupero elettorale del partito deve essere accolto come la fisiologia dell’azione politica, la stessa che Napolitano ha teorizzato sulla carneficina dei patrioti ungheresi?

Mi chiedo che cosa dobbiamo pensare dello splendido comportamento avuto da Antonio Giolitti. Dobbiamo forse rimproverargli di avere messo a repentaglio l’ampiezza dei consensi di cui godeva il Pci e la stabilità della leadership togliattiana?

Giolitti nel Psi non si accontentò di essere stato nominato ministro nel governo italiano e nella comunità europea. Accettò anche di concorrere alla segreteria del partito sfidando Bettino Craxi. Giuliano Amato, insieme a molti altri intellettuali, a cominciare da Norberto Bobbio, se ricordo bene, non gli fece mancare la sua solidarietà e il voto. 

Non si può dimenticare il primo atto fatto da Giorgio Napolitano come capo dello Stato. Andò a casa di Antonio Giolitti e immagino che gli manifestò il suo rammarico e dispiacere per non averlo sostenuto quando si oppose all’aggressione sovietica all’Ungheria.

Non si può sicuramente sottovalutare questo comportamento.

Ma a contare sono non le buone maniere, ma le battaglie combattute o non combattute.

Di qui la domanda: come mai Enrico Berlinguer si inventò la misteriosa esistenza di una “terza via” tra il comunismo sovietico e la socialdemocrazia europea, mettendole sullo stesso piano? Quanti, e non solo Giorgio Napolitano, ingaggiarono una battaglia politica e ideologica per contrastare una equiparazione che era non solo indecente, ma infame?

Anche il Pd mi pare abbia mantenuto questa omologazione di Paesi retti da governi liberal-socialisti ai regimi di puro dispotismo (o di neo-bonapartismo come scrisse Antonio Gramsci) quali sono stati dal 1918 (quando Lenin con un colpo di mano sciolse l’Assemblea Costituente perché i bolscevichi erano risultati minoritari) in poi i regimi intitolati alla “dittatura del proletariato”.