Cina, mai dire ‘protesta’: la censura colpisce anche il telefono

di Alessandra Talarico |

In Afghanistan, intanto, i talebani ordinano il blocco delle reti mobili in alcune aree del paese.

Mondo


Cina

Le rivolte in corso nel mondo arabo hanno messo in allarme la Cina che ha deciso di andare oltre la censura del web e di rafforzare anche i controlli sulle conversazioni telefoniche: secondo il New York Times, infatti, diverse telefonate si sarebbero misteriosamente interrotte appena è stata pronunciata la parola ‘protesta’.

Una coincidenza? Forse…ma sarà che chi semina raccoglie, il quotidiano newyorkese non sembra avere dubbi: dopo il rafforzamento dei controlli sulla posta elettronica, dei sistemi di instant messaging e dei blog, il governo di Pechino vuole sopprimere anche la crescente ondata di ‘contestatori anonimi’ che via telefono starebbero invitando la popolazione a manifestare contro il regime.

Il quotidiano cita in realtà il caso di un utente di Pechino che discutendo al telefono sulla scelta del ristorante dove andare a mangiare, ha citato una frase dell’Amleto di Shakespeare, in cui la Regina Gertrude afferma: ‘The lady doth protest too much, methinks’ (La signora protesta troppo, mi sembra’). La seconda volta che ha pronunciato la parola protesta, la linea è stata interrotta.

L’uomo parlava in inglese, ma un altro utente ha avuto la stessa esperienza dopo aver pronunciato la frase in mandarino, da un telefono diverso, con un altro operatore.

 

“Nel gioco del gatto e del topo che caratterizza le comunicazioni elettroniche in Cina – sottolinea il NYT – sembra che il gatto stia diventando sempre più grande, soprattutto dopo lo scoppio delle proteste in Medio oriente e in Nord Africa e i tentativi di organizzare proteste anche in Cina hanno iniziato a circolare sul web”.

 

A ciò si aggiunga che la scorsa settimana Google ha accusato il governo di Pechino di aver bloccato il servizio di posta elettronica Gmail nel Paese – facendolo apparire come se fosse un problema tecnico di Google – e che molte reti private virtuali (VPN), utilizzate per aggirare i controlli governativi, sono state bloccate.

 

La Grande Muraglia Digitale, insomma, è in piena evoluzione, dando forma ai peggiori incubi orwelliani, di cui certo i cinesi non sono all’oscuro: già bloccati nel Paese siti come Facebook, YouTube e Twitter, mentre è impossibile effettuare ricerche online su argomenti sgraditi al governo (Tibet, Dalai Lama, Tienanmen, Rivoluzione del Gelsomino, per citarne qualcuno).

 

Già nel 2008, il quotidiano britannico The Guardian aveva denunciato che la Cina disponeva di strumenti di riconoscimento vocale per controllare le conversazioni telefoniche. Ma finora non erano stati documentati casi di censura telefonica come quello portato alla luce dal NYT.

 

E la Cina, purtroppo, non è sola in quest’opera di censura: in maniera ancora più brutale, le reti mobili sono state bloccate in alcune zone dell’Afghanistan per ordine dei talebani. L’ordine è stato eseguito da tutti e 4 gli operatori attivi nel Paese, che riferiscono: “Non avevamo molta scelta. Se non l’avessimo fatto – spiega il presidente di MTN – avremmo pagato con la distruzione degli impianti e non possiamo permettercelo”.

Il responsabile di un altro operatore, che ha preferito restare anonimo, ha denunciato che nelle scorse settimane i talebani hanno distrutto diverse antenne nelle province di Helmand, Farah, e Wardak.