OTT e paradisi fiscali, Apple di nuovo nel mirino: paga solo il 2% delle tasse fuori dagli USA

di Raffaella Natale |

Dai documenti della SEC risulta che Apple ha pagato solo 713 mln di dollari al 29 settembre (chiusura dell'anno fiscale in America) su profitti extra-Usa pari a 36,8 mld di dollari, corrispondenti a un'aliquota dell'1,9%. Negli USA sarebbe del 35%.

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Occhi puntati sugli OTT e su quanto e dove pagano le loro tasse. Nei giorni scorsi c’è stato un gran parlare su Google, messa sotto pressione in Francia dal presidente François Hollande (Leggi Articolo Key4biz), ma oggi è la giornata di Apple.

Un’altra grande compagnia hi-tech che fa profitti multi-miliardari (41 mld di dollari di utile netto nel 2011), ma anche lei, come tante altre, sfrutta le scappatoie legali per bypassare il fisco e portare i suoi denari nei paradisi fiscali.  

 

La denuncia è della BBC, che cita i documenti presentati dal gruppo all’Autorità di Borsa SEC, secondo i quali Apple paga meno del 2% delle proprie tasse fuori dagli Stati Uniti.

Sempre dai documentati risulta che l’azienda di Cupertino ha, infatti, pagato solo 713 milioni di dollari al 29 settembre (chiusura dell’anno fiscale in America) su profitti extra-Usa pari a 36,8 miliardi di dollari, corrispondenti a un’aliquota dell’1,9%. Negli USA sarebbe del 35%.

Apple è l’ultima delle società a pagare una bassa imposizione fuori confine, dopo Starbucks, Facebook e Google, anche se questo, sottolinea la Tv pubblica britannica, non indica alcuna violazione delle norme.

 

Apple veicola la maggior parte del suo business in Europa attraverso una società con base in Irlanda, dove le tasse sulle imprese sono più basse che in Gran Bretagna: il 12,5% rispetto al 24%.

 

Ovviamente non c’è nulla d’illegale in tutto ciò. Si tratta semplicemente si fruttare le lacune delle varie legislazioni per spostare i capitali nei Paesi dove la tassazione è più vantaggiosa. Spesso si adotta la cosiddetta strategia del “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto ai Caraibi.

In fine, quindi, tutte queste grandi aziende si arricchiscono vendendo servizi prodotti in tutti i Paesi, ma sfuggono al fisco portando le loro ricchezze nei Paradisi fiscali.

Facciamo un po’ di conti: Apple ha circa 83 miliardi di dollari su conti esteri, Google 43 miliardi e Cisco 42 miliardi.

Le compagnie hi-tech, forse consapevoli che non potranno sottrarsi ancora per molto al pagamento delle imposte, stanno adesso cercando di convincere le autorità di Washington a trovare il modo ‘più conveniente’ di rimpatriare questi fondi senza pagare eccessive imposte: “E’ nell’interesse del Paese – argomentano – per investire e creare lavoro negli Stati Uniti”.

 Ovviamente queste aziende non sono le uniche, si stima in oltre mille miliardi di dollari la tesoreria di alcuni gruppi ‘parcheggiati’ all’estero.

A luglio, l’agenzia di rating Moody’s Investors Service stimava che 22 gruppi americani del settore hi-tech a marzo avevano mantenuto il 70% della loro liquidità all’estero e che il totale potrebbe superare dai 289 ai 400 miliardi di dollari nei prossimi tre anni.

Second Moody’s, queste società sono restie a rimpatriare questi fondi, perché una volta rientrati negli USA potrebbero essere tassati fino al 35%.

 

Nel 2004, le multinazionali avevano reclamato, e alla fine ottenuto, un tasso più favorevole del 5,25%.

 

Dallo scorso anno, Microsoft, Cisco e Pfizer hanno avviato una campagna, sostenendo che una nuova riduzione potrebbe arrivare a creare 2,9 miliardi di nuovi posti di lavoro negli USA, ma al momento hanno sospeso la loro mobilitazione con l’intensificarsi della campagna per le presidenziali, anche se hanno assicurato che riprenderanno la loro attività dopo novembre.

Qualche mese, Peter Oppenheimer, Chief Financial Officer di Apple, sosteneva che “L’attuale regime fiscale dissuade fortemente le società americane che diversamente potrebbe riportare in patria una parte sostanziale della loro liquidità”.

Ma l’amministrazione Obama ritiene che la riduzione accordata nel 2004 non abbia prodotto l’effetto sperato, ragione per la quale resta ostile a un nuovo intervento in questa direzione. Mitt Romney propone un nuovo sistema ‘territoriale’, con il quale gli utili sarebbero tassati nel territorio dove vengono realizzati, facendo valere che l’attuale sistema “incoraggia le multinazionali americane a mantenere i loro profitti all’estero“.

Bisognerà attendere adesso l’esito delle elezioni, per sapere come intenderanno regolarsi gli Stati Uniti.