L'analisi del voto

Democrazia Futura. Giorgia Meloni: un governo del partito della nazione?

di Massimo De Angelis, scrittore e giornalista condirettore di Democrazia futura si occupa di filosofia |

Evitare scontri in Europa per trattare con l’alleato americano da posizioni di sufficiente forza. Le possibili strategie della Meloni a Palazzo Chigi.

Massimo De Angelis

Massimo De Angelis analizza la rilevante discontinuità del voto del 25 settembre che potrebbe ripristinare condizioni di stabilità. Secondo De Angelis è ora importante creare le condizioni per realizzare un governo che sia davvero di interesse nazionale. Sarà possibile per Giorgia Meloni – si chiede l’autore – dar vita a “Un governo del Partito della Nazione?”. Riprendendo un’idea coniata da Matteo Renzi, la vincitrice di queste elezioni sarà capace da Palazzo Chigi di promuovere “Una difesa degli interessi nazionali ma nel rispetto, però, dei trattati europei ed atlantici”, in grado altresì – come recita l’occhiello – di “Evitare di andare allo scontro in Europea per trattare con l’alleato americano da posizioni di forza”?

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Le elezioni del 25 settembre non credo segnino un cambio epocale nella politica italiana ma certo costituiscono una rilevante discontinuità.

Dopo due legislature con maggioranze variabili e governi instabili si creano le condizioni di stabilità.

Credo sia questo il dato oggettivo che emerge dal voto ma che rappresenta insieme un chiaro mandato degli elettori (anche così si spiega il travolgente successo elettorale di Giorgia Meloni). Tanto è vero che sono puniti tutti i partiti che più si sono impegnati nel disegnare le caotiche maggioranze politiche della scorsa legislatura: quella gialloverde e quella giallorossa.

Gli esponenti del Movimento 5Stelle, che hanno partecipato a entrambe, sono i maggiori sconfitti, nonostante l’astuto recupero finale di Giuseppe Conte, la Lega è pure pesantemente penalizzata e sconfitto è anche il Pd, battuto sonoramente come perno dell’alternativa al centro sinistra e che paga l’idea di essere o apparire un partito senz’anima (non una proposta merita di essere ricordata della sua campagna elettorale), troppo governista, legato alle “élites” sempre pronto a sostenere governi tecnici, sin quasi a poter essere scambiato come partito-regime come un tempo toccava alla Dc.

Questo aiuta a comprendere, a me pare, il secondo messaggio forte che viene dalle urne.

Gli elettori, il popolo se si vuole, ha percepito un abisso tra il proprio vissuto e le chiacchiere dell’opinione pubblica dominante, identificata nei mass media e in un’informazione appunto troppo autoreferenziale, legata alle élites e lontana dai pensieri della gente e dal comune sentire. E ha punito chi, la sinistra, è stata considerata il riferimento di questo tipo d’informazione.

In questo cleavage bottom-up, ovvero in un tale sfaldamento dall’alto verso il basso, vi è certamente anche un lascito della stagione populista.

Nulla di più sbagliato, però, vedere nei risultati elettorali una conferma della stagione che abbiamo alle spalle. I grillini del Movimento 5Stelle e Lega, come detto, sono i maggiori sconfitti.

Vince invece un partito di destra che aspira a esprimere la sovranità nazionale e un interesse nazionale. Dopo la richiesta di stabilità e di ridimensionamento del peso politico delle élites è questo il terzo messaggio forte che emerge dalle urne, quello in favore di una politica di difesa degli interessi nazionali.

E questo è probabilmente il crinale più delicato sul quale è destinato a muoversi un probabile governo Meloni. Sembra che nella sua intenzione Giorgia Meloni intenda perseguire una politica di difesa degli interessi nazionali con la schiena dritta e non piegata come si imputa al partito di Enrico Letta. E che gli elettori questo le chiedano.

Una difesa degli interessi nazionali ma nel rispetto, però, dei trattati europei ed atlantici, un rilancio della sovranità nazionale ma non di un sovranismo eversivo di quei trattati e di quelle alleanze.

Il percorso è stretto perché è vero che gli altri Paesi non mettono mai in secondo piano i propri interessi rispetto a quelli comuni ma è anche vero che hanno condizioni diverse rispetto alle nostre specie riguardo il debito. I nostri margini, insomma, sono particolarmente stretti mentre le urgenze assai ampie.

Sembra in conclusione che la Meloni abbia in mente più il progetto di partito (e di governo) della nazione, come già ebbe in mente Matteo Renzi (comprese le indispensabili incisive riforme istituzionali) più che un governo fondato su istanze di destra. Almeno questo è quanto possiamo augurarci.

Si comincerà a capire quanto sarà in grado di perseguire quest’obiettivo già alla formazione del governo.

Poi dipenderà dalle scelte, dalle circostanze, anche dai modi dell’opposizione, (a cominciare da quella di un Terzo polo che comunque ha ottenuto un risultato incoraggiante), e naturalmente dal contesto europeo.

La sortita di Ursula von der Leyen prima del voto e poi alcune prime uscite francesi espresse dopo il voto non lasciano ben sperare.

L’importante sarà però vedere che cosa si riuscirà a imbastire a mente fredda considerando che non è interesse dell’Italia, ma neanche della Francia, andare allo scontro.

E che anche l’Europa, tra inflazione, guerra e via dicendo ha supremo interesse a ripensarsi sì ma nella coesione, anche per poter trattare con l’alleato americano improvvisamente divenuto vicino, forse sin troppo, da posizioni di sufficiente forza.