Cambiamenti

Democrazia Futura. Dallo sport business agli eSports, la grande trasformazione digitale dello sport

di Pieraugusto Pozzi, ingegnere autore di ricerche e saggi sul digitale |

Gli eSports sono seguiti da circa mezzo miliardo di persone nel mondo (soprattutto in streaming), con un giro d’affari globale di circa 1,1 miliardi di dollari. In Italia gli appassionati sono circa 1,5 milioni.

Pieraugusto Pozzi

La riflessione a più voci prosegue con Pieraugusto Pozzi che nel suo pezzo “Dallo sport business e degli eSports” analizza quelli che nell’occhiello definisce “alcuni effetti della grande trasformazione digitale”. Se il calcio è stato un formidabile pilota del pubblico della tv analogica prima,  di quella digitale poi, e ora del videostreaming”, alle porte dell’impero della diretta premono i giovani eserciti degli eSports destinati a incidere e segnare le future forme ed espressioni della cultura e dell’intrattenimento. Le vicende dell’assegnazione dei diritti televisivi delle partite di Serie A e della cosiddetta Superlega europea sono uscite dalle pagine sportive per occupare, diversamente e ampiamente, pagine economiche, tecnologiche e di costume. Stadi e arene sono diventati meno capienti, più costosi, più esclusivi, meno frequentati e gli eventi sempre più teletrasmessi. In cifre, nelle principali leghe europee di calcio la biglietteria genera solo il 10-15 per cento dei ricavi totali, mentre i diritti di trasmissione, sulle varie piattaforme, oltrepassano la quota dei due terzi dei ricavi. Ma questa prima virtualizzazione “televisiva” è stata anche un fenomenale driver socio-tecnologico, nella prima fase, facilitando ed incoraggiando il pubblico alla transizione dalla televisione analogica alla televisione digitale (prima terrestre e poi satellitare, con centinaia di canali a pagamento) capace di diffondere eventi di tutti gli sport, di tutte le leghe, di tutte le latitudini, trasformando gli appassionati (e i radioascoltatori delle epiche dirette) in telespettatori. In ogni caso ed ancora, il salotto degli amici e la sala del circolo o del bar avevano conservato al rito “della diretta“ un tessuto sociale connettivo di emozioni condivise e di commenti “caldi”. Ma l’irresistibile onda innovativa delle piattaforme digitali già preparava la seconda transizione: prettamente on demand, sempre più personalizzata, caratterizzata dal paradigma anytime, anywhere, anyhow. Una transizione che trasforma (definitivamente?) i telespettatori in utenti digitali di videostreaming, preferibilmente connessi ai social per condividere le residuali emozioni e commenti “freddi” e magari disposti a scommettere in tempo reale sulle piattaforme online. Ora la virtualizzazione digitale non si può fermare e anzi la pandemia ha agito come ulteriore catalizzatore della fruizione digitale individuale. Anziché attingere al serbatoio di eventi e incontri “reali” tra squadre, organizzati secondo leghe, calendari e impegni “sportivamente sostenibili” (che scontano rischi gestionali, meteorologici, di infortunio e, purtroppo, inattesi sconquassi pandemici), si è aperta la nuova e “quasi infinita” prateria degli eSports. Discipline di frontiera con il mondo dei videogiochi (175 miliardi di dollari di ricavi e oltre 2,7 miliardi di giocatori nel mondo). Nella crisi finanziaria dei grandi club calcistici europei, si è improvvisamente consolidata la proposta della Superlega, nell’aria da qualche anno. Una proposta dichiaratamente indirizzata al mercato dell’attenzione del pubblico più giovane, ovvero dei nativi digitali. L’assegnazione dei diritti della serie A a DAZN, e le polemiche intorno alla Superlega sembrano caratterizzabili da un’unica matrice tecnico-finanziaria. La stessa che caratterizza lo sviluppo dell’economia digitale, iper-finanziarizzata, dei giganti digitali. In definitiva gli stessi (ed unici) soggetti così potenti e così poco controllati da poter dettare nuove regole del gioco e, in futuro, le nostre passioni.

Nelle ultime settimane (aprile 2021), le vicende dell’assegnazione dei diritti televisivi delle partite di Serie A e della cosiddetta Superlega europea sono uscite dalle pagine sportive e dai siti specializzati per occupare, diversamente ed ampiamente, pagine economiche, tecnologiche e di costume. Tra i commenti più interessanti per i lettori di Democrazia futura e intersecati alle riflessioni che seguono, certamente quelli di Francesco Devescovi (1) e di Michele Mezza (2), autori ed amici della Rivista.

Facile constatare che la grande trasformazione digitale, che sta cambiando in profondità cultura, economia e società, non poteva non riguardare uno degli ultimi riti collettivi: lo sport. Che anzi, diventato sport business, di questa trasformazione digitale è stato ed è tuttora un motore primo, sempre più sempre virtuale e virtualizzato.

Da tempo, le freddissime o caldissime domeniche sentimentali con la squadra del cuore, passate in casa o in trasferta allo stadio o al palasport, vivendo un sentimento di appartenenza e di lunga durata di famiglia e di campanile, hanno lasciato spazio, per la maggior parte del pubblico, alle immagini di consumo domestico o di gruppo, comunque delocalizzato rispetto alla sede dell’evento. Stadi e arene sono diventati meno capienti (il nuovo Maracanà rispetto al vecchio l’esempio più clamoroso), più costosi, più esclusivi, meno frequentati e gli eventi sempre più teletrasmessi. In cifre, nelle principali leghe europee di calcio la biglietteria genera solo il 10-15 per cento dei ricavi totali, mentre i diritti di trasmissione, sulle varie piattaforme, oltrepassano la quota dei due terzi dei ricavi.

Ma questa prima virtualizzazione “televisiva” è stata anche un fenomenale driver socio-tecnologico. Nella prima fase, facilitando ed incoraggiando il pubblico alla transizione dalla televisione analogica (pubblica o commerciale, limitata dai pochissimi canali disponibili) alla televisione digitale (prima ancora terrestre e poi subito satellitare, con centinaia di canali a pagamento) capace di diffondere eventi di tutti gli sport, di tutte le leghe, di tutte le latitudini, trasformando gli appassionati (e i radioascoltatori delle epiche dirette) in telespettatori. Anche di leghe lontanissime per discipline praticate e costumi del pubblico come quelle professionistiche americane, fino a qualche decennio fa raccontate a pochi appassionati solo da testimoni diretti o in brevi servizi di giornali e media.

Questa prima transizione della fruizione sportiva aveva portato i primi problemi alle leghe locali, nelle quali le squadre maggiori erano progressivamente stimolate ad accordi internazionali, anche extra-istituzionali come accaduto con l’Eurolega di basket, per emulare il modello americano.

In parallelo, la trasmissione televisiva intensiva del calcio stava determinando inattese difficoltà per i tornei delle squadre nazionali, non più miti fondativi delle generazioni ma obblighi quasi burocratici, molto faticosi, poco interessanti, forzatamente inseriti in calendari stagionali stilati a misura dei club e persino, progressivamente, svuotati di significato tecnico e spettacolare.

In ogni caso ed ancora, il salotto degli amici e la sala del circolo o del bar avevano conservato al rito “della diretta“ un tessuto sociale connettivo di emozioni condivise e di commenti “caldi”. Ma l’irresistibile onda innovativa delle piattaforme digitali già preparava la seconda transizione: prettamente on demand, sempre più personalizzata, caratterizzata dal paradigma anytime, anywhere, anyhow. Una transizione che trasforma (definitivamente?) i telespettatori in utenti digitali di videostreaming, preferibilmente connessi ai social per condividere le residuali emozioni e commenti “freddi” e magari disposti a scommettere in tempo reale sulle piattaforme online.

Ora la virtualizzazione digitale non si può fermare ed anzi la pandemia ha agito come ulteriore catalizzatore della fruizione digitale individuale. Anziché attingere al serbatoio di eventi ed incontri “reali” tra squadre, organizzati secondo leghe, calendari e impegni “sportivamente sostenibili” (che scontano rischi gestionali, meteorologici, di infortunio e, purtroppo, inattesi sconquassi pandemici), si è aperta la nuova e “quasi infinita” prateria degli eSports. Discipline di frontiera con il mondo dei videogiochi (175 miliardi di dollari di ricavi e oltre 2,7 miliardi di giocatori nel mondo) che ormai sono considerate dai Comitati Olimpici nazionali discipline sportive a tutti gli effetti, tanto da essere ospitate alle prossime Olimpiadi. Competizioni individuali e di squadra, tra giocatori e team che usano dispositivi digitali e che si misurano, anche a distanza, su piattaforme tecnologiche sempre più perfezionate.

In cifre (3), secondo Nielsen, quasi mezzo milione di persone al giorno segue in Italia un evento di eSports, che interessano quasi un milione e mezzo di italiani. Secondo le stime Newzoo di marzo 2021, gli eSports sono seguiti da circa mezzo miliardo di persone nel mondo (soprattutto in streaming), con un giro d’affari globale di circa 1,1 miliardi di dollari, generati per il 60 per cento circa da sponsorizzazioni (sono già presenti marchi come Mastercard, Honda, Hp, Coca-Cola, Red Bull, Nissan), per il 20 per cento circa da diritti audiovisivi e dalla biglietteria di eventi dal vivo. I campioni di eSports possono guadagnare cifre paragonabili a quelle percepite da medi professionisti dello sport e la competizione più seguita è il Campionato mondiale di League of Legends, l’evento in diretta più seguito su Twitch e YouTube.

L’attenzione prevalente agli eSports è più evidente nella cosiddetta Generazione Z dei nativi digitali (nati dopo il 1997, avevano dieci anni all’arrivo sul mercato dello smartphone), cresciuti nell’abbondanza dell’offerta di dirette sportive televisive, sono meno disposti all’attenzione prolungata su un evento e molto più a loro agio nella virtualità e nella multiattività digitale (4).

In un recente intervento (febbraio 2021), Andrew Georgiou (5), presidente di Eurosport (gruppo Discovery) ha segnalato che la quota di chi non ha alcun interesse per lo sport è salita al 42 per cento tra 13 e 23 anni ed al 25 per cento tra gli over 18. Una ricerca Morning Consult (6) del 2020 condotta negli Stati Uniti sulla Generazione Z segnala che: si dichiara “sport fan” solo il 53 per cento, rispetto al 69 per cento della Generazione Y (nati tra il 1980 e il 1996); che, rispetto alla Generazione Y, il consumo di contenuti sportivi è dimezzato e raddoppia la quota di chi non guarda alcun evento sportivo e, infine, che gli eSports sono più popolari di baseball, motori e hockey e appassionano il 35 per cento della Generazione Z. Ecco perché le organizzazioni sportive “reali” e i singoli club abbiano avviato iniziative di eSports (7) ed esistano competizioni “virtuali” come la eSerieA (8).

Nel frattempo, nell’economia del calcio, soprattutto in Italia, Regno Unito e Francia, le proprietà di molte blasonate squadre calcistiche sono state acquisite da proprietari ed investitori extra-europei (statunitensi, cinesi, russi, arabi). Proprietari e investitori che, insieme a quelli storici e nativi degli altri club, hanno subito notevoli difficoltà finanziarie a causa del distanziamento imposto dalla pandemia, che ha ridotto fortemente o annullato i ricavi di biglietteria, marketing e merchandising, ed ha appesantito la situazione contabile delle squadre con elevati costi di gestione, determinando situazioni debitorie quasi insostenibili.

Si è così improvvisamente consolidata la proposta della Superlega, già nell’aria da qualche anno. Una proposta dichiaratamente indirizzata al mercato dell’attenzione del pubblico più giovane, secondo Andrea Agnelli (9): «creare una competizione che simuli ciò che [gli under 24] fanno sulle piattaforme digitali — come Fifa — significa andargli incontro e fronteggiare la competizione di Fortnite o Call of Duty che sono i veri centri di attenzione dei ragazzi di oggi, che spenderanno domani». Una proposta in ipotesi basata su dinamiche finanziarie totalmente extra-sportive evidenziate dal ruolo e dall’impegno di JP Morgan, mirato a rinviare le emergenze finanziarie dei club più indebitati e proiettata a fondare nel calcio, lo sport più seguito in Europa, una lega continentale di élite, sul modello delle leghe professionistiche statunitensi.

Un modello di riferimento facilmente confutabile se si comparano le regole (scarsamente competitive) di accesso e funzionamento abbozzate per la Superlega con i rigorosi meccanismi di controllo e di gestione delle leghe professionistiche statunitensi (per esempio quella cestistica NBA) che prevedono norme unificate e rigidamente rispettate (salary floor, salary cap, luxury tax), suddivisione sostanzialmente perequativa dei ricavi del sistema tra i partecipanti, incentivi alla concorrenza competitiva nelle procedure di prima scelta dei giovani talenti e di ingaggio dei giocatori di altre squadre della lega. Per comparare i livelli competitivi, si può osservare che, negli ultimi vent’anni, lo scudetto italiano (esito di un campionato gestito dalla Lega Seria A con meccanismi finanziari sbilanciati) è stato vinto solo da tre squadre diverse: le milanesi e la Juventus, che ha vinto consecutivamente gli ultimi nove titoli. Nello stesso periodo, la Champions League è stata vinta da otto club diversi, mentre il titolo Nba è stato vinto da nove “franchigie” diverse.

In conclusione, i due eventi tecnico-gestionali dell’aprile 2021 collegati allo sport (assegnazione dei diritti televisivi della Serie A italiana alla piattaforma streaming Dazn, Superlega europea) sembrano caratterizzabili da un’unica matrice tecnico-finanziaria. La stessa che caratterizza in modo peculiare lo sviluppo dell’economia digitale, molto più armonizzabile dell’economia industriale alle pratiche di iper-finanziarizzazione, come dimostrano capitalizzazioni, ricavi e liquidità stellari dei giganti digitali. In definitiva gli stessi (ed unici) soggetti così potenti e così scarsamente controllati da poter definire le nuove regole del gioco e delle passioni. Anche di quelle più ataviche e tradizionali, come quelle che lo sport (dimenticando l’importanza del lato business) è ancora in grado di generare.

Una nuova dimostrazione che, se quello che chiamavamo progresso ci ha condotti, con tutte le sue contraddizioni, dalle tribù alla società globale, la grande trasformazione digitale ci può riportare ad un tribalismo ipermoderno, cambiando noi stessi e le nostre relazioni sociali e collettive. In un “vero conflitto intergalattico per la conquista dei sentimenti”, come scrive Michele Mezza. Un conflitto che si ripropone in molte dinamiche del mondo contemporaneo, a partire da quelle politiche.


Note al testo

(1)Francesco Devescovi, “Diritti tv,Dazn batte Sky: nella gara per il campionato di calcio vince il web”, Blog Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2021, https://tinyurl.com/57mru4by

(2) Michele Mezza, “Superlega, la prima robotizzazione di un pubblico. La via calcistica alla banda ultra-larga”, Key4biz, 19 aprile 2021, https://tinyurl.com/w5xfxdua

(3) Massimiliano Di Marco, “eSports. Giro d’affari 2021 da 1,1 miliardi di dollari”, La Gazzetta dello Sport, 10 marzo 2021; Giulia Cimpanelli, “!Dal Milan all’Armani l’ultima partita è online”, Il Corriere dell’Economia, 19 aprile 2021

(4) Alessandro F. Giudice, “Digitale e quale”, Corriere dello Sport, 28 aprile 2021  

(5) Andrew Georgiou, “The media landscape: Broadcasting revenues in an era of unbundling”, Financial Times Business of Football Summit 2021, 17 febbraio 2021.

(6) Alex Silverman, “The Sports Industry’s Gen Z Problem”, Morning Consult, 28 settembre 2020, https://tinyurl.com/kcs7nrzy

(7)Samuel Agini, “If you can’t beat them, join them: football and F1 team up with esports”, The Financial Times, 8 novembre 2020, https://tinyurl.com/sbehc2h3

(8) https://esportsitalia.com/

(9) Maurizio Molinari, “Andrea Agnelli: ‘La Superlega per coinvolgere i giovani, la competizione è con Fortnite e Call of duty’”, La Repubblica, 21 aprile 2021.