Italia

 Novità per la Lombardia e per il suo progetto avanzato di rete regionale  NGN. 
 Come è noto il progetto è stato in passato indicato come un possibile modello di  territorializzazione delle reti NGN, attraverso l’impegno della Regione  Lombardia. 
 Il progetto lombardo è andato avanti mese dopo mese, fino a fermarsi di fatto  per mancanza di risorse e di un chiaro modello di business, cosa che ha fatto il paio con la difficile negoziazione costruita intorno al cosiddetto tavolo Romani. 
 Dei tre modelli possibili e teoricamente perseguibili, per sbloccare lo stallo,  il primo è giunto già al capolinea. Parliamo di quello configurato come  iniziativa pubblica promossa dalla Regione ed eventualmente da altri soggetti,  ed è considerato tale da tutti per l’indisponibilità di risorse pubbliche  adeguate. Ma era un risultato per alcuni versi scontato. 
 Rimangono le altre due soluzioni: quella del graduale processo di sostituzione  della fibra con il rame, ma con obbligo di migrazione per gli operatori e quella  del cosiddetto switch-off, ovvero di un modello operativo che unisca i  principali operatori (incumbent e OLO) e che preveda al momento della  dismissione del rame un riconoscimento economico a Telecom Italia per  l’eventuale conferimento di valore (e di quota partecipativa) all’interno della  società di gestione (una soluzione, in un certo senso, simile a quella che si  sta profilando per la Provincia Autonoma di Trento).
 Difficile prevedere quale delle due si affermerà, salvo altre possibili  soluzioni ibride. 
 Da qui la necessità della ricerca di un modello capace di mettere tutti o quasi  d’accordo, accomunati dalla necessità di dar luogo alla nuova rete e con essa  alla definizione di nuovi servizi.
 In questo quadro va collocato l’accordo di collaborazione sottoscritto il 20  maggio scorso da MSE – Dipartimento per le Comunicazioni e la  Regione Lombardia, nato forse dall’esigenza di creare prerequisiti operativi e  giuridici sin qui non previsti.
 Ma entriamo nel dettaglio dei punti fondanti dell’accordo di collaborazione tra  MSE e Regione Lombardia. 
 Viene sottolineata innanzitutto l’esigenza di “…condivisione delle risorse da  parte di soggetti pubblici e privati, attraverso lo strumento del partenariato  pubblico-privato”. 
 Viene effettuato un richiamo al ruolo del MSE da un lato come abilitatore  e “…sollecitatore di investimenti in materia di infrastrutture per  l’innovazione e lo sviluppo di reti e servizi di comunicazione elettronica”  e, dall’altro, come “…coordinatore di progetti di implementazione della banda  larga anche attraverso la stipula di accordi di programma con le regioni  interessate”. 
 Tutto questo per dire che il MSE dichiara di voler partecipare attivamente al  Progetto Banda Larga e alle sperimentazioni di Banda Ultra Larga (BUL),  attraverso, oltre che il Dipartimento per le Comunicazioni, le proprie  controllate Infratel e Invitalia.
 Come raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di realizzazione del  Progetto BUL? 
 Con la creazione di una “società veicolo”, costituita da Regione Lombardia e MSE,  per la realizzazione e gestione del progetto, la realizzazione delle reti e  infrastrutture, utilizzando al meglio le infrastrutture esistenti, quando  possibile, compresa la fibra ottica fino all’elemento verticale per l’utilizzo  finale (all’interno dei condomini). La società veicolo prevede una governance  con partecipazione paritaria tra Regione Lombardia e MSE, “…anche con  riferimento alla successiva partecipazione degli operatori ovvero di altri  soggetti di diritto privato“. 
 Insomma un accordo di collaborazione che potrebbe rappresentare un possibile  modello operativo replicabile o nelle altre Regioni o da estendere a livello  nazionale.
 Parallelamente, appena una settimana prima, lo scorso 13 maggio, è stata  sottoscritta dagli stessi soggetti (da un lato il Ministero dello Sviluppo  Economico – Dipartimento delle Comunicazioni e dall’altro la Regione Lombardia)  una Convenzione per lo sviluppo della banda larga nelle aree rurali bianche C e  D della Regione Lombardia, con una netta azione motivata dalla lotta al digital  divide in quelle zone. 
 Un piccolo passo, come qualcuno potrebbe obiettare, la cui rilevanza è però  data, anche qui, dalla replicabilità del modello in altri contesti regionali  (già si citano le Regioni che potrebbero far parte dei primi schemi pilota).
 Le risorse della Convenzione per le aree bianche sono state intercettate tra i  fondi FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Regionale) destinati allo  sviluppo rurale (per il 60%) con un’integrazione da parte del Ministero  dell’Economia e delle Finanze (40%). 
 I Fondi FEASR prevedono infatti complessivamente 1,02 miliardi di euro, di cui  154,5 milioni destinati all’Italia per sviluppare l’infrastruttura a larga banda  nelle aree rurali dell’Unione Europea. Nel Piano strategico Nazionale per lo  sviluppo rurale (PSN) 2007-2013, il Ministero delle Politiche Agricole  Alimentari e Forestali ha ricondotto e collegato la priorità strategica relativa  alla banda larga all’obiettivo prioritario dell’Asse 3, Misura 321 “Servizi  essenziali per l’economia e la popolazione rurale” del Programma di Sviluppo  Rurale (PSR) 2007-2013.
 L’iniziativa relativa alla Lombardia per le zone rurali bianche appare pertanto  come il primo di una serie di accordi che può assegnare nuove risorse alle  Regioni in materia di sviluppo della larga banda nelle aree rurali.
 La Regione Lombardia affida in questo caso al MSE la realizzazione del progetto  e le infrastrutture realizzate rimarranno di proprietà della stessa Regione  Lombardia, ma date in gestione per la manutenzione ordinaria e straordinaria, in  regime di concessione, al ministero o meglio a società da essa delegata (ancora  una volta Infratel).
In conclusione due atti molto differenti, ma che colpiscono per alcune precise ragioni:
- la contemporaneità di sottoscrizione della Convenzione prima e dell’accordo poi (appena una settimana l’uno dall’altro);
- l’insistenza sullo stesso territorio (la Regione Lombardia);
- la complementarità dell’iniziativa (la Convenzione sulle aree di digital divide, l’accordo sulle aree BUL ad alta densità).
 Una concomitanza che offre qualche ottimistica considerazione sulla ricerca di  soluzioni che riescano a sbloccare la condizione di stallo del cosiddetto tavolo  Romani.
 Siamo ancora alle dichiarazioni di volontà e occorre aspettare il punto di vista  degli operatori. 
 Ma è probabile che qualcosa si stia sciogliendo su quell’impervio versante…



 
  
  
  
  
  
  
  
  
 