Privacy: le mosse di Usa e Regno Unito contro attività intrusive di motori di ricerca, social network e data broker

di Alessandra Talarico |

C’è, intanto, chi critica l’ambivalenza dei legislatori europei, che screditano le web company perchè conservano i dati degli utenti, salvo poi chiamarle a filtrare i contenuti e anche a censurarli in qualche modo.

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Usa e Gran Bretagna vogliono rafforzare la tutela della privacy dei consumatori e chiedono ai motori di ricerca e alle piattaforme di social network di impegnarsi maggiormente su questo spinoso versante, che ha implicazioni anche sul concetto di ‘libertà’ in rete e mette in evidenza le divergenze tra la visione Usa – dove la libertà di espressione trionfa su tutto, come ha dimostrato la battaglia dell’opinione pubblica contro il SOPA e la conseguente ‘sospensione’ della legge – e quella europea, dove esistono leggi più stringenti e, dove queste non fossero efficaci, se ne vogliono imporre di nuove. Come sta accadendo in Francia dove il presidente Nicolas Sarkozy – anche in vista delle imminenti elezioni e dopo la terribile vicenda del killer di Tolosa – pretende di trattare i siti che inneggiano al terrorismo e alla criminalità come i siti pedofili.

 

Negli Usa, sulla base dell’assunto ritenuto fondamentale del ‘Do not track‘ (“Non seguitemi”) e sulla scia del disegno di legge presentato dalla Casa Bianca a febbraio, dopo anni di consultazioni, l’Autorità per il commercio ha pubblicato il suo rapporto di 57 pagine sulla protezione dei dati personali su Internet, chiedendo al Congresso di adottare una nuova legge per meglio proteggere i consumatori dai cosiddetti ‘data broker’, ossia gli intermediari che raccolgono e rivendono i dati su internet.

La FTC  (Federal Trade Commission) ha quindi vivamente esortato i giganti del web (Google, Microsoft, Facebook) a mettere rapidamente in atto, entro la fine dell’anno, l’opzione ‘do not track’ per evitare di vedersi imporre una norma vincolante in materia di monitoraggio.

 

“Se una vera opzione ‘do not track’ non sarà attiva da qui alla fine dell’anno, ci sarà se non uno tsunami, almeno un largo supporto a favore di una legislazione in questo senso al Congresso”, ha affermato il presidente della FTC, Jon Leibowitz.

In concreto, la FTC – come anche il Governo – chiede l’implementazione di strumenti specifici e facili da usare che consentano agli internauti di non essere più ‘seguiti’ nel corso della loro navigazione online.

La maggior parte dei motori di ricerca (Microsoft, Google, Mozilla) hanno già integrato funzioni più o meno efficaci che permettono agli utenti di difendersi dai collezionisti di dati (Acxiom, Experian) a fini commerciali, ma la FTC pretende maggiore trasparenza: i consumatori devono sapere se e quali dati vengono raccolti, per quali motivi e con quali finalità.

 

L’advertising online, secondo recenti stime di eMarketer, è cresciuta negli Usa del 23% in un anno, raggiungendo lo scorso anno un valore di 32 miliardi di dollari, che potrebbe salire a 53 miliardi nel 2014.

 

L’obiettivo della FTC, ha sottolineato ancora Leibowitz, è quello di permettere alle imprese che operano nel settore pubblicitario di continuare a offrire servizi innovativi, senza però sacrificare la privacy degli utenti.

“Dal nostro punto di vista  ‘do not track’ vuol dire non collezionare”, ha affermato il presidente FTC spiegando che l’Autorità pretende strumenti efficaci e non intende – come temono alcuni operatori del settore – strozzare il mercato della pubblicità comportamentale, né censurare in alcun modo l’operato dei motori di ricerca.

 

Anche nel Regno Unito, del resto, si sta assistendo a una levata di scudi a difesa della privacy dei cittadini. La Commissione parlamentare mista sulla privacy e le ingiunzioni – citando il caso del calciatore Ryan Giggs, la cui relazione con una starlette è stata svelata su Twitter nonostante un’ingiunzione che vietava di svelarne i dettagli – non chiede nuove leggi, ma il rispetto di quelle attuali da parte delle web company e degli utenti, sostenendo che dovrebbe essere più facile portare in tribunale chi contravviene a queste disposizioni.

“I procuratori generali – affermano i parlamentari – dovrebbero essere più disposti a esercitare il loro ruolo di Garanti dell’interesse pubblico e le Corti dovrebbero essere più attive nei confronti delle piattaforme come Twitter e Facebook”.

 

Ce n’è anche per Google, che si è rifiutato di escludere dai risultati di ricerca dei contenuti che erano stati oggetto di un’ordinanza del tribunale ed è stato redarguito perchè in molti casi il sito, come altri motori di ricerca, diventa un “veicolo per violare la legge”.

“Se una persona ha ottenuto un chiaro ordine del tribunale relativo al fatto che delle informazioni violano la sua privacy, quelle informazioni non dovrebbero essere pubblicate e non è accettabile che questa persona debba tornare in tribunale per ottenere la rimozione di quelle stesse informazioni da un motore di ricerca”, sottolineano i membri della Commissione.

 

“E’ una questione molto importante sulla quale non ci sono risposte semplici in particolare quando si tratta di trovare un equilibrio tra la libertà di espressione e la gestione di contenuti illegali”, ha affermato in risposta Google, sottolineando che la società già rimuove specifiche pagine ritenute illegali da un tribunale.

“Abbiamo diversi semplici strumenti che chiunque può utilizzare per segnalare simili contenuti, che noi ci curiamo di rimuovere dai nostri risultati”, ha spiegato il gruppo di Mountain View, sottolineando che “richiedere a un motore di ricerca di esaminare il contenuto delle pagine web sarebbe come chiedere alle compagnie telefoniche di ascoltare tutte le chiamate sulle loro reti per identificare potenziali attività illegali”.

 

L’atteggiamento dei Parlamentari britannici la dice lunga, secondo alcuni osservatori,  sull’ambivalenza riservata in Europa ai player del web: Google e gli altri motori di ricerca sono osteggiati perchè conservano i dati degli utenti, ma poi vengono chiamati a filtrare i contenuti e anche a censurarli in qualche modo. Insomma, nota il sito GigaOm, le stesse tecnologie screditate perchè invadono la privacy, possono essere usate per proteggere la privacy individuale.