La storia

Democrazia Futura. Giorgio Napolitano, due volte presidente

di Silvana Palumbieri, autore e regista a Rai Teche, realizzatrice di documentari |

I nove anni al Quirinale di un ex comunista: dalla prima elezione del 2006 al giro di boa del primo settennato. La lunga storia del Presidente Napolitano.

 Silvana Palumbieri

Nel 2005 Giorgio Napolitano a ottant’anni scrive la propria autobiografia politica per Laterza, Dal PCI al socialismo europeo. Un anno dopo l’elezione al Colle. Silvana Palumbieri in “Giorgio Napolitano, due volte presidente. I nove anni al Quirinale di un ex comunista[1]” ripercorre questa seconda vita istituzionale dell’ex leader della corrente cosiddetta migliorista, soprannominato “ministro degli esteri del PCI” . Il primo mandato vede gli anni di crisi della cosiddetta seconda Repubblica dal secondo governo Prodi dell’Unione del centrosinistra alla terza vittoria di Silvio Berlusconi e del centrodestra nel 2008 sino al “giro di boa” con l’uscita di scena del Caveliere nell’anno del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia”. Crisi politica e crisi economica si intrecciano con la nascita di un “governo del Presidente affidato al tecnico Mario Monti” cui seguirà per la prima volta nell’Italia repubblicana la rielezione di un presidente uscente dopo il risultato incerto delle elezioni politiche del 2013 che spianerà le porte al governo di larghe intese affidato a Enrico Letta ben presto destabilizzato dalla spaccatura nel centrodestra e dall’ascesa di Matteo Renzi nel Partito Democratico all’inizio del 2014. Quasi nove anni al Quirinale.

________________

Il giorno dopo le dimissioni, di buon mattino, il 15 gennaio 2015, esce già per andare al lavoro, nel suo studio da senatore a vita di Palazzo Giustiniani. E il sabato successivo è in piazza Madonna dei Monti, a festeggiare il ritorno a casa con gli abitanti del rione in cui abita da 35 anni.

La moglie Clio e il figlio Giulio accanto, il volto più disteso dopo soli tre giorni di riposo, e il timbro di voce risoluto di sempre. Giorgio Napolitano, il presidente che regnò due volte, l’unico, nella storia repubblicana, ad essere stato rieletto per un secondo mandato al Quirinale, assapora così il ritorno alla vita normale di tutti i giorni. Tutto è andato bene … Una cerimonia sobria, austera, elegante, proprio come lui l’ha voluta. Solo qualche momento di comprensibile commozione, soprattutto da parte dei suoi collaboratori. Poi l’accoglienza festosa sul portone di casa, che dista solo trecentocinquanta metri dal Colle più alto della Repubblica.

Chissà quanti ricordi, quanti momenti difficili si saranno riaffacciati alla mente nelle prime ore in cui Napolitano ha potuto ripercorrere questi nove anni tra sé e sé, finalmente libero dalle responsabilità.

La prima elezione al Palazzo del Quirinale nel 2006

Come sembra lontana l’Italia del 2006. Solo un anno prima il senatore a vita Giorgio Napolitano aveva festeggiato gli ottant’anni, con pochi amici e in un clima di bilancio conclusivo della sua lunga esperienza. Una vita politica, forse anche due, divise tra l’impegno nel Pci come dirigente del partito e parlamentare per oltre quarant’anni, e quello ai vertici delle istituzioni, presidente della Camera, ministro dell’Interno, fino al Quirinale, dove viene eletto la mattina del 10 maggio 2006 con 543 voti su 990 votanti.

Calmo, pacato, rispettato dagli avversari, al punto che nel 1994, Silvio Berlusconi, presentando il suo primo governo alla Camera, volle stringergli platealmente la mano in aula: che tipo di Presidente sarebbe stato Napolitano? Se lo chiedevano tutti.

Napolitano il 14 febbraio 2007 vola a Strasburgo per tenere un discorso al Parlamento Europeo. Ricorda agli italiani e agli europei che è nostro obbiettivo avanzare sulla strada dell’unità politica dell’Europa. La pensa come Altiero Spinelli e il suo manifesto di Ventotene, come la volevano Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. Creare un grande stato continentale i cui risolvere tutte le contraddizioni, le diseguaglianze, le povertà, le ondate migratorie, gli abusi sociali

La prima uscita è sulle “morti bianche”, gli incidenti sul lavoro che continuano a verificarsi con cadenza impressionante in Italia, troppo spesso per mancato o carente rispetto delle norme sulla sicurezza.

L’Italia del 2006 è quella della vittoria ai mondiali di calcio, delle Olimpiadi invernali di Torino, della morte di Oriana Fallaci, dell’arresto del boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano e della tragica scoperta dei “pizzini” con cui impartiva gli ordini all’organizzazione mafiosa.

Dal secondo governo Prodi alla terza vittoria di Silvio Berlusconi

Ma il 2006 è anche l’Italia del secondo, traballante, governo Prodi. Il leader dell’Ulivo ha battuto Berlusconi per soli 24 mila voti e non ha una maggioranza solida al Senato. Basta l’assenza di un paio di senatori a metterlo in difficoltà o a richiedere l’intervento in suo favore dei senatori a vita, tra molte contestazioni.

Così il Presidente è subito assorbito, fin dall’inizio del suo mandato, dalla crescente crisi politica della Seconda Repubblica. Gli resta poco tempo per andare di tanto in tanto nella sua Napoli o d’estate nell’amata Stromboli. 

L’avvento del sistema bipolare, in cui il centrosinistra e il centrodestra sono pienamente legittimati a governare e ad alternarsi alla guida del Paese con i loro leader, non ha portato con sé stabilità. Le coalizioni sono rissose, le maggioranze, quando ci sono, divise.

Nella legislatura 1996-2001 il centrosinistra ha cambiato tre governi e tre diversi presidenti del consiglio. In quella 2001-2006 il centrodestra, guidato da Berlusconi, ne ha dovuti cambiare due e far fuori il ministro dell’Economia Tremonti.

Anche il secondo governo Prodi, a cui Napolitano ha conferito l’incarico nel 2006, non andrà avanti a lungo. Nella primavera del 2008, silurato dal ministro di giustizia Mastella, si dimette dopo solo un anno e mezzo.

E Napolitano, dopo aver invano cercato una soluzione con un mandato esplorativo al presidente del Senato Franco Marini, è costretto a firmare lo scioglimento anticipato delle Camere. Si torna a votare. Vince Berlusconi. Walter Veltroni, sconfitto, è costretto poco dopo a lasciare la guida del Pd, il partito da lui fondato per riunificare il centrosinistra.

Pochi mesi dopo, il 6 febbraio 2009, Napolitano dovrà affrontare il caso doloroso di Eluana Englaro, la giovane di Lecco rimasta in stato vegetativo dal 1992 dopo un grave incidente stradale. I genitori della ragazza, dopo una lunga battaglia giudiziaria, avevano ottenuto dalla Corte d’appello di Milano l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, lasciandola morire, nel rispetto della sua volontà. Infatti in occasione di un incidente occorso a un suo amico Eluana aveva detto che se fosse capitato a lei non avrebbe voluto vivere attaccata a una macchina. Il governo Berlusconi emana un decreto per impedire ai medici di dar corso alla sentenza. Napolitano rifiuta di firmarlo. L’autorità giudiziaria su questo caso ha emesso una decisione definitiva che il Parlamento non può trasgredire. E non si può nemmeno emanare una legge organica sul tema del fine vita perché non esistono i requisiti costituzionali per emanarla. Eluana morirà tre giorni dopo, il 9 febbraio.

Il 9 maggio 2009 Licia Rognini, vedova di Giuseppe Pinelli, e Gemma Capra, vedova di Luigi Calabresi sono al Quirinale, si incontrano per la prima volta, si stringono la mano. È un momento simbolicamente alto delle iniziative volte alla riconciliazione nazionale. Giorgio Napolitano istituisce il Giorno della memoria delle vittime della stagione del terrorismo e delle stragi per rompere un lungo silenzio. La strage di Piazza Fontana, è stata l’avvio della cosiddetta ‘strategia della tensione’ ed ancora non scaturisce un’esauriente verità giudiziaria. 

Intanto, sotto gli occhi di colui che di qui a poco il “New York Times” soprannominerà “Re Giorgio”, il mondo cambia. Benché uscito da una vittoria elettorale clamorosa, con una maggioranza di oltre cento deputati e cinquanta senatori, Berlusconi va in difficoltà. Napolitano segue dal Colle l’insorgere delle divisioni tra la componente berlusconiana di Forza Italia e quella di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, divenuto intanto presidente della Camera. Sulle cosiddette leggi ‘ad personam’, che il governo fa approvare in fretta e furia per tamponare i guai giudiziari del leader del centrodestra, il Presidente manifesta le sue riserve. Ma è la Corte costituzionale a dichiarare illegittime, le leggi ‘ad personam’, che il governo di centrodestra ha fatto approvare per alleggerire la situazione giudiziaria del Cavaliere.

Al giro di boa del primo settennato. La crisi politica del centrodestra, i collassi dell’economia e l’uscita di scena di Silvio Berlusconi nell’anno del centocinquantenario dell’Unità d’Italia

È a questo punto che Silvio Berlusconi comincia a mirare sul Colle, accusando Giorgio Napolitano di non aver fatto nulla per impedire alla Corte di colpirlo e di aver sostanzialmente condiviso una sorta di complotto contro di lui. Accuse giudicate senza fondamento, a cui il Capo dello Stato in alcuni casi non riterrà neppure di replicare.

Le difficoltà del governo e la crisi della Seconda Repubblica, intanto, si aggravano. Gli attriti all’interno del Popolo della Libertà (Pdl), il partito nato dalla fusione di tutte le componenti del centrodestra tranne la Lega, diventano insormontabili. Soprattutto con Fini non c’è più accordo. Intanto sorgono nuovi problemi per Berlusconi.

Il 20 maggio 2010 il Presidente è all’aeroporto militare di Ciampino ad accogliere i feretri dei due alpini vittime di un attentato in Afghanistan. È capo delle forze armate. E sostiene i valori, tra loro inscindibili, del ripudio della guerra e della corresponsabilità internazionale per assicurare la pace e la giustizia nel mondo sempre posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione italiana – anche col generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi – alle missioni di stabilizzazione e di pace della comunità internazionale. Come in Afghanistan dove nel 2010 sono 3.300 i nostri militari impegnati in una missione Nato.

Incerta, frustrata, esausta, impaurita così è l’Italia negli anni Dieci del duemila. Ci sono i collassi dell’economia, la crisi del governo Berlusconi, i duri sacrifici della manovra per evitare il default.

Napolitano sente che è necessario recuperare l’orgoglio nazionale. L’occasione gli si presenta con l’Anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Far rivivere sentimenti cultura, capitoli storici, valori simbolici serve a riaffermare e consolidare l’identità nazionale.

Partendo da Genova e Quarto, comincia un lungo viaggio sui luoghi simbolo del movimento per l’unità, Marsala, Reggio Emilia. Il 29 luglio del 2010 è a Trieste per un Concerto alla presenza di due capi di stato dei confini orientali. Il 17 marzo 2011 a Montecitorio tiene la celebrazione per l’anniversario della proclamazione fatta 150° anni prima dal Parlamento poi a Torino dove si reca il giorno seguente. Poi va in altri posti ancora ed è presente a incontri, convegni, mostre: sulla pittura del risorgimento, sulla lingua italiana, su pubblicazioni storiche.

Il 28 marzo 2011 Giorgio Napolitano tiene un ascoltato discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Alle relazioni con gli altri Paesi si è sempre dedicato incontrando re e presidenti, dalla regina Elisabetta all’imperatore del Giappone Akito accompagnandolo nel 17 settembre 2009 a Tokio ad assistere all’opera Don Carlos.

Poi con la perdita di credibilità dell’azione del governo, si apre per Napolitano una fase in cui si rafforza il ruolo di interlocutore privilegiato dei leader di tutto il mondo, sconcertati dalla infinita transitorietà della politica italiana. Il dialogo con gli altri si allarga ancora: Angela Merkel, Francois Hollande. A Washington e a Roma. incontra tre volte il presidente degli Stati Uniti Barak Obama.

È in questa fase che per Napolitano si rafforza il ruolo di interlocutore privilegiato dei leader dei Paesi che cominciano a non fidarsi più dell’Italia e la considerano sotto osservazione.

Tra la fine del 2010 e l’estate del 2011 siamo al giro di boa del primo settennato e al culmine della crisi. Gianfranco Fini rompe con Silvio Berlusconi, esce dal Pdl (il partito unico della destra) e passa all’opposizione con 35 deputati. La maggioranza del governo si assottiglia. Lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli della Germania aumenta di giorno in giorno fino a toccare punte insostenibili. Berlusconi si rivolge alla Banca centrale europea per chiedere suggerimenti, ma il decalogo che il presidente della BCE Jean-Claude Trichet gli invia contiene provvedimenti durissimi, tagli, tasse, riduzioni di organico nella pubblica amministrazione, che il governo non è in grado di realizzare.

Il 15 novembre 2011, battuto alla Camera, Silvio Berlusconi si dimette.

Il governo del Presidente affidato al tecnico Mario Monti 

È il momento più difficile per Giorgio Napolitano: deve cercare di dare un nuovo governo all’Italia, che nelle condizioni in cui si è non può consentirsi vuoti di potere. La soluzione trovata dal Presidente si chiama Mario Monti. L’economista, già commissario a Bruxelles per due legislature, viene nominato senatore a vita da Napolitano il 9 novembre 2011, quando già la caduta del governo è nell’aria. All’indomani delle dimissioni di Berlusconi, il 16 novembre, riceve l’incarico. Sarà un governo “tecnico” e “del Presidente”, nel senso che è lo stesso Capo dello Stato, nel corso delle consultazioni, a chiedere al centrosinistra e al centrodestra di appoggiarlo, dato che si tratta di far fronte a una situazione di emergenza e Mario Monti sarà chiamato a prendere subito decisioni impopolari, per riguadagnare la fiducia dell’Europa e per tamponare i conti pubblici ormai fuori controllo.

Ma Napolitano dovrà vincere le resistenze di Pier Luigi Bersani e del Partito Democratico (Pd), che già nel dicembre 2010, all’atto della rottura tra Berlusconi e Fini, avrebbero voluto andare a elezioni anticipate, e anche adesso non hanno molta voglia di aspettare.

“Re Giorgio”, però, è inflessibile: il Paese non è in condizioni di sopportare un altro scioglimento delle Camere, l’Europa è in attesa di segnali concreti, altrimenti sull’Italia incombe il rischio di finire come la Grecia, commissariata dall’Unione europea e costretta a una cura da cavallo che la lascerà stremata

Le prime mosse di Monti, che concorda punto per punto la sua strategia con il Presidente della Repubblica, rivelano che la gravità della situazione è tale da far sospendere ogni regola abituale di funzionamento dei governi. Il premier si limita a informare i partner della sua larga maggioranza del contenuto del decreto “SalvaItalia”, dando per scontato che garantiranno il consenso in Parlamento.

I sindacati non vengono consultati sulla riforma delle pensioni. L’autrice della riforma, la ministra del lavoro Elsa Fornero, si metterà a piangere nella conferenza stampa di presentazione del provvedimento, lasciando intendere quanto sarà alto il prezzo che una larga parte dei lavoratori si accingono a pagare.

In realtà Mario Monti potrà lavorare serenamente solo nei primi mesi del suo mandato.

L’approssimarsi della scadenza elettorale del 2013 e l’appoggio intermittente dato da Berlusconi rendono più complicato tenere insieme la maggioranza. Il Cavaliere, pur avendo promesso collaborazione, fa marcia indietro. Non ha digerito le ultime mosse del Quirinale. È convinto che Napolitano avesse cominciato a costruire la soluzione Monti anche prima della caduta del suo governo. Arriva a parlare di “colpo di Stato” del Presidente nei suoi confronti. E alla fine del 2012 decide si sfilarsi dal governo.

Bersani avverte che il Pd da solo non può farcela a sostenere il peso della politica economica di rigore imposta dall’Europa e dall’allarmante debito pubblico italiano.

La discussione sulla legge anti-corruzione messa a punto dalla ministra di giustizia Paola Severino incontra molte resistenze, anche se dal 2010 in poi dalla Lombardia al Piemonte, al Lazio, alla Calabria, gli scandali nelle amministrazioni regionali esplodono uno dopo l’altro. Tangenti, sprechi di denaro pubblico, rimborsi spese usati dai consiglieri per spese voluttuarie, o addirittura incassati a fronte di false fatture, fanno montare nell’opinione pubblica una reazione di rigetto, un’ondata di antipolitica di cui si prepara a beneficiare il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Napolitano dal Quirinale guarda con estrema preoccupazione al deteriorarsi della situazione e lancia continui moniti a una classe politica che rischia di finire allo sbando. Prende anche parte alla drammatica vicenda del naufragio della nave Costa Concordia.

La rielezione di Giorgio Napolitano nel 2013 per un secondo mandato dopo il risultato incerto delle elezioni politiche del 2013 e il governo di larghe intese affidato a Enrico Letta

Le elezioni del 25 febbraio 2013 segnano un ulteriore complicarsi della situazione. Non c’è un vincitore. Anche se il Pd è arrivato primo e ha ottenuto il premio di maggioranza alla Camera, al Senato il centrosinistra non ha la maggioranza.

La vera rivelazione delle urne è Beppe Grillo, uscito da un successo alle elezioni regionali siciliane dopo una spettacolare traversata dello Stretto di Messina a nuoto e giunto adesso, alle politiche, a un’incollatura dal Pd.

Berlusconi ha messo in atto una formidabile rimonta. Il Parlamento è sostanzialmente diviso in tre grosse minoranze che si rifiutano di collaborare tra di loro.

A sorpresa, e contrariamente a quanto il Capo dello Stato gli aveva consigliato, Mario Monti è sceso in campo con un suo partito, ma il suo risultato è stato modesto.

In questo quadro, Napolitano avvia le consultazioni e affida l’incarico a Bersani, che prova a costruire un’alleanza con il Movimento 5 stelle, ma non ci riesce.

Si arriva così alla scadenza del settennato e alla convocazione delle Camere riunite per eleggere il successore di “Re Giorgio”. L’ultimo atto di Napolitano è la formazione di un gruppo di saggi per compilare un decalogo delle riforme, da consegnare al Parlamento che s’è appena insediato e al governo che verrà. 

Nel giro di pochi giorni il Parlamento in cui i partiti non si parlano e sono divisi anche al loro interno va incontro al disastro.

Alla prima votazione l’ex-presidente del Senato Franco Marini, candidato dal Pd con la promessa di un appoggio del centrodestra, viene abbattuto da 220 franchi tiratori. Alla seconda e alla terza votazione c’è uno stallo. Alla quarta, il Pd cambia cavallo e punta su Prodi, ma altri 101 parlamentari nel segreto dell’urna lo silurano.

Senza governo, non in grado di scegliere un nuovo Capo dello Stato, l’Italia somiglia sempre più alla nave da crociera rimasta piegata su un fianco davanti all’isola del Giglio.

La rielezione di Napolitano per un secondo mandato emerge così come unica soluzione possibile. C’è una processione di tutti i leader politici al Quirinale, e Berlusconi, a sorpresa, è tra i primi a muoversi.  Anche i delegati delle Regioni salgono al Colle per convincere il Presidente a superare le sue resistenze, dovute al fatto che non è mai successo prima che un Presidente della Repubblica fosse chiamato a un secondo mandato.

Il 20 aprile, con 738 voti, un consenso larghissimo, Napolitano a 87 anni è rieletto Presidente. Bersani in aula si commuove e piange.

Sarà durissimo, il 22 aprile, il discorso di insediamento del Capo dello Stato alla Camera dopo la rielezione. Il secondo mandato si rivelerà fin dall’inizio pesante come e più del primo.

Il 28 aprile Napolitano dà vita a un nuovo governo di larghe intese, non più tecnico ma politico, guidato da Enrico Letta e composto da ministri di centrosinistra e centrodestra.

Ma il giovane premier non avrà vita facile. La situazione economica continua a essere allarmante e la sorveglianza della Commissione europea molto stretta. I sindacati premono. La riforma Fornero, spostando in avanti l’età pensionabile, ha di fatto creato una nuova categoria sociale, gli “esodati”, coloro che hanno perso il posto ma non possono più accedere ai prepensionamenti. Berlusconi è preoccupato per i suoi processi. Il primo agosto la Cassazione lo condanna in via definitiva per frode fiscale: da quel momento in poi comincia un braccio di ferro tra il Cavaliere, che pretende che il Capo dello Stato gli dia la grazia di sua iniziativa, e Napolitano, che non vuole agire fuori dalle procedure e invita il leader del centrodestra, se lo crede, a presentare domanda di clemenza.

La spaccatura nel centrodestra e l’arrivo a Palazzo Chigi di Matteo Renzi nel 2014

Il quadro politico si deteriora. A novembre 2013, poco prima di essere dichiarato decaduto da senatore in applicazione della legge Severino, Berlusconi ritira l’appoggio al governo.

Il centrodestra si spacca. Alfano e un gruppo di una trentina di parlamentari del PDL abbandonano il Cavaliere e restano al governo, dopo una scissione da cui nascerà il partito del Nuovo Centrodestra.

Nelle fila dei senatori a vita si sono tristemente determinati dei vuoti. Spetta al presidente della repubblica nominarli tra le personalità che si sono distinte per altissimi meriti nel campo scientifico, artistico e sociale. Napolitano ne sceglie quattro. L’architetto Renzo Piano, il fisico nucleare Carlo Rubbia, la neurobiologa Elena Cattaneo. Ed anche il direttore d’orchestra Claudio Abbado, del cui concerto il 21 aprile 2011 Napolitano è spettatore.

Il governo è più debole e anche nel Pd sta per aprirsi una resa dei conti. Si avvicina il congresso e si preparano le primarie che vedono Matteo Renzi, sconfitto nel 2013 nella corsa alla premiership, tentare la rivincita contro Pier Luigi Bersani.

Renzi stavolta stravince. Non ci vuole molto a capire che Renzi, insoddisfatto dell’andamento del governo, punta al posto di Letta, anche se formalmente lo rassicura con un tweet rimasto famoso. A inizio del 2014 il nuovo leader passa all’azione. Chiede udienza al Capo dello Stato, gli comunica l’intenzione di far cadere il governo e, sebbene Napolitano sia contrario, il 13 febbraio riunisce la direzione del Pd e fa approvare un documento in cui chiede a Letta di dimettersi.

L’indomani si apre la crisi. Il 17 febbraio il Capo dello Stato dà l’incarico a Renzi, che il 21 presenta il suo nuovo governo, in cui metà dei ministri sono donne. Giorgio Napolitano ha dovuto imporsi per ottenere che al ministero dell’Economia, dove Renzi voleva il suo stretto collaboratore Graziano Del Rio, andasse l’economista Pier Carlo Padoan, già vice segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) a Parigi.

Tra Renzi, che procede tumultuosamente, con uno stile di comunicazione mai visto e conferenze stampa spettacolari, e Napolitano, abituato a una liturgia della politica più tradizionale, la marcia di avvicinamento non è facile. Secondo Gianni Cervetti, suo vecchio amico, il Presidente ci mette un po’ a far capire a Matteo Renzi che la guida del governo è cosa ben diversa da quella del comune di Firenze di cui è stato sindaco, e che la sua “saggezza di anziano uomo politico può essere di conforto all’entusiasmo del giovane”.

Ma dopo le elezioni europee del 25 maggio 2014, in cui Renzi porta il Pd al 40,8 per cento, impegnandosi subito dopo per una rapida approvazione della nuova legge elettorale, per la riforma del bicameralismo e la trasformazione del Senato in camera non elettiva, i rapporti tra Palazzo Chigi e il Colle migliorano.

Napolitano e Renzi restano due politici molto diversi, per età, storia personale, esperienza; ma cominciano a intendersi

Il presidente della Repubblica è Presidente del Consiglio Superiore della magistratura, organo di controllo del potere giudiziario. All’Assemblea Generale del 22 dicembre 2014 Napolitano ci tiene ad affermare che nell’intreccio molto rilevante tra corruzione e mafia rimane l’altro lato del triangolo: quello della politica. Che deve essere ben qualificato anche per non ricadere nello stato di tensione e nelle contrapposizioni che negli anni rimbalzano tra i corpi rappresentativi della politica e della magistratura».

L’uscita di scena di “Re Giorgio” dal Quirinale

Il 9 novembre 2014 appare su La Repubblica un articolo di Stefano Folli che adombra la possibilità che Napolitano stia per dimettersi. Il Quirinale commenta con una nota in cui ricorda che il Presidente aveva messo in conto le dimissioni fin dal momento dell’assunzione del secondo mandato. È la conferma che ci sta pensando. Ma se è deluso dal comportamento di molti di quelli che gli chiesero la disponibilità a restare, non lo dirà, né lo darà a vedere.

Napolitano ha quasi novant’anni (li compie il 29 giugno 2015), sente di non avere più le forze necessarie per l’impegno che gli è richiesto, di supportare un sistema politico in crisi, in cui anche la Seconda Repubblica è morta e la Terza fatica a nascere.

Come ricorda un altro suo amico e coetaneo, Emanuele Macaluso,

“ha fatto il Presidente in un periodo in cui i partiti erano tutti sfasciati, il sistema politico era fragile e frantumato, situazioni molto complicate in cui comunque occorreva garantire la governabilità”.

Queste parole, però, il Presidente non le dirà nel suo ultimo messaggio radiotelevisivo di Capodanno, in cui conferma che sta per andarsene. Al contrario, cerca ancora di infondere coraggio e speranza agli italiani che lo ascoltano, e cita come esempi alcune speciali donne italiane, tra cui l’astronauta Samantha Cristoforetti, che ha raggiunto al telefono il 23 dicembre nello spazio per farle gli auguri. Così Re Giorgio se ne va: torna alla vita normale con la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per affrontare la crisi, e la convinzione che adesso è indispensabile tornare alla normalità istituzionale.

 La sintesi di questi nove anni, e forse un po’ di tutta la sua vita, in fondo sta nell’incontro finale con un gruppo di bambini davanti al Quirinale, il giorno prima di firmare le dimissioni, e in quel che ha scritto da tempo nella sua autobiografia:

“Ho combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate, e cercato via via di correggere errori, di esplorare strade nuove”.


[1] Testo di un documentario realizzato da Rai Teche in occasione della fine del secondo mandato del Presidente Giorgio Napolitano al Quirinale