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Democrazia Futura. Cento anni di radiofonia e settant’anni di tv in Italia (I)

di Bruno Somalvico, storico dei Media e direttore editoriale di Democrazia futura |

Verso la celebrazione dell’inizio delle trasmissioni radiofoniche in Italia, Bruno Somalvico ci racconta la nascita di radio e televisione in Italia.

Bruno Somalvico

Fra poche settimane celebreremo il settantesimo anniversario della nascita della televisione, nell’ottobre 2024 il centenario della radio. Bruno Somalvico, dopo aver ripercorso dapprima le condizioni di gestazione della radiofonia in Italia intorno all’Unione Radiofonica Italiana (URI) poi il suo sviluppo nella stagione del monopolio radiofonico con il concorso dell’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, e, a partire dal 1944, della prima Rai- Radio Audizioni Italia, ripercorre per questo numero di Democrazia futura, suddivisa in tre parti “La stagione del monopolio radiofonico e televisivo della RAI (1954-1974)”. La prima parte ripercorre gli anni che vanno dall’avvio delle trasmissioni televisive e la nuova denominazione dell’azienda in Rai Radiotelevisione Italiana sino al 1960.

Parte seconda

La stagione del monopolio radiofonico e televisivo della RAI (1954-1974) 

Prosegue la nostra ricostruzione della storia della radiodiffusione in Italia in previsione delle celebrazioni del centenario dell’inizio delle trasmissioni radiofoniche che verrà celebrato nell’ottobre 2024.

Dopo una prima stagione molto articolata e complessa di monopolio della radio dedicata in una prima fase alla gestazione della radiofonia e all’età dell’Unione Radiofonica Italia (1924-1927), cui seguirà l’età dell’Eiar (1928-1944), e una terza fase di monopolio radiofonico assegnato, dopo la caduta del fascismo, alla nuova azienda di servizio pubblico Radio Audizioni Italia (Rai),  che andrà affermandosi come le sue sorelle europee nel secondo dopoguerra (1944-1954), assistiamo ad una seconda stagione, quella del monopolio sia radiofonico sia televisivo, affidato  alla nuova concessionaria del servizio pubblico che cambia denominazione in Rai – Radiotelevisione Italiana (1954-1974).

Questa seconda stagione  ventennale trae profitto e si identifica con la grande crescita e trasformazione dei consumi e dei comportamenti degli italiani creando le premesse per un’azienda che diventerà la prima grande azienda culturale e informativa, fornendo altresì un contributo decisivo all’unificazione in primis della lingua parlata, ma anche dei gusti e delle abitudini di un Paese che celebra nel 1961, un anno dopo i Giochi Olimpici di Roma, il centenario della propria unità politica e si appresta a dar vita, secondo quanto indicato nella sua nuova Costituzione repubblicana, all’istituto delle Regioni, per valorizzarne al contempo la varietà del proprio patrimonio e la complessità delle proprie culture e tradizioni.

Questa seconda stagione costituisce una sorta di Età d’oro della Rai e di un sistema della comunicazione radiofonica che, a differenza di altre realtà europee e d’oltreoceano, non era riuscito fra le due guerre mondiali ad imporsi come principale strumento di comunicazione di massa.

 Il lettore troverà peraltro nel contributo qui di seguito – che copre l’intero arco temporale di questo ventennio così importante per la storia della comunicazione audiovisiva in Italia – la ripresa e l’approfondimento di quanto scritto in un articolo precedente dedicato agli anni della stagione dei congressi e alle riforme della Corte Costituzionale[1],il tutto per dare maggiore sistematicità e organicità alla ricostruzione di questi anni decisivi per la caratterizzazione del sistema radiotelevisivo italiano negli anni del dominio assoluto delle comunicazioni di massa e in particolare di quelle che, in un saggio del 1996 per il Mulino, avevamo qualificato come le  emittenti televisive nazional-generaliste[2].

Dal lancio del canale nazionale ai Giochi Olimpici di Roma

Parte seconda 1. L’avvio della televisione (1954-1960)

La Rai in base alla nuova Convenzione firmata nel 1952 cambia denominazione sociale il 10 aprile 1954 in RAI Radio Televisione Italiana. Inizia una nuova fase della storia italiana della radiodiffusione di cui si celebrerà nell’ottobre 2024 il centenario.

Un quadro stabile di convivenza fra il gruppo dirigente democristiano e quello storico piemontese

La Convenzione concessa all’EIAR, abbiamo visto come nel 1952 fosse stata rinnovata per decreto dal Governo senza particolari problemi politici.

Il controllo del Governo sull’informazione e progressivamente quello del partito di maggioranza saldamente alla guida dell’esecutivo, non aveva tuttavia impedito la riorganizzazione della Rai nei primi anni della Repubblica con il vecchio gruppo dirigente, lasciando come nel primo decennio radiofonico fascista una relativa autonomia di gestione al vertice aziendale con meccanismi di cooptazione basati su criteri manageriali e di merito.

Si era andata creando progressivamente una diarchia fra il nuovo gruppo dirigente democristiano e il vecchio gruppo dirigente piemontese presto riabilitato dopo l’epurazione. Nel primo spicca, oltre a un politico di primo piano come Giuseppe Spataro, subentrato ad Arturo Carlo Jemolo come Presidente della Rai il 2 agosto 1946 e rimasto in carica sino al 18 maggio 1951, la figura di un manager pubblico proveniente dalla Banca Nazionale del Lavoro e futuro direttore centrale dell’IRI, Salvino Sernesi, nominato Direttore Generale a partire dall’ottobre 1947 e che rimarrà in carica sino al 1953, affiancato come vice direttore generale da un manager di lungo corso, cresciuto nell’Eiar sino a ricoprirne la carica di segretario generale, Marcello Bernardi.

Ciononostante, anche negli ultimi due decenni del monopolio oggetto di questo quarto articolo, quando a partire dall’aprile 1954 viene istituita la figura dell’Amministratore Delegato a fianco di un Presidente ridotto a funzioni di rappresentanza e ad un direttore generale responsabile soprattutto dei contenuti della programmazione, il quadro interno rimane stabile con l’avvicendarsi di cinque presidenti: Antonio Carrelli, Novello Papafava, Pietro Quaroni, Aldo Sandulli e Umberto Delle Fave; di quattro amministratori delegati: Filippo Guala dal giugno 1954 al giugno 1956, Marcello Rodinò di Miglione dal giugno 1956 all’aprile 1965, Gianni Granzotto dall’aprile 1965 all’aprile 1969 e Luciano Paolicchi dall’aprile 1969 al luglio 1972; e di soli tre direttori generali: Giovan Battista Vicentini dal 1954 al 1956, Rodolfo Arata dal 1956 al 1960, ed Ettore Bernabei dal gennaio 1961 sino al settembre 1974.

L’avvio dei programmi televisivi regolari

Il 1° gennaio 1954 iniziano ufficialmente i programmi televisivi regolari. La sede centrale della Rai rimane a Torino, anche se inizia il trasferimento della direzione generale da Torino a Roma[3] e con esso la prima separazione fra il momento ideativo affidato alla Direzione artistica TV e quello organizzativo ed esecutivo affidato ai centri di produzione di Milano, Torino e Roma. Il telegiornale sotto stretto controllo è alle dirette dipendenze del Direttore Generale.

La Rai trasmette una media di 28 ore settimanali.

Nel corso dell’anno la rete televisiva che comprende inizialmente la valle del Po, la riviera ligure, il litorale tirrenico, la valle dell’Arno, Firenze e la pianura maremmana sino a Roma, viene estesa a tutto il centro del Paese.

L’azienda opera in situazione di monopolio sostanziale anche se nessuna norma sino a quel momento vieta esplicitamente ai privati di avviare un’emittente. Sono in gioco tre articoli della Costituzione. L’art 21 sulla libertà d’espressione, l’Art.  41 sulla libertà d’iniziativa economica e l’Art. 43 sulla riserva allo Stato di attività di preminente interesse generale.

Nell’immediato la televisione appare un nuovo costoso giocattolo. È invece l’inizio di una nuova epoca che proprio in questo oggetto simbolo vede materializzarsi la rottura col passato.

La scelta del monopolio e della proprietà pubblica delle frequenze assegnata ad un’unica azienda

Con l’avvento della televisione e la sua diffusione in Europa dopo la ricostruzione, si è creato un nuovo settore economico d’importanza crescente, peraltro destinato a condizionare addirittura segmenti decisivi della struttura produttiva dei nostri Paesi.

Al tempo stesso, le nuove forme di comunicazione hanno sempre più inciso sui comportamenti individuali e collettivi dei cittadini, sino a provocare dirette conseguenze sulla vita sociale, rilevanti persino sulle vicende politiche della democrazia.

Sicché la storia della radiotelevisione, anche e soprattutto quella assai tormentata delle sue regole di proprietà e di funzionamento, appartiene a quella politica delle nazioni dell’Occidente.

Nel dopoguerra in Europa si conferma la scelta del monopolio e della proprietà pubblica delle frequenze riservandone l’uso allo Stato, ovvero a sé stesso o dandolo a terzi attraverso l’esercizio della concessione soggetta a restrizioni, obblighi e vari adempimenti:

  • In Francia la televisione viene avviata nel 1947, ma nel 1958 ha solo 1 milione di abbonati e subirà negli anni successivi un processo di forte centralizzazione attraverso l’Office de la Radio Télévision Française (ORTF), riformato solo nel 1974.
  • In Germania la televisione pubblica nasce in ambito regionale sotto la responsabilità dei Länder.
  • In Belgio e in Svizzera la tv nasce multilingue per ogni comunità nazionale.
  • Nel Regno Unito nasce invece nel 1955 un confortevole duopolio, in cui due concorrenti, la BBC pubblica e un nuovo polo privato, producono programmi al fine di catturare e spartirsi il pubblico[4].

La maggior parte delle emittenti può contare su fondi pubblici o sul pagamento di un canone come avviene in molti Paesi del Nord Europa, o, ancora, sull’insieme di introiti derivanti da canone e da pubblicità, come in Austria Belgio, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Svizzera. Il Regno Unito è il solo sistema misto con un meccanismo duplice di finanziamento basato sul canone per la BBC e la pubblicità per le televisioni indipendenti.

Il finanziamento pubblico si fonda sull’obbligo di promuovere un senso di appartenenza comune che permetta agli spettatori di sentirsi cittadini dello Stato attraverso l’offerta di una programmazione generalista, ovvero in grado di coprire tutti i generi dall’intrattenimento all’informazione e all’educazione.

La televisione diventa lo strumento attraverso il quale i governi occidentali si propongono negli anni della guerra fredda di educare e formare la società alla ritrovata democrazia[5], diventando ben presto anche il mezzo principale di informazione politica regolata secondo linee guida che garantiscono la diffusione delle varie opinioni.

La nuova missione assegnata al servizio pubblico per la coesione sociale e l’unificazione linguistica dell’Italia post bellica (1954-1964)

Con il cambio di denominazione sociale in RAI Radio Televisione Italiana, il 10 aprile 1954 inizia una nuova fase della storia italiana della radiodiffusione.

Il cambio di denominazione e la crescita del controllo pubblico esercitato in Italia sull’economia non cambiano sostanzialmente le cose al momento dell’avvio della televisione nel 1954, anno in cui inizia la programmazione regolare della televisione indipendente nel Regno Unito finanziata dalla pubblicità a fianco della BBC

Diverso da quello britannico interamente finanziato dal canone ma anche da quello statalista francese della ORTF e quello federalista regionale in Germania, il modello italiano di servizio pubblico della nuova Rai segna molte continuità e pochi elementi di rottura rispetto alle esperienze degli anni della radio d’élite (URI) e della radio di regime (EIAR), disattendendo le speranze aperte dalla breve stagione resistenziale della presidenza di Arturo Carlo Jemolo, desideroso di un’informazione radiofonica

«aperta alle voci delle varie parti, lasciando all’ascoltatore la critica delle parti».  

Dagli anni della Guerra Fredda al tramonto del centro sinistra, passando per i complessi equilibri interni alla Democrazia Cristiana negli anni dei Governi centristi, la Rai concorrerà anch’essa a creare una sorta di “miracolo culturale” contribuendo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta all’alfabetizzazione e unificazione linguistica degli italiani.

Anche in Italia nei primi tre decenni della Repubblica persiste l’imperativo nazionale nella “missione pubblica” attribuita alle trasmissioni via etere, e quindi anche alla televisione nascente. Compito della radio e poi della televisione è informare, educare e divertire, raggiungendo tutti i cittadini presenti nel territorio.

Con questo spirito va vista la partecipazione della Rai alla fondazione dell’UER nel 1950 che, anticipando il processo di costruzione europea, crea una grande collaborazione fra tutti i servizi pubblici europei che daranno vita progressivamente ad un sistema di scambi di programmi e soprattutto di servizi informativi nell’ambito dell’accordo che dà vita all’Eurovisione[6].

L’attribuzione dallo Stato alla RAI inizialmente di un primo canale irradiato in ambito nazionale attraverso onde hertziane, a partire dal 1954, e successivamente, a partire dal 1962, di un secondo canale, avviene sulla base del principio del monopolio naturale delle frequenze, giudicate risorse limitate di interesse pubblico.

Questa missione attribuita alla radio-televisione pubblica giustifica anche in Italia l’imposizione di un canone, ossia una tassa parafiscale uguale per tutti per la fruizione del servizio.

Il cambio di denominazione in Rai Radiotelevisione italiana a partire dal 1954

La Rai cambia denominazione sociale il 10 aprile 1954 in RAI Radio televisione Italiana. Dalla Convenzione del 1952 viene ribadita la natura atipica del servizio pubblico radiotelevisivo italiano nel secondo Dopoguerra rispetto al quadro europeo. È un’impresa formalmente privata ma controllata dall’IRI, che arriva a detenere il 75,45 per cento delle azioni, unitamente alla SIP (22,90 per cento), alla SIAE (0,45 per cento) e ad altri azionisti minori (1,20 per cento). Di fatto la Rai diventa un’azienda para-pubblica nel settore delle partecipazioni statali[7]. La nuova Rai mantiene l’ambivalenza fra sfera pubblica e privata[8] già presente negli anni dell’URI e dell’EIAR.

Le direttive del Governo – emerse dalla pubblicazione dei fascicoli di alcune corrispondenze della Presidenza del Consiglio fra il 1951 e il 1954 – invitano i dirigenti Rai a rivedere la disciplina interna della politica audiovisiva in ogni settore, ovvero a considerare solo marginalmente l’informazione e la cronaca all’interno del nuovo medium televisivo e a curare nella parte parlata dei programmi il rispetto per gli organi e la vita democratica.

La televisione sembra destinata in questi anni a rimanere un fenomeno elitario dato il costo elevato dei televisori, incapace di conoscere in un Paese povero e ancora sotto lo choc della guerra[9] l’impennata conosciuta dalla televisione negli Stati Uniti dove la produzione di televisori passa da 178 mila nel 1947 a 15 milioni nel 1952.

La radio appare ancora il mezzo più idoneo per insegnare al popolo italiano la democrazia, anche se emerge nel vertice dello Stato la consapevolezza che

“la televisione si distacchi dalle altre attività industriali, per assumere la funzione di uno dei più importanti organi sociali, in quanto svolge azione sullo spirito e sulla psicologia delle masse e che pertanto avrebbe bisogno di un controllo più accurato di quello esercitato sugli spettacoli in genere”.

Emerge piuttosto la volontà di favorire un intento pedagogico-educativo dovuto anche alla scelta di seguire le indicazioni provenienti da fonti americane, ben attente in questo periodo a non sottovalutare l’impatto della radio e della televisione su una popolazione che ancora sfiora l’analfabetismo di massa.

La nuova dirigenza pubblica cattolica poco liberale intorno alla metà degli anni Cinquanta

L’avvento della televisione coincide praticamente con la terza stagione della Rai. Dopo la breve stagione resistenziale e l’età dei padri nobili, cui segue una fase dominata dalla restaurazione del vecchio gruppo dirigente torinese SIP proveniente dall’esperienza dell’EIAR, inizia quella che Aldo Grasso ha definito L’età dei corsari bianchi.

Sul piano politico nel 1954, dopo la sconfitta di Alcide De Gasperi e il fallimento di assicurare stabilità politica alle maggioranze centriste attraverso il bonus previsto dalla ‘legge truffa’, il governo Pella nell’agosto e il ritorno all’Italia di Trieste in ottobre, si era prodotta una svolta con l’ascesa al vertice del primo cavallo di razza democristiano, Amintore Fanfani. Nonostante il suo primo Governo sia rapidamente sfiduciato e l’uomo politico toscano sia costretto a cedere la poltrona di Palazzo Chigi a Mario Scelba, Amintore Fanfani viene eletto poco dopo trionfalmente segretario al quinto congresso democristiano, poche settimane prima della morte di De Gasperi.

In questo nuovo contesto la DC decide di attaccare frontalmente la gestione piemontese della Rai, facendo di essa un elemento essenziale della rifondazione cattolica degli italiani in funzione certamente anticomunista ma anche sottilmente antiliberale[10].

Il 3 giugno 1954, tre settimane prima dell’elezione di Fanfani, cambiano i vertici[11] e viene istituita la figura dell’Amministratore Delegato dotato di pieni poteri, concentrando praticamente in essa tutto il potere gestionale (sino ad allora era un semplice “consigliere delegato”).

Per questa carica viene nominato un manager pubblico,[12] Filiberto Guala, che modernizza la Rai procedendo al ricambio del vecchio gruppo dirigente. Il nuovo vertice acquisisce maggior consapevolezza sulle finalità del mezzo e, in assenza di direttive specifiche del governo per disciplinare le trasmissioni elettorali, provvede ad organizzare internamente alla Rai un controllo sull’informazione politica, che, come nei primi anni della radio, rimane piuttosto contenuta.

Come primo atto Guala nomina il suo braccio destro all’Ina Casa Luigi Beretta Anguissola, vice segretario generale e pone alle dirette dipendenze di costui il servizio opinioni. Due mesi dopo sarà promosso segretario generale.

La direzione del telegiornale passa alle dirette dipendenze del direttore generale e con essa il servizio cinematografico. Antonio Piccone Stella viene nominato direttore centrale dei servizi giornalistici della Rai con la duplice responsabilità del giornale radio e del telegiornale.

L’attenzione per l’informazione e la complessa macchina tecnico produttiva dei telegiornali

Come osservato da Andrea Melodia[13], gli anni Cinquanta saranno dedicati prevalentemente alla crescita tecnica del telegiornale. Le prime trasmissioni avvengono da Milano, ma presto la sede centrale viene trasferita a Roma. Si organizza la produzione in modo che le due città possano intervenire indifferentemente: una linea video e audio collega le regie televisive nelle due città, in modo che la trasmissione possa passare istantaneamente dallo studio romano, per esempio, ad un filmato milanese. Vengono sviluppati sistemi di interfonico e di telecomandi per consentire collegamenti celeri a distanza

I filmati caricati sui cosiddetti tele-cinema di quegli anni forniscono una immagine stabilizzata solo sette secondi dopo l‘avvio: occorre dunque dare la partenza alle immagini in anticipo rispetto al momento di mandarle in onda. Ragion per cui l’impaginazione dei testi del telegiornale deve essere completata dal regista e dal suo assistente con una precisa indicazione dei momenti in cui avviare i filmati; le ultime tre righe di ogni testo che precede un filmato sono essenziali per mantenere il sincrono successivo.

Il telegiornale classico degli anni Cinquanta e Sessanta è costituito da uno speaker professionale in studio, col tempo progressivamente sostituito da uno o più giornalisti, che leggono le notizie dal vivo. Queste sono intercalate da filmati (durata media: da 30 secondi a 2 minuti) che possono essere sonori (con la voce di un altro speaker o di un giornalista registrata e montata), oppure letti da uno speaker in studio (lo stesso che appare in studio, o un altro se si vogliono alternare le voci) con voce fuori campo.

I filmati vengono montati su una bobina (il ‘rullo’) nella sequenza prevista dal sommario o scaletta; se vi sono incertezze sulla sua collocazione o se il filmato è pronto all‘ultimo momento si può collocare su un rullo a parte, trasmesso da un altro tele-cinema.

Nel rullo tra un servizio e l‘altro vengono collocate code di partenza se in quel punto deve riapparire lo speaker da studio, in modo che il tele-cinema possa fermarsi e consentire un nuovo avvio sincronizzato con la fine della lettura; oppure un ‘mascherino’, cioè un piccolo effetto video come una tendina o altro prestampato su un pezzetto di pellicola, se i servizi devono andare in onda senza interruzione.

La grafica è elementare: non esistono macchine che possano generarla elettronicamente, e ogni cosa, dalle scritte alle cartine geografiche, viene artigianalmente stampigliata o disegnata su cartoni inquadrati dalle telecamere di studio.

Si fa uso frequente di fotografie (telefoto di attualità e diapositive di repertorio) per integrare le immagini filmate”.

Anche se oggi i telegiornali letti da uno speaker professionale fanno sorridere, l‘introduzione in video dei giornalisti – conclude Melodia – è stata una vera e propria innovazione. Lo speaker era una garanzia di ufficialità, di corretta dizione, di controllo assoluto dei contenuti. Non gli era consentito di cambiare una parola senza permesso e doveva restare impassibile qualsiasi cosa leggesse. La comparsa di volti nuovi di giornalisti, con specifiche competenze tematiche, avviene sempre più frequentemente e i notiziari ne risultano arricchiti e ravvivati[14].

Si apre così la stagione dei commentatori, di solito professionisti acquisiti da importanti quotidiani, ai quali si aggiungono i volti sempre più noti dei corrispondenti dalle principali capitali mondiali. Questa prima fase di evoluzione iniziata praticamente con l’inizio delle trasmissioni televisive regolari sotto la direzione di Vittorio Veltroni, giungerà a compimento nella prima metà degli anni Sessanta.

Le caratteristiche della programmazione e la crescita degli abbonati nei primi anni (1954-1957)

La televisione, al contrario della radio che ritmava già l’intera giornata (talvolta anche le ore notturne) iniziava con la tv dei ragazzi nel secondo pomeriggio e si concludeva in tarda serata.

È una televisione in diretta in cui la produzione del programma televisivo coincide con la sua messa in onda. La programmazione risulta strettamente codificata per generi, suddivisi fra informazione, cultura e spettacolo. Il palinsesto è rigidamente verticale, caratterizzato peraltro da una programmazione che si voleva completa, articolata sull’arco dell’intera settimana, e, quindi, rivolta ad un pubblico anch’esso “generalista”.

Mutuate dal più consolidato medium radiofonico, le forme della televisione privilegeranno la cultura umanistica e lo spettacolo, a scapito dell’informazione[15].

La vera affermazione popolare si produrrà con un genere importato dagli Stati Uniti, ovvero con il quiz di Mike Bongiorno Lascia o raddoppia? e in parte con il successo di un nuovo genere (peraltro anch’esso mutuato dalla radio) il romanzo sceneggiato trasmesso a puntate con appuntamento settimanale. Il successo della televisione e di programmi come Lascia o raddoppia? che riuniscono milioni di italiani nei luoghi pubblici e nelle case dei pochi fortunati possessori dei televisori favorisce subito una crescita del numero degli abbonati che nel frattempo passano da 88 mila nel 1954, a 182 mila nel 1955, 376 mila nel 1956 e 693 mila nel 1957.

L’età dei corsari bianchi, la selezione di nuovi quadri e il “codice Guala” di autodisciplina per i programmi

Per integrare le nuove leve Filiberto Guala avvia lo sfoltimento dei vecchi quadri agendo sui limiti di età e su erogazioni straordinarie ai dimissionari volontari.

Emblematico, di questa operazione è il reclutamento nel 1955 dei ‘corsari’ (i partecipanti ai famosi ‘corsi’ di formazione). Fra i vincitori del concorso giova ricordare – insieme a nuove leve democristiane quali Federico Doglio, Fabiano Fabiani, Emmanuele Milano, Giovanni Salvi e Sergio Silva – personalità intellettuali della sinistra quali Furio Colombo, Umberto Eco, Angelo Guglielmi e Gianni Vattimo[16].

I corsari, dotati di una capacità inventiva e di una vivacità produttiva[17], costituiscono un gruppo di rottura; rappresentando il punto di riferimento di

«una ciurma di giovani eterogenei ed estranei all’ambiente che, per ragioni generazionali e di appartenenza, stentavano a essere assimilati al gran corpo dell’azienda”.  

La gestione di Guala, ispirata alle correnti più attive del mondo cattolico, è ricordata anche dall’istituzione di un Comitato generale delle trasmissioni, con il compito di

“determinare le direttive generali di attuazione delle trasmissioni, controllare l’efficienza organizzativa e funzionale dei vari settori responsabili del processo formativo dei programmi e del coordinamento dei medesimi, esaminare tutti i problemi di maggior rilievo connessi al settore dei programmi”.

Il codice di autodisciplina, detto “codice Guala”, viene trasmesso internamente come circolare a chi di competenza. Guala accentra tutte le direzioni a Roma (esclusa quella amministrativa), promuovendo, quindi, tutti elementi per un controllo centralizzato. Si tratta di un vero e proprio assalto al fortino del gruppo dirigente storico torinese: strenui avversari di Guala i “vecchi dirigenti” dopo due anni riescono a spuntarla, anche in conseguenza del mutato clima politico costringendolo a dimettersi il 27 giugno 1956[18].

Come ben riassunto da Enzo Scotto Lavina[19] gli anni Cinquanta sono gli anni fondativi e costitutivi dei caratteri originali del servizio pubblico televisivo italiano, nella sua versione monopolistica, per quattro ordini di ragioni:

“La prima linea guida è rappresentata dalla supremazia del momento ideativo che non solo prevale sugli aspetti produttivi e amministrativi, ma li ingloba in vario modo, trattandosi di attività importanti ma esecutive e di supporto al momento centrale, la fase ideativa. Una nuova generazione di manager tenterà di tradurre questo principio in concreti atti gestionali.

La seconda linea guida sta nel riconoscimento della centralità del pubblico, visto attraverso il nucleo della famiglia, nell’essere al suo servizio, nel rispettarlo, creandolo soprattutto attraverso l’abitudine all’ascolto dei programmi.

La terza idea guida consiste in una visione coordinata e articolata dell’offerta, per generi, per categorie, per fasce orarie: composizione, gusti e aspettative del pubblico sono attentamente studiate per dare a ciascun gruppo quello che si attende, o che si ritiene debba attendersi, in quel momento della giornata.

La quarta idea guida parte dal riconoscimento della centralità non solo del pubblico, inteso come somma anonima di tanti telespettatori, ma delle famiglie che in particolare nelle ore serali si riuniscono davanti allo schermo televisivo: e qui scattano tutte le preoccupazioni che furono al centro del Codice di autodisciplina voluto da Filiberto Guala.

Da qui, conclude Scotto Lavina, «una televisione pedagogica in cui qualcuno attraverso il mezzo insegna qualcosa a qualcun altro, soprattutto valori e comportamenti» ma anche «il tentativo di riportare tutto in casa, sottraendo progressivamente l’Azienda e i suoi programmi al vaglio della censura di Comitati e Commissioni ministeriali e al loro controllo a posteriori o a priori».

La seconda fase del processo di riorganizzazione e centralizzazione dell’azienda (1956-1960)

Sancito nel 1955 dalla creazione del Ministero delle Partecipazioni Statali, il nuovo interventismo dello Stato inaugura una stagione di progressiva dilatazione dell’economia pubblica. La crescita della Rai si inscrive in questa dinamica. La capacità tecnico-produttiva della televisione italiana si esprime pienamente in occasione della copertura, dal 26 gennaio al 5 febbraio 1956, delle Olimpiadi invernali di Cortina inaugurando una nuova fase di centralizzazione a Roma in previsione delle Olimpiadi estive che si terranno dal 25 agosto all’11 settembre 1960 nella capitale d’Italia.

Sul fronte degli investimenti, una volta completatasi la prima fase del trasferimento da Torino a Roma della Direzione Generale, inizia nel 1956 una seconda fase, sino al 1960, in cui la Rai estende la sua rete di diffusione del segnale, aumenta le ore di trasmissione, incrementa la costruzione di palazzi e sedi regionali beneficiando di risultati attivi e avvia un accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione per Telescuola.

Sul piano interno tra il 1956 e il 1960 una serie di importanti misure organizzative contribuiscono a modellare e a consolidare la struttura editoriale attraverso la creazione di una Direzione centrale Programmi tv[20] che sostituisce la vecchia dizione di Esercizio TV ponendo l’accento sulla centralità del momento ideativo e la sua supremazia sul momento produttivo, visto come fase esecutiva collocata sotto il controllo dei programmatori 

In questa seconda fase le decisioni per l’ideazione dei contenuti sono affidate ad un Comitato della Direzione Generale composto dall’Amministratore Delegato, dal Direttore Generale e dai Direttori Centrali a turno interessati.

Nel 1956 nasce la Direzione centrale Servizi Giornalistici da cui dipendono due vice[21], il Direttore del Giornale Radio e il direttore del Telegiornale, un’unica testata articolata in due strutture a seconda del mezzo di emissione. Accanto alle strutture del Giornale Radio (GR) e del Telegiornale (TG) sono collocate, alle dipendenze del Direttore Centrale, tre redazioni comuni trasversali: servizi parlamentari e informazioni politiche, servizi e attualità culturale e di varietà, e servizi sportivi.

L’uscita di scena di Guala e l’arrivo della gestione di Rodinò

Anche in questo caso l’evoluzione del quadro politico interno ai partiti centristi e nella fattispecie degli equilibri della Democrazia Cristiana esercita riflessi due anni dopo sull’avvicendamento alla guida della Rai.

L’elezione nel maggio 1955 del democristiano Giovanni Gronchi al Quirinale e il successivo disimpegno dei repubblicani dal primo Governo Segni nel mese di luglio, anticipano l’inizio di una fase di transizione politica che vedrà gli stessi repubblicani porsi su posizioni di maggior flessibilità nei confronti del partito socialista, mentre anche la sinistra cattolica, forte della conquista del Quirinale, sembra voler abbandonare l’integralismo più intransigente, per cercare nuovi interlocutori in campo laico avanzato, da contrapporre agli equilibri centristi. All’interno della corrente fanfaniana di “Iniziativa democratica” iniziano a prevalere i gruppi moderati seguendo la parabola dello stesso Presidente del Consiglio Antonio Segni.

In questo nuovo contesto politico Filiberto Guala verrà costretto a dimettersi non solo per le resistenze dei vecchi dirigenti piemontesi. Molti altri fattori contribuiscono all’insuccesso di Guala nei suoi due anni alla guida della Rai:

  1. la precipitazione nello stravolgere le strutture interne;
  • l’impopolarità dei nuovi elementi immessi nell’azienda e portati troppo rapidamente a posti di responsabilità;
  • la perplessità di alcuni settori della DC sulle effettive finalità culturali che si riprometteva Guala;
  • le riserve dei partiti laici alleati della DC sul nuovo corso televisivo;
  • l’atteggiamento critico dell’IRI sulle scelte gestionali che venivano effettuate;

Nel 1956 l’IRI offrì a Marcello Rodinò di Miglione, proveniente da una grande famiglia della nobiltà napoletana, la carica di amministratore delegato della RAI in sostituzione di Filiberto Guala.

Figlio di un importante esponente napoletano del Partito Popolare e poi della stessa DC, Rodinò di Miglione è chiamato dal partito egemone a svolgere il suo ruolo con la massima morbidezza in un quadro politico che si andava complicando. Questo ingegnere elettrico, già amministratore delegato dell’Associazione nazionale imprese produttrici e distributrici di energia elettrica, si rivela l’uomo adatto alle circostanze e, non appena insediatosi, riallaccia i rapporti compromessi da Guala verso i vecchi quadri dirigenti dell’Eiar,

“ponendo gli elementi immessi da Guala nell’alternativa di allinearsi al nuovo corso o di essere sostanzialmente emarginati”[22]

L’avvicendamento si produce il 27 giugno 1956 con la nomina al suo fianco per i contenuti dell’ex direttore de Il Popolo, Rodolfo Arata, come Direttore Generale mentre Antonio Carrelli rimane confermato come Presidente.

Il duo Rodinò-Arata a via del Babuino mostra di avere una spiccata sensibilità politica nel passare indenne fra molte bufere governative e l’avvicendarsi di Segni, Zoli, Fanfani e soprattutto Tambroni, e infine nuovamente di Fanfani a Palazzo Chigi e di sei ministri delle Poste e Telecomunicazioni in cinque anni. Rodinò, invertendo gli indirizzi di Guala, restituisce fiato agli aziendali e dà la prevalenza agli aspetti tecnico-amministrativi della gestione[23]: come amministratore delegato assume più chiaramente la veste di manager garante della funzionalità delle strutture, anteponendo a tutto la salute del bilancio – rimasto sempre in attivo durante il suo mandato nonostante la crescita esponenziale degli investimenti, a cominciare dal nuovo centro di produzione a Napoli e dall’apertura di nuove sedi regionali.

Rodinò lascia invece al dominio assoluto della DC e ad Arata il controllo dell’informazione

“I direttori del Giornale Radio e del Telegiornale – osserva Franco Chiarenza – rispondevano, della loro attività, in pratica, direttamente al direttore generale, alla DC stessa e al governo, che, secondo i momenti interferiva più o meno fortemente sulla gestione dei notiziari”[24].

Cresce il processo di centralizzazione e burocratizzazione dell’azienda. Alcuni provvedimenti di ristrutturazione definiscono i compiti del Comitato programmi e dei Comitati di direzione generale, sempre presieduti dall’amministratore delegato Marcello Rodinò in grado in questo modo di controllare gli aspetti tecnico amministrativi mentre Rodolfo Arata poteva controllare quelli “creativi” attraverso il fido direttore dei programmi Sergio Pugliese. I programmi radiofonici, ancora divisi nelle tre reti fanno capo a Remo Giazotto e Luciano Guaraldo per il programma nazionale, a Fulvio Palmieri per il secondo, e a Cesare Lupo per il terzo. I programmi televisivi rimangono nelle mani di Fulvio Palmieri.

Il varo di una Convenzione aggiuntiva nel 1956 per il completamento della rete per la televisione

Nel gennaio 1954 le trasmissioni regolari del canale televisivo venivano irradiate da una rete in VHF, costituita dai trasmettitori di Torino-Eremo, Milano, Monte Penice, Portofino, Monte Serra, Monte Peglia e Roma-Monte Mario, servendo inizialmente il 36 per cento circa della popolazione italiana. Il 10 marzo 1956 viene varata una Convenzione aggiuntiva per il completamento della rete televisiva[25]. La convenzione riguarda questioni tecniche legate all’abbandono del progetto di cablaggio del territorio nazionale, troppo lento e costoso, a vantaggio della più agile, e quasi del tutto ultimata, rete di ponti radio. Stabilisce altresì un nuovo piano tecnico per accelerare l’estensione della rete televisiva e della rete radiofonica a modulazione di frequenza a tutto il territorio nazionale.

Il 31 dicembre 1956 entrano in funzione i trasmettitori televisivi di Monte Argentario, Monte Conero, Monte Nerone, Monte Vergine, Monte Caccia, Monte Sambuco, Monte Scuro, Gambarie, Monte Pellegrino, Monte Soro, Monte Limbara, Punta Badde Urbara. Viene altresì attivato il collegamento bilaterale a microonde tra Milano e Palermo.

Tre settimane dopo, il 24 gennaio 1957 con l’entrata in funzione del trasmettitore televisivo di Pescara, le trasmissioni televisive raggiungono tutte le regioni italiane. Altri dodici giorni dopo, Il 9 febbraio 1957, a tre anni dall’avvio dei programmi regolari, con l’entrata in funzione dei trasmettitori di Martina Franca, Monte Cammarata e Monte Lauro, circa il 90 per cento della popolazione italiana è in grado di ricevere le trasmissioni televisive della Rai. Due anni dopo infine il 21 maggio 1959 un’ulteriore Convenzione[26] stabilirà l’installazione entro il 31 dicembre 1962 di una seconda rete televisiva in UHF.

Carosello e il cauto avvio della pubblicità televisiva

Forte anche di questa espansione della sua illuminazione, la televisione incomincia ad interessare gli inserzionisti pubblicitari, anche se non può ancora essere considerato un fenomeno di massa come nel Regno Unito dove nel 1956 può già contare su 6 milioni di famiglie. Ma certamente successi come quello dei quiz di Mike Bongiorno fanno sì che una nuova dinamica si crei e produca a sua volta una sorta di ‘miracolo televisivo” che rappresenta a modo suo la premessa al “miracolo economico” che conoscerà l’Italia negli anni successivi, passando fra il 1958 e il 1963 da un’Italia rurale ad un’Italia in fase avanzata di industrializzazione.  Alla fine del 1956 dopo il successo di Lascia o raddoppia? la televisione, sebbene vista in casa di amici o nei locali pubblici, è già diventata un medium popolare destinato, a partire dagli anni successivi, a cambiare radicalmente la faccia del Paese:

  • attraverso il telegiornale, che diventa uno dei programmi più seguiti, aumenta l’informazione anche politica;
  • La televisione propone modelli sociali unificanti nel vestire e nell’arredare la casa;
  • favorisce i primi fenomeni di divismo e consumismo poi indotto anche dalla pubblicità di Carosello negli anni del Miracolo economico;
  • promuove il superamento della mentalità particolaristica delle centocittà e la lotta contro i clan mafiosi e camorristici;
  • produce l’unificazione linguistica di tutta la Penisola già iniziato dal cinema, dalla radio e dalla stampa periodica popolare, attraverso la realizzazione di programmi miranti a combattere il fenomeno dell’analfabetismo, rimasto ancora diffuso soprattutto nelle campagne.

Con questa consapevolezza sulle grandi potenzialità del nuovo mezzo, Il 3 febbraio 1957 la Sipra, la società concessionaria per la radio con partecipazione maggioritaria dell’IRI e della Rai, inizia a raccogliere pubblicità anche sulla televisione. Nasce Carosello che andrà in onda dopo il telegiornale della sera sino al 1977, ovvero sino a quando la televisione italiana rimarrà in bianco e nero.

La pubblicità diventerà la seconda fonte di finanziamento per la televisione italiana dopo il canone, salito nel frattempo dal 1955 da 15 a 18 mila lire. Per evitare di attirare su di sé le critiche di coloro che pagavano già il canone e che non apprezzavano la pubblicità in televisione, la RAI pensò bene di associare ad ogni comunicato commerciale un mini-filmato introduttivo che sintetizzasse in una manciata di minuti delle storie di senso compiuto[27]:

“L’identità dell’Italia riplasmata dalla modernità, dei suoi nuovi stili di vita, dei suoi nuovi valori, dei suoi nuovi miti, ha in quei lontani e ingenui spot pubblicitari una specie di incunabolo”[28]

La pubblicità televisiva avrò una capacità di incidenza proporzionale alla crescita della possibilità di spesa della massa. In questa prima fase la concessione tra lo Stato e la Rai prevede che gli spazi pubblicitari non superino complessivamente il 5 per cento del tempo di trasmissione globale allo scopo di non danneggiare la pubblicità raccolta dalla carta stampata, al cinema e con le affissioni.

Gli spazi sono contingentati ma la Sipra si trasforma in uno degli strumenti più potenti del sottogoverno del Paese. La domanda di spot per Carosello è infatti sei volte superiore alle possibilità di offerta e le tariffe non possono essere aumentate oltre un certo limite in base agli accordi con il governo e con gli editori dei giornali. Per questo i criteri di assegnazione degli spazi sono discrezionali e ciò servirà a dirottare somme ingenti sotto forma di pubblicità ai quotidiani e periodici di partito, di cui la Sipra possiede la concessione pubblicitaria. Come osserva Chiarenza:

“In questo modo, di fatto, la Rai attraverso la Sipra finiva per finanziarie i giornali delle forze politiche della maggioranza o per facilitare editori vicini ad esse, determinando un circuito di omertà che, negli anni successivi, avrebbe mostrato tutta la sua forza”[29]

Finita la stagione degli esordi, l’avvio della pubblicità annuncia una nuova fase di crescita.

Nel 1958 gli abbonamenti alla televisione superano il milione e raddoppieranno nei due anni successivi quando la Rai partecipa al primo grande sforzo di produzione internazionale con la copertura, a partire dal 25 agosto 1960, dei XVII Giochi Olimpici di Roma.

L’affermazione della missione educativa e pedagogica della televisione nei primi anni del miracolo economico (1958-1961)

A partire dalla fine degli anni Cinquanta l’offerta televisiva si rafforza con nuovi programmi che rispondono alle finalità educative e pedagogiche assegnate al servizio pubblico che contribuirà a sconfiggere l’analfabetismo e a favorire l’unificazione linguistica dell’intero territorio nazionale.

Il 25 novembre 1958 iniziano i corsi di “Telescuola”. Essi hanno carattere “sostitutivo”: sono cioè diretti a consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai ragazzi residenti in località prive di scuole secondarie. Il 15 novembre 1960 ha inizio il corso di “Telescuola” per adulti analfabeti Non è mai troppo tardi[30].  Il 16 ottobre 1961 a Roma, nel nuovo edificio del Centro di Telescuola, entrano in funzione due studi televisivi. Hanno inizio i corsi televisivi

“per assicurare a tutti l’accesso […], anche laddove le strutture scolastiche non erano ancora in grado di sopperire a questa esigenza; in quella fase ebbe un carattere rigorosamente ripetitivo delle tradizionali lezioni scolastiche, secondo i programmi della nuova scuola media unificata”[31]

La programmazione educativa verrà rafforzata nel febbraio 1967 con l’inizio delle trasmissioni televisive di educazione per gli adulti della serie “Sapere” e l’avvio qualche mese dopo di nuove trasmissioni che svolgono una funzione “integrativa”, anziché sostitutiva, del normale insegnamento scolastico.

La Rai negli anni del miracolo economico: da fabbrica di programmi a potenza finanziaria

Nel 1958 iniziano gli anni del cosiddetto miracolo economico.

La televisione cresce. Ma la radio non scompare, cambia e si trasforma invadendo nuove fasce orarie. Se la TV diventa l’immancabile appuntamento della prima serata, la radio moltiplica l’offerta per restare “accesa” 24 su 24 e si sviluppa la programmazione notturna. I nuovi programmi radio tendono a catturare sempre più l’attenzione del pubblico giovanile e delle casalinghe. Il palinsesto radiofonico si adatta quindi alla concorrenza dei programmi TV e sottolinea la differenza tra i due mezzi.

Sono gli anni del boom, dell’automobile che non è più privilegio di pochi e si diffonde l’autoradio. La radio diventa espressione di libertà, colonna sonora del desiderio di spostamento. Per la radiofonia italiana è come una seconda giovinezza.

Dal 1958 Indro Montanelli racconta alla radio la storia del nostro paese. Un viaggio dal 1910 al 1950, un genere di successo che farà scuola.

Nello stesso periodo nasce il primo contenitore radiofonico: Il signore delle 13, condotto da Enzo Tortora.

Divenuta una committente di primo piano e con l’aumento incessante degli abbonati anche una potenza finanziaria con grandi disponibilità di capitali, negli anni della gestione di Marcello Rodinò di Miglione, soprattutto con l’apertura del mercato pubblicitario e l’inizio delle trasmissioni di Carosello, la Rai -come osserva Chiarenza – risulta una colossale macchina che fabbrica programmi e con essi veri o presunti condizionamenti di massa.

Ma non solo.

L’azienda, che vede ormai nella capitale il proprio centro non solo politico ma anche produttivo, appare anche una potenza finanziaria in grado di determinare, con le commesse, gli appalti, le scelte di istallazione, gli investimenti edilizi, un’influenza considerevole su ampi settori di interessi, accrescendo ancora con la raccolta pubblicitaria la possibilità di influenzare importanti interessi privati e di facilitare legami  di cui non è difficile ricostruire la consistenza e le caratteristiche.

La nascita nel 1958 del servizio di filodiffusione

Il 1° dicembre 1958 inizia per la Società Idroelettrica Piemonte un processo di diversificazione degli usi della rete telefonicaA Milano le società concessionarie del servizio telefonico in accordo con la RAI decidono di dar vita alla filodiffusione, che offre un primo di programmi radiofonici a pagamento. Si tratta di un sistema di radiodiffusione in cui le onde radio viaggiano attraverso un cavo, e nell’ultimo tratto raggiungono l’utente attraverso il doppino telefonico con cui sono cablati gli edifici serviti dalla telefonia fissa. La ricezione della programmazione radiofonica realizzata dalla Rai avviene con un sintonizzatore collegato alle tradizionali reti telefoniche che smista il segnale radiofonico da quello telefonico. La filodiffusione, inizia ad operare a partire dal gennaio 1959[32] nelle città di Milano, Roma, Torino e Napoli, distribuendo su rete telefonica a onde lunghe tre nuovi programmi radiofonici, facendo della radio una vera e propria colonna sonora d’ambiente, un accompagnamento costante dell’esistenza. Sei in totale i canali offerti in questo bouquet radiofonico a pagamento: sul primo, sul secondo e sul terzo sono diffusi i normali programmi radiofonici nazionali della Rai, sul quarto una colonna di musica seria denominata Auditorium, sul quinto una colonna di musica leggera, mentre il sesto canale è tenuto di riserva per trasmissioni e collegamenti speciali “secondo le eventualità”. Quattordici mesi dopo il 10 aprile 1960 inizieranno anche le trasmissioni stereofoniche in filodiffusione. Il servizio di filodiffusione verrà esteso il 1° ottobre 1961 alle città di Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Palermo, Trieste e Venezia. Raggiungerà a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta un tetto massimo di 550 mila abbonati.

La ristrutturazione della programmazione radiofonica e lo sdoppiamento del Terzo Programma

Contemporaneamente Il 3 gennaio 1960 assistiamo alla ristrutturazione della radiofonia che nel 1958 aveva conosciuto il picco dei propri abbonati sfiorando i 5,8 milioni. Per l’insieme della programmazione la riforma – che troverà applicazione nell’arco dell’intero anno – riguarda soprattutto la precisazione dei criteri di differen­ziazione e di complementarità fra Nazionale, Secondo e Terzo Programma che erano stati introdotti con la riforma del 1951. Inoltre, all’interno di ciascuna rete radiofonica, è portata avanti la specificazione dei vari contenuti e schemi orari in rapporto alle peculiarità del mezzo radiofoni­co e alla concorrenza della televisione. Rientrano in queste linee di affina­mento dell’offerta, da un lato le opere liriche, i concerti sinfonici, le rappresenta­zioni di prosa mai o raramente date in televisione o in teatro, dall’altro i servizi giornalistici mirati alla tempestività e i programmi di intrattenimento (musica­li e parlati) di forte richiamo per gli ascoltatori.

La riforma dei programmi radiofonici produce lo sdoppiamento del Terzo Programma radiofonico della Rai, istituendo fra l’altro, la Rete Tre, un nuovo programma a carattere quasi esclusivamente musicale, irradiato sulla rete a modulazione di frequenza del Terzo Programma. La Rete Tre “è riservata quasi esclusivamente alla diffusione della musica seria” e si propone di offrire un’alternativa di ascolto culturalmente qualificata al Nazionale e al Secondo nelle ore del mattino e del primo pomeriggio, dalle 10 alle 18.30 (16.30 nei giorni festivi). Il Terzo Programma raggiunge ormai il 95 per cento della popolazione. I programmi musicali della Rete Tre alimentano anche il IV canale della filodiffusione. Si evitano sovrapposizioni con la programmazione del Terzo Programma che trasmette dalle 18.30 alle 22.30 e nei giorni festivi dalle 16.30 alle 22.30.

La riforma prevede anche l’irradiazione in Alto Adige, a partire dal 12 ottobre 1960, di una quarta Rete IV a modulazione di frequenza, per la trasmissione di programmi radiofonici locali.  

Ad una settimana dall’avvio della riforma, il 10 gennaio 1960, debutta ufficialmente Tutto il calcio minuto per minuto. Roberto Bortoluzzi dirige i collegamenti in diretta con i campi di gioco di alcune partite del campionato. Il programma nasce dopo una serie di programmi trasmessi nel 1959 per sperimentare la trasmissione multipla a microfono aperto di diversi eventi in contemporanea, in preparazione delle imminenti Olimpiadi di Roma.

Le apparecchiature per la registrazione delle immagini del telegiornale adottate nel 1959

Alla fine degli anni Cinquanta la televisione, con eventi trasmessi in diretta che potevano essere custoditi solo su pellicola cinematografica, conosce un punto di svolta che interessa soprattutto l’informazione e il telegiornale. Nel 1959 vengono adottate le nuove apparecchiature per la registrazione delle immagini su nastro magnetico: ciò che, eliminando i laboriosi processi di sviluppo e stampa connessi con l’uso della pellicola, consente spesso di mandare in onda le registrazioni subito dopo gli avvenimenti.

Grazie all’arrivo dell’ampex si arricchisce la struttura linguistica del telegiornale. Lo schema generale di organizzazione del telegiornale adottato per l’avvio ufficiale della televisione nel 1954 a partire dal 1960 viene integrato con l‘inserimento, al posto di alcuni filmati, delle registrazioni videomagnetiche (o ampex).

“La macchina – osserva Andrea Melodia – consente di registrare e riprodurre l‘immagine televisiva: diviene possibile registrare un avvenimento esterno ripreso dalle telecamere collegate in diretta allo studio, anche fuori dalle trasmissioni, e riprodurlo, anche a brevissima distanza di tempo, nel telegiornale. È anche possibile registrare un servizio ripreso e montato con la pellicola cinematografica, all‘estero o in una sede lontana dallo studio del telegiornale, e trasferirlo (riversamento) allo studio capo-rete da cui parte il telegiornale, prima della trasmissione. Si usa l‘ampex dunque sia per immagini di fonte cinematografica pre-riversate, sia per riproporre immagini estratte da una telecronaca o da un collegamento diretto esterno appositamente realizzato.

La cinepresa resta comunque il solo mezzo mobile e leggero che consenta di fissare le immagini: vengono costruiti, per gli eventi speciali, mezzi mobili che consentono sul posto lo sviluppo, il montaggio e il riversamento dei filmati dal cosiddetto telecinema”[33].

Un’azienda centralizzata con i conti sotto controllo e ormai saldamente controllata dalla politica

Al suo punto di maturità il modello organizzativo della Rai è strutturato in otto direzioni centrali (Amministrativa, Programmi Radio, Programmi TV Servizi Giornalistici, Tecnica Radio, Tecnica TV, Rapporti con l’Estero, Affari Generali e due direzioni di servizi: Affari del Personale e Servizi Edili. Manca ancora una struttura di inquadramento e gestione del palinsesto sia a livello centrale sia a livello dei centri di produzione di Milano, Torino e Roma. Sotto la direzione centrale di Sergio Pugliese la televisione compie cinque anni ed entra nella fase di maturità. Nell’agosto 1959 il Direttore centrale programmi televisivi viene affiancato da due vicedirettori centrali[34].

La seconda fase del processo di centralizzazione della Rai a Roma impresso da Rodinò è completata nel 1959 con il trasferimento da Torino a Roma anche della Direzione del Personale: sotto il controllo del vicedirettore Marcello Bernardi è affidata ad un manager di lungo corso come Marcello Severati, nipote di Raul Chiodelli.  

Con l’allontanamento dalla responsabilità diretta del giornale radio di una figura come Antonio Piccone Stella che rimane alla testa della direzione centrale dei servizi giornalistici, l’informazione è ormai del tutto sotto le lenti del direttore generale Arata: su pressione del Presidente del Consiglio Antonio Segni, il direttore del telegiornale Massimo Rendina, accusato di simpatie per i comunisti, viene sostituito nel mese di agosto alla direzione del telegiornale della Rai da Leone Piccioni figlio dell’esponente democristiano Attilio Piccioni, consentendo alla DC un controllo che il temperamento estroso del suo predecessore non aveva consentito pienamente di esercitare compiutamente[35].

La Rai di fine anni Cinquanta è ormai saldamente controllata dalla politica nonostante il permanere di alcuni manager del gruppo dirigente storico piemontese.

Solo nell’area dei programmi non giornalistici sotto l’ala protettrice di Sergio Pugliese alla direzione dei programmi televisivi e di Razzi alla direzione dei programmi radio, rimangono ancora margini di autonomia dai partiti. Fra i pochi altri manager aziendalisti spicca la figura di Bruno Vasari a capo della Direzione amministrativa (che per clientele e giochi di potere era ancora a Torino) che assicura anche i collegamenti con l’IRI.

La nomina a direttore centrale dell’IRI dell’ex direttore generale della Rai negli anni chiave della ricostruzione, Salvino Sernesi, garantisce una saldatura ancora più omogenea tra i gruppi dirigenti della holding di Stato e la Rai.  Nel 1960 nel nuovo assetto centralizzato, impresso da Marcello Rodinò con il sostegno di Sernesi all’IRI, la Direzione centrale programmi televisivi presiede, realizza e controlla tutto il processo ideativo (per reti di emissione, per generi e per tecniche) e le relative attività di supporto alla produzione, anche attraverso il controllo dei complessi programmi (e, per il solo CPTV di Roma, anche della produzione cinematografica) operanti nei tre Centri di Produzione a Roma, a Milano e a Torino:

“una struttura basata su un centro di comando e controllo, pianifica le attività, assegna le commesse ai centri di realizzazione sia per gli aspetti produttivi sia per la gestione delle varie fasi di lavorazione dei materiali cinematografici e filmici) per poi disporne la messa in onda”.

In vista dell’avvio delle trasmissioni del Secondo Programma, la Direzione Centrale Programmi televisivi di Sergio Pugliese privilegiando, come osserva Scotto Lavina, “un modello organizzativo articolato per canale di offerta”, si sdoppia in due:

1) alla Direzione Programma Nazionale diretta da Fulvio Palmieri affiancato come vicedirettore da Alvise Zorzi, fanno capo il servizio drammatica e musica lirico-sinfonica, il servizio programmi culturali e speciali (diretto dal giovane Fabiano Fabiani), il servizio programmi di varietà, il servizio per la gioventù e il servizio collegamento;

2) alla direzione Secondo Programma diretta da Angelo Romanò affiancato come con direttore da Pier Emilio Gennarini e come vicedirettore da Fabio Borrelli, fanno capo il servizio spettacolo, il servizio programmi culturali e speciali (diretto da un giovane Sergio Silva) e il servizio collegamento. 

Parallelamente anche la direzione amministrazione e coordinamento viene spaccata in due, generando la direzione servizi comuni e la direzione servizi amministrativi: da un lato, nella Direzione servizi comuni vengono inquadrati il servizio coordinamento, il servizio cinematografico, il servizio film, il servizio scenografia, dall’altro, alla Direzione servizi amministrativi fanno capo il servizio segreteria, il servizio amministrativo e il servizio scritture.

Nella direzione centrale servizi giornalistici di Antonio Picone Stella, in seno alla struttura del Giornale Radio e del Telegiornale, compare per la prima volta la segreteria di redazione.

Ai tre vicedirettori centrali per il Giornale Radio (GR), per il Telegiornale (TG) e per i servizi amministrativi si affiancano dei vice e al di sotto quattro direzioni:

  1. la Direzione servizi giornalistici radiofonici diretta da Costantino Granella,
  2. la Direzione servizi giornalistici tv, diretta da Leone Piccioni con al suo interno la redazione del telegiornale del Programma Nazionale, la redazione del telegiornale del Secondo Programma, la redazione documentari-inchieste-dibattiti e la segreteria di redazione;
  3. il Gruppo dei servizi di collegamento tra le direzioni dei servizi giornalistici radiofonici e televisivi, diretto da Jader Jacobelli al cui interno fanno capo i corrispondenti interni ed esteri, i servizi sportivi nazionali ed esteri, le informazioni politiche e i servizi parlamentari;
  4. la Direzione dei servizi amministrativi. Si creano così le premesse per la successiva creazione della Testata TV e dell’omologa Testata del Giornale Radio, e, successivamente, della Testata del Programma Nazionale e del Secondo Programma.

Conclusioni

La classe dirigente democristiana e più in generale il mondo cattolico contribuiscono certamente positivamente alla crescita della televisione creando le premesse per la trasformazione servizio pubblico nella principale azienda culturale del Paese a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. I gruppi dirigenti fanfaniani nella fattispecie si preoccupano di rinnovare il personale aziendale e quindi di creare una propria nuova classe dirigente, andando a sceglierla con cura fra i laureati più brillanti nelle università.

Tuttavia, la cifra prevalente nell’assegnazione degli incarichi al vertice sarà quasi sempre, e in misura crescente, commisurata a principi di fedeltà e appartenenza politica alle correnti dominanti, in particolare a quelle in seno al partito di maggioranza.

La nascita di un modello italiano di televisione nazional-popolare, in particolare nel campo dell’intrattenimento, ma anche negli sceneggiati e più in generale nella programmazione culturale, rimane fortemente soggetta ad una sorta di censura preventiva, nella fattispecie laddove si propone la messa in discussione di chi non si trovi allineato con quella concezione integralista della dottrina che ispira l’azione politica dei cattolici, secondo la quale essa deve tendere a realizzare integralmente la propria concezione ideale, plasmando ogni aspetto della società civile sul modello dei principî della dottrina cristiana e rifiutando compromessi o alleanze con altre correnti ideologiche. Identità sempre fieramente rivendicata da quello che sarà il suo più importante manager nel decennio successivo, Ettore Bernabei, così diversa dai principi del servizio pubblico anglosassone ai qual si ispirava il primo presidente della Rai, il grande giurista cattolico liberale Arturo Carlo Jemolo.


[1] Bruno Somalvico, “Alle origini della riforma del servizio pubblico radiotelevisivo e del suo decentramento con la nascita della Terza Rete televisiva nel 1979”, Democrazia futura, II (6-7B), aprile-settembre 2022, pp. 781-806

[2] Bino Olivi, Bruno Somalvico, La fine della comunicazione di massa. Dal ‘Villaggio globale’ alla nuova Babele elettronica, Bologna, Il Mulino, 1996, 446 p.

[3] L’indirizzo legale della Rai rimane a Torino nella sede di Via Arsenale 21, ma la Rai si rafforza a Roma, lasciando l’antica sede di via delle Botteghe Oscure 56 per trasferirsi in via del Babuino nell’ex Hotel de Russie.

[4] Nel Regno Unito a fianco della BBC viene infatti istituito nel 1954 l’Independent Television Authority, un ente pubblico proprietario di impianti di trasmissione televisiva costretto ad affittarli ad un gruppo di società private, che a partire dal 1955 iniziano a trasmettere programmi televisivi in ambito regionale, sino alla riforma del 1972 e alla costituzione dell’Independent Broadcasting Authority, ente indipendente che stipula contratti d’appalto con varie compagnie, le cosiddette televisioni indipendenti ITV, che a loro volta, producono programmi sia regionali sia nazionali, mentre sono associate in una loro filiale comune, Independent Television News (ITN) per le trasmissioni informative nazionali.

[5] In questo quadro chi è escluso con l’inizio della guerra fredda dai governi occidentali e dalla possibilità di arrivare al governo o di far parte della compagine governativa non avrà accesso alla televisione perché non rientra nel sistema che definisce l’interesse nazionale.

[6] Tali scambi serviranno ad alimentare le immagini dei telegiornali da parte della Rai.

[7] Il governo nomina sei consiglieri del Consiglio di Amministrazione su sedici. Le nomine di consigliere delegato, presidente e direttore sono soggette all’approvazione del Presidente del Consiglio. I restanti dieci membri sono eletti dall’azionista di maggioranza IRI.

[8] Osserva Enrico Menduni:

“Un duplice statuto: pubblico quando occorrono autorità, corsie preferenziali nelle istituzioni, controllo veloci espropri di terreno, capacità di concerto con altri organi dello Stato; e subito dopo privatistico per avere maggiore rapidità e discrezionalità nelle decisioni… [Potrà] attribuire incarichi e consulenze, acquistare merci o servizi in Italia e all’estero senza i vincoli della pubblica amministrazione e con gli unici limiti di un bilancio, ancora, a quel tempo, florido”.  

Enrico Menduni, Televisione e società Italiana, 1975-2000, Milano, Bompiani, 2002, 223 p.

[9] L’avvio della televisione in Italia coincide peraltro con i primi indicatori di ripresa economica alla base del cosiddetto miracolo economico. Nel 1953 le esportazioni superano il saldo le importazioni e si apre la via ad un incremento della produzione industriale. Due anni dopo nel 1955 il cinema conosce il picco di successo con 819 milioni di biglietti venduti, mentre crescono contemporaneamente le vendite di rotocalchi ed esplode il successo del fotoromanzo.

[10] Secondo Chiarenza, infatti,

“L’anticomunismo di Scelba confluì con le visioni integralistiche e l’efficienza pragmatica di Fanfani e con le preoccupazioni moralistiche della Chiesa, dando vita alla decisione di rinnovare radicalmente la dirigenza della Rai”.

Franco Chiarenza, Il cavallo morente. Storia della Rai. Con una postfazione dalla riforma ad oggi, Milano, Franco Angeli, 2002. 254 p. [la citazione si trova a p. 57]. Si tratta di una seconda edizione aggiornata da cui citiamo. La prima risale al 1978 Il cavallo morente. Trent’anni di radiotelevisione italiana, Milano, Bompiani, 1978, 284 p.

[11] Antonio Carrelli membro dell’Accademica dei Lincei e direttore dell’Istituto di Fisica Superiore all’Università di Napoli subentra a Cristiano Ridomi come presidente. Era Consigliere nel Consiglio di Amministrazione Rai sin dal 1944 e vice presidente dal 1951 (gli subentra il socialista Luigi Bennani). Direttore generale diventa Gian Battista Vicentini, ex dirigente della Cereria vaticana.

[12]Amintore Fanfani impone come amministratore delegato Filiberto Guala, proveniente dal Movimento laureati dell’Azione Cattolica e che ha maturato un’esperienza dirigenziale come presidente dell’Ina Casa, il grande progetto di edilizia popolare voluto dal leader democristiano.

[13]Andrea Melodia, Teoria e tecnica del linguaggio televisivo“, Ariccia, Aracne2, 2004, 160 p. [il passo citato è a p. 56].

[14] Andrea Melodia, Teoria e tecnica del linguaggio televisivo“, op. cit.  alla nota 13, p. 58.

[15] Come tre decenni prima per la radio, ciò si produce nell’ambito di una tradizione che sembra soddisfare soprattutto le élite ma che si propone subito come obiettivo di diffondere questa cultura in quegli strati della popolazione non ancora toccati dai processi di scolarizzazione.

[16] Andrea Camilleri, pur vincitore del concorso, non verrà assunto. Entrerà in azienda solo tre anni dopo.

[17] Da allora la RAI non ha probabilmente mai più trovato il coraggio e la volontà “politica” di chiamare a raccolta le più giovani e brillanti intelligenze del Paese. Punti di riferimento dei corsari diventano il dossettiano Pier Emilio Gennarini, braccio secolare dell’amministratore delegato, e un altro ex cattolico comunista, Mario Motta.

[18]Filiberto Guala verrà sostituito da un nobile napoletano, Marcello Rodinò di Miglione, figlio del cofondatore del Partito Popolare, che rimarrà in carica per nove anni sino al 1965.

[19] Enzo Scotto Lavina, Tra Sisifo e Nesso. Modelli e strutture editoriali del servizio pubblico televisivo 1954 – 2004, Milano, Lampi di Stampa, 2011, 370 p.

[20] La Direzione centrale Programmi TV tra il 1956 e il 1959 si articola al suo interno in due servizi: la Direzione Servizi Programmi e la Direzione Amministrazione e Coordinamento. Alla prima fanno capo cinque servizi: programmi artistici, programmi culturali e speciali, programmi per la gioventù, cinematografico, film. Altrettanti servizi fanno capo alla seconda: segreteria, amministrazione, coordinamento, scritture e ricerche e sperimentazioni.

[21] A queste due vicedirezioni fanno capo le redazioni secondo il principio guida della preminenza del momento ideativo, in questo caso giornalistico: notiziari quotidiani e telecronache dirette, inchieste-documentari-dibattiti, servizi generali e amministrativi.

[22] Franco Chiarenza, Il cavallo morente. Storia della Rai, op. cit. alla nota 10, pp. 81-82.

[23] Sotto la sua esperienza – secondo Giovanni Cesareo – il nuovo amministratore delegato “conduce la Rai come se fosse un’azienda produttrice di energia elettrica o una fabbrica di scatolette”.

[24] Ibidem, p. 84.

[25] Decreto del Presidente della Repubblica, 17 agosto 1957, n. 1136, “Approvazione ed esecutorietà della Convenzione stipulata in data 10 marzo 1956 fra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e la R.A.I.-Radiotelevisione Italiana, aggiuntiva alla Convenzione 26 gennaio 1952, approvata con decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1952, n. 180”, pubblicata in G.U. il 6 dicembre 1957, n.302.

Cf. https://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/47/zn84_01_017.html.

[26] Decreto del Presidente della Repubblica 19 luglio 1960, n. 1034, “Approvazione ed esecutorietà della Convenzione aggiuntiva stipulata il 21 maggio 1959 tra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e la R.A.I.-Radiotelevisione Italiana”, pubblicata in G.U. il 5 ottobre 1960, n. 244.Cf. https://www.edizionieuropee.it/law/html/47/zn84_01_019.html.

[27] Una trasmissione di una decina di minuti comprende quattro o cinque sketch di un paio di minuti, nei quali solo pochi secondi in testa e qualcuno di più in coda possono annunciare il marchio del prodotto pubblicizzato. Nascono così centinaia di programmi in miniatura, realizzati secondo le più disparate tecniche e che percorrono tutti i generi televisivi possibili. Tutti i migliori attori del tempo, i registi del cinema, gli autori musicali, i disegnatori si cimentano in questa divertente e lucrosa attività. I produttori di beni di consumo fanno la fila per conquistare un accesso (i primi vennero tirati a sorte: Shell, Oreal, Singer, Grandi marche associate) e i bilanci della RAI si espandono con regolarità. Carosello durerà vent‘anni, sempre in bianco e nero, e segnerà un punto di richiamo per tutta la famiglia, collocato com‘è subito dopo il telegiornale; dopo Carosello, si diceva, per i bambini è ora di andare a dormire.  

[28] Dall’avvertenza del bel volumetto di Piero Dorfles, Carosello, Bologna, Il Mulino, 1998, 122 p. Si tratta della sesta monografia pubblicata nella collana diretta da Ernesto Galli della Loggia e inaugurata dal suo saggio su L’identità italiana.

[29] Artefice di questo meccanismo Enrico Martini Mauri un ex capo partigiano di fede monarchica poi membro liberale della Consulta Nazionale (1945-1946) in rappresentanza delle Formazioni Autonome: nominato direttore generale della Sipra nel dopoguerra, rimarrà a capo della società per un quarto di secolo .

[30] Il moderato successo delle 484 puntate si basa sul sapiente equilibrio di contenuto didattico e tono d’intrattenimento in grado di vincere il frustrante senso di inferiorità culturale del telespettatore. Alberto Manzi che diventa il maestro televisivo per antonomasia, impartisce le lezioni con lavagna e gesso, senza disdegnare il ricorso a scenette, brevi documentari, videoproiezioni ed ospiti. Per supplire alla scarsa diffusone dei televisori la Rai allestisce oltre 2000 punti di ascolto frequentati durante il primo ciclo di trasmissioni da circa 57 mila allievi, i quali possono disporre di un manuale di supporto edito dall’ERI. Ben 35 mila persone ottengono nel 1960 l’agognato diploma seguendo i corsi televisivi. I corsi riprenderanno nel 1962 e proseguiranno sino al 1968, quando è ormai notevolmente aumentata la frequenza alla scuola dell’obbligo.

[31] Franco Chiarenza, Il cavallo morente. Storia della Rai, op. cit. alla nota 10, p. 185.

[32] Occorre precisare che quando Il 4 gennaio 1959 Iniziano le trasmissioni vere e proprie della radiodiffusione, la copertura radiofonica su reti terrestri hertziane non è capillare e la qualità del suono, trasmesso in modulazione di ampiezza (AM), lasciava a desiderare. La trasmissione di un segnale in Onda Lunga via cavo “a frequenze portanti” garantisce al contrario un suono limpido, una larghezza di banda di 15 kHz, e una diffusione su tutto il territorio che include tutti i capoluoghi di provincia di allora. Dopo l’introduzione della radiodiffusione sonora in modulazione di frequenza (FM) e l’avvento delle radio private, la filodiffusione verrà relegata sempre di più nella nicchia degli appassionati di musica classica e di un pubblico colto.

[33] Andrea Melodia, Teoria e tecnica del linguaggio televisivo“, op. cit.  alla nota 13, p. 57.

[34] Ad una direzione di servizi per l’ideazione dei programmi, articolata secondo generi, categorie sociali, tipologia dei supporti tecnici, corrisponde una direzione di servizi responsabile della gestione delle attività di supporto, ossia del budget, dei contratti e dell’inquadramento televisivo, a cui si aggiunge un po’ paradossalmente un servizio ricerche e sperimentazioni.

[35] Ai due vice direttori per il Giornale Radio e per il Telegiornale si affianca un vice direttore per i servizi amministrativi che di conseguenze vengono collocati alle dipendenze del direttore centrale rafforzandone il potere